Il silenzio degli Iblei. Un silenzio che parla all’anima
Suggestive atmosfere siracusane: dai borghi antichi
Dario Bottaro
Melillli, Sortino e Ferla al sito Unesco di Palazzolo Acreide
Si respira un’atmosfera surreale sul finire dell’estate e con l’autunno appena iniziato, se si fa una bella e lunga passeggiata per i monti Iblei, quella catena di alta collina che a pochi chilometri da Siracusa inizia ad alzarsi verso nord – ovest. Un paesaggio immerso nella natura chiazzata di bianco e di verde, il bianco della roccia calcarea e il verde della vegetazione che si presenta con arbusti di macchia mediterranea e alberi dalle fronde lunghe e ondose al vento.
Il primo vento d’autunno rinfresca l’aria di questi luoghi rincorrendosi nelle spianate di campagna e attorcigliandosi invisibile tra i vicoli dei piccoli paesi che sorgono in questa zona, da Melilli a Sortino e a Ferla, comunemente chiamata la Porta di Pantalica, millenario sito archeologico scavato fra le rocce affacciate nei dirupi di cui non ci percepisce la profondità, pieni come sono della fitta vegetazione. Ci sono poi i paesini più a ovest, Canicattini Bagni dalle importanti testimonianze architettoniche tardo ottocentesche con le loro splendide decorazioni in stile liberty, poi Palazzolo Acreide, importante sito Unesco e poi ancora Buscemi, il Paese Museo e Buccheri, il paese delle neviere. Per i vicoli stretti dalle sagome barocche, il vento respira aria nuova, quell’aria frizzante che annuncia la fine dell’estate, forse ci saranno ancora alcune giornate un po’ calde, ma sicuramente le alte temperature rimangono ormai un ricordo, soprattutto all’ora del tramonto e alla sera, quando tutto in questa zona si copre di una trapunta di stelle, difficile da ammirare alla stessa maniera nelle città. E’ in questa zona che, passeggiando senza alcuna fretta, l’anima respira con i polmoni e con gli occhi. Si respirano l’arte e la storia, si respirano la bellezza dei monumenti e le storie segrete che essi nascondono nelle pietre della memoria. Una memoria che diventa essenza dei luoghi, forza centripeta che si dirama da una qualsiasi piazza, strada, incrocio di vie strette, quella forza del tempo che scandisce ancora con solennità, le giornate feriali e soprattutto quelle festive. Le grandi feste patronali che scandiscono il tempo del sacro soprattutto d’estate, ormai sono passate e si pensa già all’anno prossimo, ma è anche tempo per godere la bellezza di questi luoghi nel silenzio del primo pomeriggio o sul far della sera. Perché questi luoghi parlano al cuore, raccontano di un glorioso passato – in ogni luogo il suo – un passato che è ricchezza e forza, capacità dell’uomo di rinascere dalle proprie ceneri, come la fenice, di ricostruirsi la vita e il suo habitat naturale. Sì ricostruirsi. Perché tutta questa zona della Sicilia orientale, più di trecento anni fa, venne sconvolta da un terribile terremoto che distrusse interi paesi, molti ricostruiti in altri siti, più a valle e vicini al mare, come ad esempio Noto e Avola. Tutto il secolo diciassettesimo fu oscurato da momenti dolorosi per la Sicilia ed anche per molte delle comunità di questa zona, ma fu certamente il 1693 a segnare con fare terrificante, la linea di confine tra il passato e il futuro per tutto il Val di Noto. Si ricostruì subito sia la vita che lo spazio urbano con i palazzi nobiliari e le chiese, quelle stesse testimonianze delle maestranze artistiche che ancora oggi fanno di questi paesi dei veri tesori, le perle degli Iblei.
Il paesaggio varia da un luogo all’altro, le strade provinciali che collegano le comunità nel territorio si arrampicano su per le colline attraversando boscaglie verdi fitte, sbucano sui costoloni del tavolato ibleo affacciandosi su panorami immensi i cui dettagli si sfocano e si perdono nella linea dell’orizzonte dove cielo e terra si sfiorano, si toccano e si mescolano. Ogni paese è un universo a se stante, immerso e circondato dalla natura che assurge a vegliardo di protezione. Passeggiando per gli Iblei non è difficile incontrare un riccio che attraversa lentamente la carreggiata e nemmeno voltarsi perché ci si sente osservati da qualche volpe che scruta con il suo sguardo dall’alto di un muro a secco. Ah i muri a secco! Un altro patrimonio di cui non si può non dare accenno. Sono come i ricami preziosi delle stoffe di un tempo, la sapienza delle mani femminili creavano intrecci meravigliosi e delicati, l’esperienza e la lucidità delle mani ruvide degli uomini, creavano meravigliosi disegni di pietra – solidi e forti – ricamando a loro volta la terra, separandola, dividendone gli ettari. Tutto ciò è una continua visione antica mentre si attraversano questi luoghi e ne si ammirano i colori che risentono ancora del cambiamento delle stagioni e i toni di colore variano, come nel periodo di settembre e ottobre, dove le cromie terrose manifestano l’addormentarsi della natura, l’assopirsi del creato che aspetta pazientemente il momento del risveglio. La nostra passeggiata ideale può veramente diventare un viaggio dell’anima, fermandosi ad ascoltare i luoghi, i silenzi solenni, le loro storie, magari raccontate dagli anziani del luogo. Passeggiando per i centri storici di Palazzolo Acreide, Buccheri, Buscemi, Ferla, Canicattini Bagni e ancora Melilli e Sortino, gli occhi scrutano i cantonali dei palazzi di una nobiltà ormai scomparsa, che ha lasciato in eredità le superbe testimonianze dell’arte, i balconi con le gelosie panciute, le finestre incorniciate dai ricchi festoni a grappoli simbolo dell’abbondanza e poi ancora i sontuosi portali di palazzi e chiese, i loro conci squadrati e i fregi ornamentali. Sotto i balconi dalle ampie vedute si rincorrono facce di pietra scolpita, ciascuna diversa dall’altra, uomini, donne, vecchi e bambini fissano il basso spinti alle estremità dei mensoloni a ricche volute che fanno da sostegno ai balconi. E se questi volti di pietra raccontano di figure arcane e mitologiche come le sirene e il vasto alfabeto del bestiario medievale con i suoi cavalli alati, i grifoni e i leoni rampanti, sulle grandi e scenografiche chiese, nei diversi ordini delle facciate sfilano decine di puttini alati che fanno bella mostra con la loro gestualità e le loro espressioni giocose e sorridenti. A questi bambini di pietra si alternano le figure più sobrie e ieratiche, distaccate dall’aura terrena al confine con il soprannaturale. Sono i santi tutelari scelti dal popolo nel corso dei secoli, i santi e le madonne pronti a far piovere l’acqua dopo la siccità per ristorare le terre coltivate, entità soprannaturali eppur vive nella quotidianità di luoghi e persone che ancora oggi sono tenute in altissima considerazione. Sono le statue delle vergini e degli apostoli, dei martiri e dei dottori della Chiesa che accolgono, ammoniscono, indicano la via al viandante come al pellegrino. Sul calar della notte, ogni singolo paese si trasforma in un piccolo presepe arroccato su queste alture calcaree, le luci calde si accendono creando giochi di ombre come merletti e trafori le cui ombre dilatate si stendono come un velo a protezione del tempo e dello spazio, ma anche di chi lo abita.