Liberate (A)rianna
Liberate (Α)rianna
di Francesco Pasca
Sì! É vero! Non ci sono e ci faccio, e, nell’assoluto immateriale della biennale detta Salentina, sono qui per fugare il dubbio ai maliziosi pettegoli e dire loro che, con me ce ne sono anche altri.
“Non ci siamo proprio”. É proprio uguale a quel modo di dire quando qualcosa non ci convince.
Oggi lo scrivere diventa così: la Non pratica del “buttare la pietra e nascondere la mano”. È piuttosto molto più incline a: “buttarsi avanti per non rimanere dietro (in-dietro)”. E “noi” siamo molto in-dietro, tanto da essere i (primi)tivi e dobbiamo, andiamo sempre più in-dietro.
É pratica di “molti” il buttarsi avanti … Bene! Il primo sasso è stato lanciato, scansate-“Vi”!
Per il secondo di quei sassi è presto fatto, colpisca il “critico” dabbene, quello acculturato, quello pronto ed in prima linea sempre e comunque (già pronto per essere colpito, quasi per diventare vittima immolata dal “destino”).
È strana la vicenda dell’uomo che fa Arte. Ieri inizio di secolo scorso era il Futurismo quella proiezione d’intenti dissacratori che gridava: “… Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie …” Quel Fare era dato da un manipolo di “interventisti” che di lì in poi avrebbero assunto anche le caratteristiche del “reazionario”, e, perché no!, anche del “Fascista” da littorio, poi del mitico “min-cul-pop”. Ho scritto Littorio e avrei dovuto scrivere “Vittorio”, ma, non fraintendetemi, più in là dovrò ritornare al “Littorio”- “Vittorio”. Rammenterò cos’è stata negli anni la Biennale e cosa deve continuare ad essere. Stasera, dopo il taglio del nastro si saprà cos’è oggi la biennale (quella leccese), della 54ennesima veneziana s’è già detto tanto e non è per niente edificante quanto s’è veduto e scritto. Mi direte che parto prevenuto e non solo per quest’ultimo motivo, direte che lo sono anche per far contenti quelli di cui ho già detto innanzi. Ci risiamo. Qui è la Storia che s’inverte. Alcuni pezzi dell’Avanguardia di ieri non spingono l’acceleratore sull’assoluto immateriale della Biennale, anzi l’aggravano e, ad altri, tocca reclamare. Queste le notizie fin qui pervenute, s’aggiungono a quanto già detto. Pertanto, nell’attesa parliamo dei numeri la mia passione.
Incontriamo subito le prime difficoltà: 62 non è un numero primo.
Un numero primo per essere tale deve essere un numero naturale maggiore di 1 che sia divisibile solamente per 1 e per sé stesso. Par poca cosa ma in quei numeri l’Uno è più importante dei tanti e dei molti. I “Qualc(uni)” (mi piace scriverlo così). Come vedete non lo correggo, mi dà piacere così, perché non vedo l’andare oltre il mio, il nostro-nostro molteplice oltre. Penserete, ovviamente, che prima e dopo il 62 ci sono il 2, 3, 5, … 53, 59, 61, 67,… 113, 127, 131,… 271 … e che via via, perche No!, si potrebbe persino giungere al numero proibito. (lo suppongo pari). Fra i tanti l’eccezione, e, se è vera eccezione deve restare relegata tra i pochi, infatti, è unico, è il numero fra i tanti, è il 2, il pari divisibile e rispondente al contempo alla qualità di primo. Nei quanti sia divisibile quel due, il dirlo, è cosa altrettanto “unica”. Ecco svelata la qualità di quel numero primo: deve essere “unico”. Piaccia o non piaccia anche la Biennale deve essere “Unica” in ragione di quel due. Dicevo. Sessantadue presenze. Tante, Troppe, persino Inflattive per un percorso che deve essere snello e principiato e che metta in conto per ciascun “individuato” una storia di qualità definibile ed esteticamente motivata da ragioni che s’inoltrino nella Storia dell’Arte ed approdino poi nel contemporaneo. Ma questa non è colpa dell’Artista, gli Artisti in questa come in altre vicende non si toccano sono altrettanto unici come quei numeri. Chi non è unico è il “sistema” condiviso dai sotto-sotto “sistemi” a loro volta generati da altri “sottosistemi” arrugginiti (commissioni ad hoc) che attendono l’evento per farsi l’oleata di glicerina che li renda ancora nuovi. Non può essere considerato Unico il percorso delle scelte “surgelate”, quello delle non verifiche serie e mai fatte, quello che dilata i tempi tanto da renderli immobili e compassati in una vicenda sempre più complicata, quello che confonde verifica biennale con verifica decennale ed in alcuni casi con verifica cinquantennale andando a “rispolverare” lo stantio che nel frattempo non è andato da nessuna parte. Poi ci sono i “Professori”, i pensionati dell’Arte. Quelli delle Accademie, dei Licei Artistici e degli Istituti d’Arte che hanno “plasmato” migliaia di “anime” e che oggi (non) sono presenti a testimoniare come hanno speso il loro lavoro. Ma i giovani sul territorio ci sono. Sono l’idea, sono l’autodidatta, sono i nascosti nei loro laboratori, sono quelli che non si mostrano in una società che li emargina, che in pochi li si va a cercare.
Ecco allora “il sistema” che spende per una Kermesse che approda solo a rendere lustro a se stessa. In tutto questo, ancora una volta, gli artisti sono il soldo inflazionato da esibire. In tutto questo gli “artisti rivoluzionari di ieri” sono il sistema di oggi.
Il vecchio Dada di sempre rimugina nel frattempo e predispone il suo evento. Al punto quattro di quel “reazionario” Manifesto rilegge mentalmente: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità”. (pensa … raggiunta la velocità occorre fermarsi, riflettere, verificare). “Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia,” (pensa … meglio un’automobile non inquinante. Meglio una (non)automobile). “è più bello della Vittoria di Samotracia.”(pensa … è meglio la Vittoria di Samotracia che un Vittorio alla Biennale). Venezia è tale da tempo, e, da sempre, è la costante vetrina dello stato dell’arte negli ultimi due anni (il primo numero fra i primi). Ripeto. Gli ultimi due anni che dovranno costruire i prossimi due. Costruire lo stato dell’Arte in cui è possibile individuare le nuove strategie di un Fare che disegni la Storia, non scrivere la Storia come è gradita.
Riflessione: Giungere al Salento, al Meridione del Sud del Sud, chissà perché si è nell’atavica predisposizione ad essere ultimi, diventa ancora l’ultimo percorso che si vuole degli ultimi cinquanta anni. A guardare bene le presenze, i critici arruffoni e pedanti hanno “spolverato” gli oggetti antichi di famiglia, d’antiquariato dell’arte. “Preziosi”, ma di un antiquariato da mercatino dell’usato.
E i giovani dove sono? Perché sono così pochi? Chi è andato a scovarli, convincerci che ci sono? Li ho sentiti quei giovani e mi hanno detto che ci sono (eccome!) e non ci “fanno” come i tanti. (non l’ho detto, l’ho letto, l’ho sentito. Lo affermo!) Qui mi fermo perché questa nota ha da essere scritta in due tempi. Deve essere, per ora, quella delle ore 9,00 del 08 luglio ’11, con le notizie di seconda mano, quelle apparse sui quotidiani locali. La seconda verrà dettata dalla kermesse del dopo la dodicesima ora, alle 21,00 con l’inaugurazione del “contenitore” del dirigente responsabile, che mi dicono sia nella duplice veste di padrone di casa e di gradito ospite, nonché in qualità di artista alla biennale.
SECONDA PARTE.
Alle ore 21,10 arrivo trafelato. Con me un centinaio di bigliettini da visita del critico Littorio di colore giallo e con l’identità impressa nelle parole: CAPRA! CAPRA! CAPRA!
Irrompo al grido di: “Liberate (A)RIANNA”, mostrando un vistoso cartello con l’identica scritta appena pronunciata. Inizia la duplicazione del mio reale. Divento il “Vittorio” e distribuisco la mia nuova identità: “CAPRA! CAPRA! CAPRA!”.
Ma chi è (A)RIANNA? (A)RIANNA deve essere liberata.
L’i(DEA) non può essere relegata nei labirinti di questo sistema. L’Arte è nata libera e non può condividere il potere con chi si nasconde nel fondo di quell’intrico aggrappato al suo “librium” al suo “segno del comando” oggi di nome “Vittorio-Littorio” e del suo simbolo fallico bipenne. Ma inizia la kermesse. Tutti si stringono intorno al tempio, il Sindaco è contento, il critico è contento, parenti ed amici sono tutti contenti.
Me ne sto per tutto il monologo-littorio con le braccia alzate a reclamare il mio essere “CAPRA!” e ad invocare: “liberate (A)RIANNA” tanto che il monologhista s’accorge e chiede il perché l’(A)RIANNA deve essere liberata, esorta persino alla liberazione, ma continua nel suo monologo raccontandoci dell’ultima provenienza geografica, della sua fatica, della chiusura del catalogo, di quanto sia bella la nostra Città, di quanto sia importate il Circo equestre itinerante da lui organizzato. Una bella esperienza in cui gli artisti scompaiono, sono le assenze del contenitore immateriale voluto di nome “biennale leccese”. Chi è il presente ed il tangibile? Chi è il coccolato e il prezioso? Chi è il Minosse e chi quell’assurdo “esperimento” genetico voluto da Poseidone per punire Minosse? Chi è Pasifae e perché desiderò ardentemente accoppiarsi con quel bellissimo Toro?
Ancora una volta il Mito ci aiuta a rispondere alle nostre domande.
Di certo c’è che, di “bello” vi è il Littorio, ed ecco allora tutti in coda, a seguirlo nelle sue esibizioni di bellezza, nelle “sue” scelte, nei meandri labirintici della Cultura dominante. Un buon 30% di artisti, compreso il critico locale che si è prestato, sono miei buoni conoscenti e colleghi, alcuni anche miei buoni amici. Sono sicuro che comprenderanno, che s’accorgeranno della distanza fra il Lido di Venezia ed il Lido di San Cataldo, che avranno coscienza critica per assumersi parte di quei meandri costruiti intorno alle loro idee, che è più probabile l’improbabile, che il respiro culturale non è unitario ma localistico, che da “insegnanti” non avrebbero mai dato a tutti lo stesso voto, che la qualità non è quantità, che non contribuiranno a liberare (A)RIANNA.
Dall’eccessivo numero di presenze dovrebbero aver capito che l’illusione di aver partecipato o contribuito non rende loro alcun merito. “liberate (A)RIANNA! “ è il grido più alto, e, questa volta, è il litTORiO ad essere CAPRA! CAPRA! CAPRA!
CAPRA! CAPRA! CAPRA!
CAPRA! CAPRA! CAPRA!
Mi attendo il grido dal buio del vostro labirinto. Chissà se mi avranno “compreso”.