Luigi De Giovanni
Ai Teatini di Lecce “Tracce di ri€voluzione” le opere di Luigi De Giovanni
Con lo sguardo volto alla Storia
di Antonietta Fulvio
Colorare i pensieri, stenderli sulla tela, sovrapponendoli per sfogliare le pagine della Storia. Le più dolorose, le più sofferte. Nell’operazione del ricordo avviene il recupero delle tracce di un passato che continua ad incidere profondamente nel presente come già gli antichi avevano capito. Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis ovvero «la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità» scriveva Cicerone nel suo De Oratore .
Potrebbe partire da questo assunto, la produzione pittorica Tracce di Ri€voluzione che Luigi De Giovanni presenta in anteprima a Lecce, nel Salone delle feste dell’ex convento dei Teatini.
Una mostra itinerante che passerà da Specchia, borgo natale dell’artista, per arrivare a Cagliari, città d’adozione. Un percorso che si arricchirà di nuove tracce, lungo un cammino fatto di segni sempre più incisivi, di slogan che si rincorrono per evocare tempi e ideali ormai lontani. Ci troviamo di fronte alla dissacrazione dello spazio-tempo della pittura – spiega De Giovanni precisando come l’artista senta la necessità di distruggere per poter costruire, per poter andare oltre l’idea. L’artista e l’uomo non sono entità scindibili, l’uomo vive il tempo l’artista lo legge e lo decodifica secondo il suo linguaggio espressivo, traducendo pensieri, sentimenti, stati d’animo, riflessioni che scandiscono il tempo. Il cerchio si chiude, ma non l’evoluzione. L’arte cambia come il pensiero. Si veste di colori diversi, intensi, contrastanti, incide la tela con un tratto ora più potente ora più delicato, fa rientrare nella composizione pittorica un secondo piano narrativo, dove entrano in gioco i simboli, le lettere, le cifre: i codici del nostro vivere.
La ricerca continua e ad essa non vi è mai fine. Non terminano gli interrogativi dell’uomo.
I cicli della Storia, secondo una concezione vichiana, si ripetono, probabilmente all’infinito, e l’uomo sembra proprio non riuscire a trarne lezione di vita. Così il sogno di Marx di realizzare una società più giusta è svanito contro una logica di mercato che mette al centro il dio denaro. Dov’è finita la libertà e il sogno sessantottino dell’immaginazione al potere? Si chiede De Giovanni sui jeans diventati supporto pittorico ma anche icona di un tempo vissuto che l’artista storicizza. Quei fiori che erano evocazione del paesaggio sono sempre più indefiniti, macchie di colore che segnano lo scempio che l’uomo compie quotidianamente sulla natura che non è matrigna ma fonte di vita, amore. Ma l’uomo non è ancora in grado di capirlo. Continua a sperperare risorse. Perpetrare danni che lasciano sempre meno alle generazioni future. Che mettono in pericolo l’idea stessa di futuro. E volgendo lo sguardo a ritroso, ci si trova davanti agli oggetti, espressione di una civiltà – quella contadina- scomparsa sotto il peso della tecnologia che ha trasformato gli strumenti del lavoro e la stessa concezione di lavoro. Tenaglie, pinze hanno lasciato il posto a strumenti sofisticati e gli i pad e i computer che hanno rivoluzionato il mondo della comunicazione sono diventati uno status symbol. “L’ipad come la maglietta del Che sono il risultato di un sistema economico che innesca meccanismi finalizzati alla distruzione degli ideali”. Come la pop art nella serialità distruggeva il concetto di aura dell’opera d’arte formulata da Benjamin così i simboli dei partiti si sono svuotati di contenuti, si sovrappongono sui piani pittorici al pari di lettere e cifre che evocano avvenimenti determinanti della Storia. La caduta del muro di Berlino, le Grandi Guerre, il Maggio francese, il Manifesto del Comunismo, il Capitale… sono stati eventi che hanno rivoluzionato, nell’accezione di sconvolgimento, ma la loro portata ha segnato una evoluzione o si è rivelata poi un’involuzione? Il motto della rivoluzione francese come l’unità proletaria di Marx. Unità e libertà, uguaglianza e fratellanza: il sogno di sempre, ma non di tutti. Quel grido nel canto degli Inti Illimani, allontanati dal Cile insanguinato di Pinochet, quell’inno alla democrazia ,El pueblo unido jamás será vencido,che si staglia sotto un cielo rosso sangue non nasce forse dalla considerazione che siamo ancora tanto lontani dal raggiungere una società libera e democratica? Rabbia e delusione hanno il tratto di pennellate volutamente caotiche, fratture pittoriche che si ricompongono negli elementi modulari lasciando intravedere simboli associati alla distruzione come la svastica e la falce e il martello ma anche la bandiera europea… La tela diventa lo spazio per urlare contro i nazisti, tedeschi oppressori, ma anche contro il potere delle banche, dei partiti politici, dei ricchi che continuano a diventare sempre più ricchi mentre il popolo muore di tasse e disperazione.
“Nel momento in cui fu sganciata la bomba atomica – spiega l’artista – fu seminata la morte ma nacque anche la speranza di un mondo migliore che negava l’uso di uno strumento tanto potente quanto distruttivo. Il nostro tempo non è migliore di quanti hanno vissuto le tragedie del Novecento: oggi come allora siamo uomini in balia degli eventi, la scritta ecce homo, che evoca il sacrificio della croce, seguita dal globalizzante in the world è un modo come un altro per dire che siamo tutti uguali nel dolore, nella sofferenza, nella mente dei potenti che vogliono tutti formattati alla negatività, all’inerzia del pensiero”. Un popolo che pensa, che agisce è un popolo incontrollabile. Falsi idoli vogliono sostituirsi all’unico mezzo che riscatta l’uomo: la libertà del proprio pensiero. La tv o l’ipad, piuttosto che il computer, non potranno mai sostituirsi alla libertà individuale che è sacra e tale deve restare. Come nei lavori sul tema della Crocifissione, la croce, che non è più quella di Nicodemo, diventa sinonimo della scalata sociale che a vantaggio dei pochi opprime i tanti. Il nostro tricolore fa fatica a distinguersi tra il marasma di scritte e le scie di un rosso sangue che è segno di oppressione economica e politica. Riusciremo a vedere e a pensare un futuro migliore? Gli interrogativi come croci sparse sullo spazio pittorico sono ancora una volta metafora del mondo e del tempo che viviamo: quegli interrogativi che fecero nascere la filosofia nell’antica Grecia, oggi paese dalla cultura millenaria come l’Italia sul ciglio del baratro, nel contesto di un Europa che vacilla come un gigante dai piedi d’argilla, soggiogata dal potere economico che ha trascurato l’unione politica. Un altro sogno interrotto. Svanito, forse. Ma non è svanita la capacità di sognare. In fondo è questo il miracolo dell’arte. Nutrire la speranza del sogno e coltivare la libertà del pensiero che resiste oltre ogni ri€voluzione.
(pubblicato su Il Paese Nuovo, martedì 17 luglio 2012)