Il “Presepe vivente” nel Borgo antico di Specchia
Un Natale reso speciale nella ricerca delle tracce di fede
Il “Presepe vivente” nel Borgo antico di Specchia nel segno della devozione e della spiritualità: Natale 2011
di Federica Murgia
Un attivismo generale aleggiava da giorni nel borgo e cominciava ad avvertirsi un clima che sapeva di mistico e di festoso. Nelle viuzze si studiavano le architetture per le scene del presepe vivente. Nella piazza un immenso braciere, colmo di tronchi, era nell’attesa della pira, forse per scaldare il Bambinello o per trarne le previsioni sull’andamento delle coltivazioni. Molti turisti vi giravano intorno immaginando la “focaredda”, le fiamme che ne sarebbero scaturite e soprattutto il tepore che avrebbe diffuso tutto intorno, tenuto conto delle temperature piuttosto rigide. Fui incuriosita da tutta questa vitalità. Cominciai a gironzolare nelle vie del centro storico riscoprendo le antiche costruzioni e la suggestione di suggerimenti di arie del passato.
I giovanissimi di AC, nella chiesa madre, avevano approntato un insolito bellissimo presepe. Avevano usato vari formati di pasta per gli edifici e i personaggi, mentre i chicchi di riso stavano al posto del muschio a creare delle superfici ghiaiose, bianche di neve e scure di ciottoli. Una capanna di lasagne, che accoglieva il Bambinello in una mangiatoia di pasta agli spinaci, la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello, tutti fatti di pasta di piccoli formati, erano illuminati da una flebile luce che dava delle suggestioni di trasparenze traslucide. Era un presepe che sapeva d’amore, devozione e di gioia di regalare un messaggio di fede. C’era una ricerca dello spirito che si ritrovava, anche, nelle “Tracce di Fede”, mostra allestita da Luigi De Giovanni, dirimpetto alla chiesa, Sutta le Capanne Du Ripa.
La sera del 25 dicembre, alla presenza delle autorità religiose e civili, si formava il corteo dei personaggi che andavano a posizionarsi nelle scene.
Dopo tanto lavoro, s’inaugurava il presepe vivente, dislocato nelle antiche stradine, che occupava le case dalle volte a stella e a botte.
Scelsi di seguire le fasi dell’inaugurazione alle porte di Betlemme, cioè dalla piazza degli artisti.
Attesi l’arrivo degli imponenti soldati romani che, per meglio rendere le situazioni, in alcune piazze, fecero dei duelli molto scenici. Indossavano le divise d’ordinanza, i mantelli rossi, elmi, lance e scudi rettangolari che mi fecero tornare in mente le formazioni di combattimento a testuggine, in uso nelle azioni di battaglia dell’antica Roma. Immaginai le conquiste e a quanto terrore veniva incusso alle popolazioni occupate.
I soldati bussarono alla porta di Betlemme attesero la risposta e quando l’ottennero si avviarono maestosi al loro campo.
Una folla immensa spingeva verso l’ingresso del presepe ma un servizio d’ordine, molto efficiente, regolava il flusso delle persone.
Finalmente arrivò il mio turno e così mi ritrovai in uno scenario che riportava a circa 2000 anni a.C. a Betlemme: nel suggestivo “Presepe vivente” del Borgo antico di Specchia.
I soldati romani si erano ormai acquartierati nel loro accampamento, accompagnati dalle loro eleganti matrone. Nello spiazzo c’erano ceppi di legno e fuochi accesi. C’erano i bambini, che con gli abiti che rispecchiavano il periodo rappresentato, si affaccendavano in varie mansioni e nella loro poetica innocenza ben interpretavano i ruoli assegnati. Con una padella per le caldarroste arrostivano i pomodori per metterli sopra a dei piccoli pezzi di pane, abbrustolito con una graticola, che poggiavano sul piano superiore di una vecchia botticella, per offrirli al pubblico che gradiva e ringraziava felice. Qualcuno mangiava con gusto delle “pittole”. Altri trasportavano degli arbusti dando una sensazione generale d’attivismo continuo.
Proseguendo mi ritrovai dal “Conza Limmi”, riparatore di terre cotte che, nel suo laboratorio, con una sorta di trapano chiamato qui “trapanaturo”, strumento a me sconosciuto, forava i pezzi di coccio per ricomporre antichi oggetti. Molto diligente mi appariva il suo aiutante che eseguiva con perizia i compiti assegnati. Non era possibile sostare a lungo nella scena perché la folla lo impediva perciò usci, attratta dalle voci degli addetti al censimento che, nella viuzza, invitavano i cittadini a registrarsi per la prima volta nella storia: molti firmavano lasciando traccia del loro passaggio.
Mi resi conto che andavo seguendo il flusso delle persone con curiosità crescente. Alcune volte non riuscivo a leggere le indicazioni esplicative, così entrai in una stalla poco illuminata, che sapeva di fieni e di lavoro. Scorsi un placido cavallino bianco, dietro ad un carretto, che assaporava la biada preparata con amore e curiosità giocosa da bambini felici d’usare strumenti appartenuti ai bisnonni.
Il clima degli ambienti mi pareva investito da un romanticismo insito nelle cose e nei profumi che si avvertivano. Era un racconto di vita dimenticata che, grazie alle scene del presepe vivente, veniva riscoperta e riamata.
Fra arcolai e telai si muovevano con sicurezza tessitrici di varie età che riuscivano a donarci un’atmosfera del passato che ci faceva riflettere sull’opportunità di riappropriarci degli antichi mestieri.
Era lo scatto tipico dei pettini all’opera che dava ritmo alle tessitrici che, dopo aver mandato con decisione la spoletta fra i fili, davano consistenza ad ordito e trama dei tessuti di canapa e lino grezzo che si andavano formando. Una sensazione di nostalgia m’investì per un mondo antico perduto, che mi appariva di grandissimo lavoro per le donne ma di gran fascino per le cose che riuscivano a tessere. Un inebriante profumo mi annunciò l’ingresso nell’osteria dove la scenografia appropriata era disturbata solo dall’eccessiva folla che spingeva per non perdere l’occasione di degustare il vino genuino accompagnato con assaggi di pietanze tipiche. Uscendo da qui un po’ ebbri ci s’imbatteva nella casa degli scribi, che forti dei loro strumenti di potere (inchiostro, penne e pergamene), erano intenti a svolgere la loro funzione e facevano riflettere sul significato dell’istruzione e della conoscenza nonché sulla fortuna, troppo spesso non compresa da molti giovani, di vivere in un periodo in cui non dovrebbe più esistere l’analfabetismo.
Alcune scene riguardavano le attività indispensabili per la vita che erano fatte, soprattutto, dalle donne che avevano, sin dai tempi remoti, dovuto impegnarsi facendo grandissimi sacrifici rivelatosi utili all’evoluzione dei costumi e degli stili di vita. Un balzo all’indietro nel tempo che ci ricordava come le nonne e le mamme, con antichi utensili, lavavano, stendevano, cardavano, pettinavano e filavano la lana, prima di tesserla per farne indumenti, coperte e biancheria per la casa. Per questa ragione trovai molto interessante, anche per la pazienza delle figuranti che spiegavano le fasi di lavoro, le scene dove una giovane donna stirava con un antico ferro riscaldato con la brace, mentre un’altra lavava, con impegno, dei panni dentro un contenitore in pietra. La lavandaia aveva cura di tenere il fuoco acceso per scaldare l’acqua in una caldaia in rame. La osservavo mentre raccoglieva con attenzione la cenere per poi metterla sopra un panno, che ricopriva un contenitore in terra cotta colmo di biancheria lavata su cui versava l’acqua calda al fine di sbiancarla. Da un’apertura posta alla base del cofano colava l’acqua che veniva raccolta in un recipiente in coccio per usarla per lavare i capelli. Capii, finalmente, il significato di lisciva e la fatica che si faceva per avere la biancheria candida.
Nel vedere i giovani addetti alla costruzione delle candele, che, in verità, avevano un aspetto piuttosto irregolare e tendevano ad allargarsi in modo eccessivo verso il basso, immaginai le antiche case senza la corrente elettrica e come le persone che le abitavano riuscivano comunque a fare tante cose come leggere, ricamare. Un tocco eccelso lo ritrovai nell’annunciazione, scena dai colori pastello, che evidenziava la spiritualità di bambini angeli preganti con Maria adolescente. La narrazione di un annuncio di grandezza assoluta era così bella che mi sembrava ammantata da un velo di trascendenza.
Mi riportò alla realtà il rumore di un forte battere di un martello sull’incudine che mi condusse all’officina del fabbro, intento a forgiare dei metalli arrossati dal calore di un fuoco tenuto vivo da un mantice azionato da un attento apprendista del mestiere. La recitazione era realistica e mi soffermai ad osservare la serietà con la quale erano eseguite le azioni. Dietro l’officina c’era una pianta di limone, che trovava vita in un’aiuola diventata il fondale di un palcoscenico. In bell’evidenza erano disposti gli antichi e arrugginiti ferri da lavoro: picchi, zappe, rastrelli, palette, martelli eccetera.
Laboratori di pittori, scultori e artigiani, erano animati da nuova creatività suggerita, anche, dall’evento e dal tempo che dovevano interpretare.
Gli artigiani, che vestivano i sobri panni che si presumevano in uso fra le persone di circa 2000 anni fa, si affaccendavano nella preparazione di formaggi, orecchiette, minchiareddi diffondendo nell’aria stimolanti aromi.
Nella sua botteguccia, si udiva il ticchettio del martello che usava il calzolaio intento ad aggiustare le scarpe, aiutato da un solerte apprendista che sistemava lesine e spaghi. Il falegname, che non poteva mancare vista la professione di San Giuseppe, continuava piallare e a levigare le superfici degli assi, approntandoli per nuovi manufatti.
Uno scenario sontuoso attirò la mia attenzione portandomi alla festa per il matrimonio di Maria e Giuseppe, che prese con se la sua sposa per ordine dell’Angelo del Signore, allestita, in un clima celestiale, in una corte dalle tante tende, dove i figuranti, molto giovani, dispensavano gentili sorrisi.
Più in là i venditori d’ortaggi, che s’incontravano nelle stradine, dai banchetti, invitavano a gran voce all’acquisto dei loro prodotti creando situazioni veristiche.
Intanto, nella sinagoga illuminata da un candelabro a sette braccia, dei giovani, che impersonavano i sacerdoti, erano intenti alla lettura delle sacre scritture antiche.
La scena della visita di Maria ad Elisabetta, anche lei incinta nonostante l’età, era stata allestita con semplicità e garbo cercando di ricreare la situazione. Le figuranti, sedute, pareva che avessero ben chiare le parti da interpretare, tanto che Elisabetta appariva rispettosa e meravigliata per la visita della madre del Signore. L’ambiente era caratterizzato, come in molte altre scene, da tendaggi, pochi suppellettili, come si presumeva poter essere una casa del tempo dei fatti narrati.
Le varie botteghe o i banchetti, approntati allo scopo, riportavano in un’epoca lontana con semplicità e naturalezza.
Delle bravissime ricamatrici creavano i loro merletti e ricami, mostrando con i loro gesti sicuri non solo capacità manuali ma anche grandissima devozione.
I cestai preparavano “cannizzi e panari” di varie forge, alcuni dei quali veramente belli. Una nota d’oriente si avvertiva nel lieve profumo di cannella delle “cartellate” mentre un buon odore di fritto annunciava le “pittole”: attrazione di molti turisti che le gustavano con piacere.
La cosa che maggiormente mi colpiva era l’affaccendamento generale e la partecipazione fatta con il cuore e con la sicurezza che ricreare un clima del tempo della nascita di Gesù era un modo per far rifiorire la fede.
Nella parte più vecchia del borgo m’incantai nell’osservare gli scorci. Seguivo il percorso, attratta dalle affascinanti architetture, quando m’imbattei in dei bottai che, nella semioscurità di una piazzetta, sistemavano doghe e cerchi con martelli di legno. In quello che facevano si coglieva la serietà di chi aveva un incarico importante da portare a termine, infatti, preparavano le botti, forse, in vista del travaso del vino.
Le musiche orientali mi guidarono alla casa di Erode che, pur turbato dalle profezie, dava la sua festa pagana dove si manifestava la corporeità di giovani odalische che danzavano amicanti con gli uomini: che partecipavano consci dei piaceri che avrebbero ricevuto.
Un folto gruppo di pastori, ricevuta la notizia, seguiva la via della cometa per giungere per tempo a godere del fausto evento. Erano impersonati per lo più da bambini che, guidati in formazione, portandosi appresso i loro animaletti, seguivano la stella, per onorare il nascituro Gesù, creando un clima di movimento in tutto il presepe.
La stella si vedeva aldilà della vigna della piazza, simbolicamente piantata nel ricordo dei frutti che sarebbero serviti per l’Eucarestia, bastava seguirla per trovarsi con i greggi al pascolo, l’asinello che, placido per aver condotto alla meta la sacra famiglia, mangiava la sua biada.
Il fascio luminoso della stella invitava oltre l’ingresso del castello facendomi giungere alla stalla, attraverso un percorso che annunciava la poesia dei ricordi biblici. Una scenografia essenziale, captava il clima che poteva ritrovarsi in una stalla dell’antica Betlemme, era stata capace di emozionarmi sia per il simbolismo rappresentato che per il sapiente modo con cui era stata preparata. La scena madre della natività era un gioiello di religiosità che ci riportava alle tracce della storia che raccontava del Natale. L’allestimento era, un misto di spiritualità e povertà. Non rispecchiava appieno il presepio inventato da San Francesco che traslò in un racconto plastico gli eventi di Betlemme e aggiunse degli elementi scenici utili svegliare le coscienze e a dare nuovo spirito alla fede in un periodo d’analfabetismo e d’allontanamento dalla chiesa.
Nel presepio, di Specchia, erano stati rappresentati gli eventi della nascita di Gesù, seguendo lo spirito e gli elementi indicati nei Vangeli, soprattutto in quello di Luca. Il placido bimbo, inconsapevole interprete di Gesù, dormiva beato nella mangiatoia, sopra il vello d’agnello, come se fosse da sempre stata la sua comoda culla.
Così, vista l’eleganza e la religiosità insita in tutto il presepe, mi piace fare un meritato plauso all’Associazione Culturale Sportiva “Eugenia Ravasco” Onlus per aver realizzato l’intero evento del presepe la cui cura della scena della natività era affidata all’architetto Stefania Branca che, coadiuvata, per le voci, da Francesco Ungaro e Edoardo Baglivo, con le sue scelte di semplicità ed essenzialità, ha saputo dare un tocco d’eleganza e di devozione senza orpelli.
In questo periodo di materialismo, dove l’apparire è più importante dell’essere, in cui la religiosità è dimenticata, ho ritenuto molto interessante l’esigenza di una meditazione sulla fede. L’aver trovato, dopo l’ultima scena del presepe, delle “campane” con megafoni direzionali da cui si udiva “il discorso della montagna”, riguardante il concetto del perdono, soprattutto dei nemici, in un ambiente in penombra, è stato molto positivo. Solo chi passava, casualmente, sotto le prime tre campane, sentiva chiaramente il messaggio e sceglieva di fermarsi o di proseguire. Un privilegio che si stemperava all’uscita, quando sotto l’ultima campana, tutti potevano goderne e scegliere di fermandosi ad ascoltare: cogliendo l’occasione di fare una riflessione spirituale.
I Re Magi, mossisi da paesi lontani, portando i loro simbolici doni a Gesù, erano in cammino, seguendo la stella, per giungere alla santa stalla in un rituale di simbolismi, che a noi piaceva interpretare come un messaggio d’invito alla bontà, alla pace e alla riscoperta della spiritualità: fondamento della vita dell’uomo.
Felice d’aver potuto assistere, nello scenario, molto naturale del Borgo antico di Specchia, a questa curata e bellissima IV edizione del “Presepe vivente”, sento di dover rivolgere ringraziamento speciale, per averci fatto sentire magico questo periodo, all’Associazione Culturale Sportiva “Eugenia Ravasco” Onlus in collaborazione con la Parrocchia della Presentazione della Vergine Maria, al Comune di Specchia e GAL Capo S.Maria di Leuca, agli Agorà Canti Antichi, all’Azione Cattolica, all’Associazione San Nicola di Myra, al Coro Jubilate Deo, al Coro Eratùs, al Coro degli Angeli, all’Apostolato della Preghiera, alle Catechiste e alla FIDAS Specchia, alla LILT Specchia, al Piccolo Teatro Spontaneo Specchiese “La Ribalta” e al Volontariato Vincenziane.
A conclusione mi piace citare il bellissimo “Gran Concerto di Natale”, diretto dal M° Deborah De Blasi, con il “Coro degli Angeli” della Parrocchia di Specchia e il Coro Parrocchiale di Taurisano, tenutosi il giorno 4 gennaio 2012 nella Chiesa Madre di Specchia, che ha proposto le più belle canzoni del Natale, donandoci un meraviglioso momento d’armonia.