“Peccata”il nuovo romanzo di Antonio Errico
di Francesco Pasca
Quando venne il tempo della purificazione … Andò al Tempio e disse: “Questo confesso. Senza pentimento.” Perché appartiene alla Storia. Per la Storia sarà dono. La Scrittura appartiene a chi legge. Ogni Storia necessita di un Luogo e di un Tempo, di un Nonluogo e di un Nontempo, di un «… ponte sospeso nel vuoto più vuoto… che incertamente congiungeva le due sponde … che lasciava.»
Antonio Errico consegna ad Euripide il compito di far dettare Topos e Kairos con le: “tante sorprese”, non importa il numero, se dieci o più o meno, il certo è con il: “un dio apre la via. “ Dat actum et factum è invece l’annuncio di Eugenio Montale, in esergo, con la metafora del: (imprimere un senso alla vita.) “C’è chi sopravvive.” /So-prav-vì-ve-re/ non è il rimedio, non è l’accezione di un significato ma il superare con la luce, con il fuoco nascosto nella sua brace. Così, semplicemente, dimorando in un accorato romanzo, in 173 pagine. La Parola è “Peccata”. Il Poeta la dona “All’albeggiare”.
Inizia tutto nel bianco di “neve spessa”, nel colore e nel rumore che somma tutto. Perché? Perché il due di febbraio? In una risposta non importa l’anno, c’è sempre un dio da presentare al tempio in un inizio. C’è la Parola, la Scrittura da assumere nel Gesto con: “una bestemmia truce… una pietra … una lama… una luce…” Poi c’è “il rumore di fondo”, quello che accomuna il Fisico al Poeta con l’astrazione logica, ontologica, metafisica ed epistemologica e con l’indispensabile delle particelle fra materia, energia, spazio e tempo per comprendere l’Universo del primo e il: “Com’è il pensiero (tempo) senza tormento” di pag.20 del secondo. Il Poeta è sempre con la sua creazione, “Come parola di un’assoluzione”, (ancora a pag. 20) come presentazione al tempio della Parola. E poi c’è Maschio e Femmina. E poi c’è Matteo, alias Antonio Errico, che ti accompagna per tutto il procedere del viaggio dove non ci sono nomi. In una confessione non contano i nomi. Solo Matteo necessita di avere nome perché è il traghettatore, è il presentato dalla Parola al Tempio, occorre riconoscerlo. Anche il nome segnato sanguinante in sette segni su una mano non è pronunciato, è criptato. (P-E-C-C-A-T-A) non deve essere rivelata ma scoperta lentamente. Ancora una volta Antonio Errico scrive il suo desiderio di Parola, dopo i tanti. (… Viaggio a Finibusterrae, l’ultima caccia di Federico Re, L’esiliato dei Pazzi, la pittora dei demoni …) Ancora una volta è malinconia sana, non male oscuro e, candidamente, fa pronunciare Parola in silenzio, fra i rumori del mondo, ai suoi personaggi: “… Non so dire. Io non so dire, adesso, in questa confessione, mentre rendo ragione del peccato…” E poi c’è la guerra, la sua guerra. “La mia guerra. Ma io non avevo una guerra. Spara mi avevano detto.” E poi c’è nel … tollis peccata mundi la violenza dell’attuale sulla donna, a farci riflettere con: “Pensavo ad un amore che non conoscevo”. E poi c’è quel Dat actum et factum che non deve essere rassegnazione ma amore con il “guardavo la luna e piangevo.” Con il suo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Antonio Errico, dà sempre nuovo inizio, lo dà con la certezza dell’alba del due di febbraio, pensiamo che, Peccata, sia: “… per un istante tra la notte e il giorno, quando buio e luce si fanno confusione” come accade con le figure del Padre e della Madre sempre presenti nel romanzo. Sicuramente un romanzo ragionato e d’impeto, sicuramente l’ulteriore approdo nella scrittura esercitata con passione e molta dedizione alla Poesia, sicuramente un faccia a faccia del come può essere il trovarsi bisbigliando tra le voci del “filo per filo … la storia in fondo è questo.” (pag. 107) Da pag. 109 Antonio Errico sussulta in un nuovo registro, così a me pare e appare. M’appare ancor più necessitato dal viaggio intrapreso, m’appare premuroso nella e dalla preoccupazione dell’errore, “una frode del pensiero.” Nel racconto ora necessitano i nomi. Qui le azioni si subiscono ed occorre che il soggetto le riceva e si compia il “tutto era scritto.” nonché “Quello che è accaduto doveva accadere.” e “Anche senza nave, senza mare.” Antonio Errico, quale Poeta, nel romanzo, assume tutti i ruoli e nomi. Fra le righe è Matteo, Basilio, Scavezza, Maddalena. Il Nostro è il confessato e il confessore, è la croce di legno lanciata in mare da vedere portata dal mare, è colui che afferma (pag. 133 e a seguire): “Quanti anni avevo non me lo ricordo. Ero giovane, ero vecchia. Non me lo ricordo … che cosa dovrei confessare, adesso. Cosa.” Peccata non ha età e allo stesso tempo è il Kairos di Euripide. Di cosa ha bisogno una storia per terminare? “Voglio guardare in faccia il mio tempo. (pag. 149)”. La storia è la risposta: “Quasi silenzio” … “… quasi silenzio fuori, come le mattine d’aprile.” Tutto e Niente da confessare. È resurrezione da iniziare ancora una volta il due di febbraio tra le mura di Maria della Pietade. Buona lettura e ricordate d’annotare l’ora, è: «… Una viltà che si confessa quand’è già tutto perduto.»