I due Caravaggio

Il mistero Caravaggio              a Lecce

(di F. Pasca)

«… Egli era di colore fosco, e aveva foschi gli occhi, nere le ciglia, e i capelli; e tale riuscì ancora naturalmente nel suo dipingere …» (Giovan Pietro Bellori, 1672 – Le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni – Giunti, Firenze, 1976) È tempo di resoconti. Il 5 settembre chiuderà la mostra sul mistero dei due San Francesco. Quasi 400 anni di vita dalle sue opere, 400 certi dalla sua morte. Il nuovo ma non ultimo segreto ha incuriosito i leccesi per la mostra promossa dalla Provincia di Lecce.


Degna di nota la sezione curata dal direttore del Museo “Castromediano” Antonio Cassiano e dal Soprintendente Fabrizio Vona. La Puglia e Lecce in particolare concludono con un pieno problematico di dipinti “La decapitazione di Sant’Agapito” e le opere di scuola caravaggesca. Risfogliando le cronache apparse dal primo giorno, a pensarci bene ancor prima dell’inaugurazione del 3 di luglio del 2010, l’opera doppia di Caravaggio è mistero e, quel mistero, si trova condensato non solo nelle opere ma anche con: “A Lecce Due misteriose tele di Caravaggio fanno litigare i critici. Ora decide il pubblico”. L’ulteriore confusione è in questa frase dove “Litigio” e “Decisione” sono attribuiti rispettivamente a due unità di misura che se non fossero astratte sarebbero delle identità anche distanti. La prima quella dei “critici” che dice essere di mezzo mondo (chissà che farà, dice, l’altra parte); la seconda quella di una massa più che astratta direi informemente variegata chiamata “pubblico”. In mezzo è la chiesa barocca di San Francesco della Scarpa a Lecce che diventa per l’occasione il Foro competente, sebbene accompagnato dal progetto di Ruggero Dimiccoli. È lo stesso Dimiccoli a dire:«mi resi conto di quanta curiosità, dubbi e interesse suscitassero i due San Francesco in meditazione posti uno accanto all’ altro fra le altre opere. Iniziai a far domande ad esperti e critici d’ arte, trovando risposte diverse ma tutte di grande interesse. Alla fine sono arrivato a concludere che non è possibile dare certezze riguardo l’attribuzione delle due tele, ma solo fare ipotesi autorevoli». San Francesco, ironicamente l’affermo, non a caso è in meditazione e mostra un altro mistero finora non svelato, la morte e paradossalmente anche la sua. Quindi è legittimo, trovandosi con l’uguale, voler stabilire quale è il simile.

Quale l’autentico? Caravaggio ed il “Suo?!” San Francesco sono l’enigma. Il 1968 è la data d’inizio della disputa, dell’anno del ritrovamento del “secondo”, solo perché rinvenuto successivamente nella chiesa di San Pietro a Carpineto romano dei Padri Cappuccini. A questo punto, non essendo critico accreditato, fugo qualsiasi dubbio con: forse non occorre essere accreditati per essere critici od esperti. Poi aggiungo: non so se essere o non essere accreditati ci dà certezza del non dire o del poter dire tutte le ipotesi che si vogliono. Una certezza l’avrei, così credo anche tutti quelli che hanno visitato a vario titolo la mostra. L’allestimento è importante, il curatore ha dato il giusto calibro all’autore delle opere ed ha saputo costruire egregiamente il mistero. Bene si è fatto ad esporli nella cornice barocca leccese e a toglierli temporaneamente dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini e dalla Chiesa di Santa Maria della Concezione in via Veneto a Roma. Detta la prima verità consentitemi di dire la seconda ed una terza, me ne assumo tutta la responsabilità. Michelangelo Merisi ne ha dipinto certamente uno di San Francesco, non avrebbe mai fatto una copia. Lo testimoniano le tele del San Matteo e l’angelo, profondamente diverse, che, secondo la testimonianza del biografo del Caravaggio, per la prima versione di questa tela ci fu il rifiuto dei committenti. Pertanto perché fare una seconda tela uguale per iconografia alla prima? A meno che non siano falsi (ahimè perché falsi, diciamo non attribuibili) entrambi, da qui in poi, rintracciare quello vero è fare un passo breve, anzi brevissimo. È assurdo pensare che, per così poco, quell’accreditamento dovuto ai critici e agli esperti sia il non attribuibile. Se non vi è unanimità storica non vi è storia, ma retorica filologica sì. In una spiegazione basata su differenze stilistiche che non sono differenze stilistiche, in dimostrazioni tecniche che non sono dimostrazioni tecniche, in modalità di riconoscimento che non sono né modalità, né riconoscimento delle opere, che critica o attribuzione può esservi? Non vorrei essere frainteso, sto asserendo in via prioritaria che certamente uno è vero rispetto al secondo, ma non che, il primo o il secondo siano certamente di Caravaggio. Nelle mie disavventure pittoriche, nei miei riferimenti culturali, ho sempre individuato grandi motivazioni negli artisti. A maggior ragione in un artista così complicato, misterioso e complesso come il Caravaggio. Il Grande Artista, il Nostro, non si è mai limitato al solo dipingere, ha sempre motivato la sua pittura attraverso un messaggio pulito e meno misterioso di quanto possono essere di contro le motivazioni in itinere. L’esempio, preso a caso, è la vocazione di San Matteo (la caduta di Saulo) La risposta è nel gesto della mano che rivela e cattura lo stupore. Matteo per Caravaggio è il nome che in ebraico ricorda la radice del verbo “donare”. Ecco allora che la citazione evangelica diventa sostanza colore e gesto: « Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla di pubblicani e d’altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?». Gesù rispose: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi». (Lc. 5, 27-32)» Conosco, credo abbastanza bene San Francesco e le sue opere, non solo quelle metafisiche. Sfido a poter trovare un’iconografia parlata e scritta in cui si può chiaramente individuare quell’itinere rappresentato così come è evidente in tutte le opere certamente riconosciute per essere di Caravaggio. La conclusione non vuole essere ovvia, ma prossima. Vorrei sapere dov’è il cogliere la “storia”, dov’è l’interpellanza drammatica del presente, dov’è la parola “dramma”, dov’è “tragedia”, dov’è“l’azione”. Un San Francesco così meditante, Caravaggio non l’avrebbe mai concepito se non fosse stato così precedentemente descritto. Chi qui scrive, dicono, di fantasia ne ha a sufficienza. Quel che non mi sento di smentire è che la mia realtà è virtuale, ma questa non mi impedisce di aggiungere anche la mia di ipotesi nonché un consiglio. Se cercate il mistero cercatelo nella vita e nella morte di Caravaggio.

Un consiglio è: leggere il più recente, il libro di Silvano Vincenti (scrittore), Giorgio Gruppioni (biologo ed antropologo), Luciano Garofano (Gen. dei carabinieri reparto investigazioni scientifiche R.I.S. di Parma) per la Rizzoli dal titolo – Il mistero di Caravaggio – una vita dissoluta, una morte misteriosa, un corpo scomparso. C’è ricerca storica, scienze forensi, investigazione scientifica, la Roma delle feroci lotte politiche e delle gelosie artistiche, ipotesi fantasiose e verità parziali. Porto d’Ercole? Fu veramente un assassino? Chissà se potrà servire a capire meglio su uno o più San Francesco. Buona lettura.

Francesco Pasca (pubblicato  su “IlPaesenuovo” il quotidiano di Lecce,)