Crimini e misfatti. La ragazza nella nebbia
di Giovanni Bruno
Sul parterre degli autori italiani c’è un nuovo arrivo: Donato Carrisi scrittore affermato, Premio Bancarella 2009, ha infatti diretto il suo primo film, La ragazza nella nebbia, tratto dal suo omonimo romanzo uscito per Longanesi nel 2015.
Il film si pone subito come film di genere, vale a dire “un thriller puro senza altre contaminazioni” e tuttavia la cifra autoriale di Carrisi si intravede già dalle prime sequenze dove i riferimenti al grande cinema di Jonathan Demme o David Lynch sono rielaborati con mano sicura e personalissima.
In un piccolo paese disperso tra le Alpi scompare Anna Lou, una bella sedicenne dai lunghi capelli rossi. L’ ispettore Vogel, interpretato da uno straordinario Toni Servillo, è chiamato a seguire e risolvere il caso.
Ma si imbatte subito in una serie di misteri, di ambivalenze e di sospetti che mettono a dura prova le sue qualità professionali di grande investigatore. E tuttavia Vogel nel suo lavoro ha una propensione particolare a coinvolgere i massmedia e utilizzarli strategicamente per le sue indagini.
Egli addirittura teorizza un metodo: “imboccare i media e l’opinione pubblica per prendere tempo in attesa che esca qualcosa”.
L’opinione pubblica vuole un mostro, subito, qui ed ora, il tempo per indagini accurate non è concesso perché tutto deve consumarsi nel giro di pochi giorni.
è quello che propongono o impongono i programmi pomeridiani delle grandi reti generaliste che alimentano un chiasso mediatico intorno a tragedie familiari che si tramuteranno in veri e propri traumi che avranno una trasmissione intergenerazionale.
E se solo ci soffermassimo a considerare il danno che si arreca a persone che entrano nelle storie da protagonisti o anche solo come personaggi secondari allora potremmo deflettere e riconsiderare tutto il diritto di cronaca .
Perché sono soggetti che per tutta una vita avranno uno stigma, una ferita che sempre ritornerà perché siamo fatti di passato, il passato è costitutivo della nostra identità , rappresenta il nucleo strutturale del nostro essere e su questo nucleo si è organizzata l’esperienza successiva che pure è fondamentale per dimenticare il trauma che tuttavia esiste e persiste in quella sfera dell’attività psichica chiamato inconscio.
Il film di Carrisi è dunque una grande riflessione sul ruolo della stampa e dei media in generale nella cronaca che quotidianamente ci propone drammi e sofferenze .
Come tentare di uscire da tutto questo?
Penso a una necessaria autoregolamentazione degli addetti ai lavori, giornalisti, autori televisivi, opinionisti, tutti dovrebbero fare un passo indietro ed evitare cronache dettagliate, compiacimenti, inutili interviste a soggetti vinti dal dolore.
Da un lato dunque maggiore rispetto della sofferenza umana e dall’altro pensare che i processi non si consumano in TV ma nei Tribunali della Repubblica e che la fame quasi bulimica di notizie truci, efferate non va assecondata, il pubblico non necessariamente deve conoscere i particolari più inquietanti di un delitto e questo ha certamente un significato morale ma al tempo stesso esprime rispetto per le indagini e per il duro lavoro di polizia e carabinieri che quotidianamente si confrontano col male e hanno spesso bisogno di silenzio, cautela e circospezione .
Quindi non più Vogel – Servillo che ambiguo e seduttivo al tempo stesso pronuncia queste parole: “ … ho fatto solo il mio lavoro: rendere felice il pubblico”.