Gli eroi dimenticati di Michele Patruno
Gli eroi dimenticati di Michele Patruno
il valore inestimabile della poesia
di Antonietta Fulvio
“Cosa scolpita/ non è solo quella scavata nella pietra./Ma quella che prende dimora nella mente, /e che perfora / l’anima”. Con questi versi, ne L’indelebile, il poeta Michele Patruno scolpisce il suo pensiero, il suo intimo sentire. E cosa c’è di più indelebile della parola che si fa poesia? Parole che il tempo e la memoria restituiscono a nuova vita.
Come le onde del mare ritornano sugli scogli e sulla riva in un movimento perpetuo che racchiude in sé l’idea di eternità. Così il verso poetico, talvolta modulato sulla musica jazz tanto amata, racchiude in sé l’eterno fluire dei sentimenti, racconto di emozioni immaginate o perdute. Il segreto di un’intera esistenza. Una miriade di sensazioni che appartengono agli eroi dimenticati, ai quali idealmente è dedicata l’omonima raccolta. Cinquantotto liriche, delicate perle di saggezza che nella loro levità tessono i fili di un discorso dove storie, ricordi personali si sovrappongono al macrocosmo, fatto di anime che sono pensieri e parole. E il cerchio si chiude. C’è bisogno di poesia per sopravvivere. Della sensibilità di chi sa guardare dentro se stesso . Di chi riesce a distinguere il bene e il male, il bello e il brutto, l’unione e il distacco. E a porsi l’interrogativo più lacerante e il più insoluto “Da quale parte arriva la notte?”.
L’esperienza poetica allora travalica il confine individuale per abbracciare l’universo. È in questa dimensione universale che trova senso la stessa parola poetica. Tensione verso l’infinito e l’amore, essenza di vita come insegnano i grandi autori della Letteratura mondiale, da Nazim Hikmet a Garcia Lorca, a Pablo Neruda, ai quali egli si ispira. Le sue liriche attraversano il Novecento, dalla seconda guerra mondiale ai primi anni duemila. Michele Patruno nasce nel 1924, in una terra di confine come la città di Gorizia. Il luogo dell’anima dove il poeta anche solo con il pensiero ritorna. Esemplare è la lirica intitolata “Via Rastello” dove di Gorizia evoca il respiro cosmopolita, la vitalità pulsante ma anche le atmosfere sospese, intrise di malinconia. La stessa che l’autore lascia affiorare nei suoi versi, tra i ricordi di “un amore struggente che morì senza morire”. Le voci e i colori della sua città, “sonnolenta d’intonaco e mattoni”, diventano sensazioni di un processo interiore, sul filo della recherche di proustiana memoria, nelle quali è facile riconoscere il comune senso di appartenenza, quell’inscindibile cordone ombelicale che lega ciascuno alle proprie origini. Non si può rinnegare il proprio passato. Gli eventi della Storia segnano inesorabilmente la microstoria dell’uomo e del poeta, eppure egli riesce ad edificare nelle sue liriche ciò che la guerra è riuscita a devastare sulla terra. Quasi fosse un diario, la raccolta “Gli eroi dimenticati” ha il sapore di un’autobiografia che però è superamento del proprio io per abbracciare sentimenti che appartengono all’Umanità intera. “Quando ti ho stretto la mano/ ho avuto conferma/della differenza oceanica/che esiste tra uomini veri e uomini finti/ho visto la faccia di quegli eroi che restano sconosciuti/perché combattono in silenzio/ nei luoghi più oscuri/battaglie talora disperate,/ e ho visto che il mio sguardo di padre/ si stava ripetendo/ nel tuo sguardo”.
Solo chi ha vissuto l’orrore della Guerra e la sua inutilità, chi ha visto il colore della morte e provato la disperazione del combattere un nemico invisibile, che annienta il corpo ma non la dignità, riesce a centellinare parole capaci di esprimere il dolore della sconfitta – la sconfitta di Pola, la prigionia in Croazia – e il riscatto, in un’altra terra di confine, ma che ha i colori del Sud, la voce della gente di Acquaviva delle Fonti (Bari).