Un libro in cui specchiarsi
IL CASTELLO DI SPECCHI di RICCARDO MIGGIANO
di Maurizio Nocera
Qualche settimana fa le due signore della Casa Editrice “Il Raggio Verde”, Giusy Petracca e Antonietta Fulvio, mi consegnano un pacchetto, racchiuso in una busta di stagnola argentata. È ben chiuso su di un lato con un tondino di carta nera, la cui adesione al resto della busta provoca una serie di onde tipo quelle della pietra che cade nello stagno. Sono dolci le onde e si diffondono lentamente fino a lambire i margini della busta.
Là per là ho pensato: “arriva Pasqua”, e le due care amiche mi fanno dono di qualche cioccolatino, nonostante sappiano che di cioccolatini io non ne mangio. Tuttavia la confezione è bella e la porto con me a casa. Quando arrivo, apro la busta e che ti trovo?, un libro, ma che libro?
Formato in-16° g., ha la copertina pur’essa del tipo stagnola argentata come la busta. A un primo sguardo, sembra non avere né autore, né titolo, né Casa editrice, ma due fori: il primo, in forma di triangolo, sta in testa al volume, dalla cui apertura però è possibile leggere il titolo; il secondo foro, questa volta rotondo, lascia intravvedere un marchio, che subito riconosco essere quello della Casa editrice “Cosimo Lupo” di Copertino.
A p. 3 scopro il frontespizio con il suo bravo titolo, ma composto con lettere maiuscole / minuscole – CASTELLO di SPECCHI –, mentre, in fondo alla pagina, il nome dell’autore: Riccardo Miggiano. Nel colophon di p. 4, leggo l’identità del volume, con la ripetizione del titolo e del nome dell’autore, più il design Luigi Partipilo. Anche in questo caso, in fondo alla pagina, ci sono i dati editoriali e la data di edizione: giugno 2011.
L’introduzione si risolve in un esergo stampato al centro della p. 5 a firma di Lorenzo Polimeno, che scrive: «Il lavoro di Riccardo Miggiano insieme al progetto estetico di Luigi Partipilo risulta molto propositivo per la poesia di questo nuovo secolo./ Degno di essere pensato e stimato in ogni occasione di riflessione sulla lettura per versi e per immagini».
Ha ragione Polimeno nell’affermare la propositività del progetto estetico di Partipilo, in quanto, effettivamente, oltre alla busta e alla copertina di cui abbiamo detto, le immagini geometriche, in un alternarsi di bianchi e neri, connotano le pagine del volume di un fascino straordinariamente poetico. L’incanto avviene in particolare in quelle pagine, bianche o nere che siano, in cui il frastagliarsi degli specchi si coniuga con i versi di Miggiano. Come, ad esempio, in Malessere, dove «Un torrente nero/ che straripa/ nella mia orbita/ affogandomi/ in una fangosa/ pioggia di sogni» (p. 19). Sposalizio perfetto tra colore, contenuto e pena.
Penso anche a Bacio, dove «La notte/ silenziosa/ agli argini delle tue labbra/ mi addormenta/ nel desiderio/ di continuare a sentire/ la tua vita battere/ tra il vellutato seno/ che ti circonda/ di diamanti luccicanti/ nella divina passione» (p. 48). Qui gli specchi cadono da un cielo nero su due amanti ancora palpitanti di ardore sensuale.
Adatte all’udito e alla vista sono poi le pagine 60 e 61, entrambe nere, ma dove una mezza luna bianca si rifonde in un’Ode alla luna: «Timida/ mutevole nelle sue forme/ la luna giace/ nelle sue cospicue stanchezze/ donando sentieri di perdizione// Un gracile bagliore/ soffocato dal suo intorno/ irride alle fanciullesche illusioni/ del mio cuore/ vergine da ogni verga». Sono suoni e immagini che il poeta trasmette in un impeto di assoluta purezza.
I vesti del Miggiano, e dico tutti i suoi versi, affascinano e incantano, li senti come dolce nenie sensuali che ti trasportano in sogni di «divina passione». Il risveglio dal sogno poi diventa miele mattutino e anche ulteriore contorcimento amoroso.
Il design Luigi Partipilo, il cui auto-profilo è possibile leggere a p. 71, spiega l’opera del poeta con parole che vale la pena leggere: «L’opera di Riccardo mi parla di due conflitti che costruiscono il Castello e i suoi frammenti, uno interno ed uno esteriore./ Il primo si risolve all’interno della sua intimità, il secondo si confronta con l’esterno, la figura femminile in primis./ Entrambi interagiscono […] Per il mio racconto ho ritenuto necessarie figure pure che potessero definire in maniera decisa gli elementi interpretati. Il triangolo racconta l’Io, il cerchio la donna e la linea definisce lo spazio d’interazione tra i due elementi./ Lo sfondo descrive la nota di base che accompagna la luce» (p. 7).
Anche il poeta si auto-profila a p. 71, annotando che «scriv[e] ancora … continu[a] ad essere il “tenace sognatore” che sempre sar[à]». Ma di Riccardo Miggiano mi piace riprendere pure quel suo Autoritratto, nel quale scrive: «Un dipinto/ di me stesso/ innanzi a uno specchio/ frantumato// Tutto è fermo/ il giorno tarda ad arrivare/ mentre la sera/ è già fuggita// Un gendarme solitario/ che ha perso la battaglia/ con i suoi istinti// Ubriaco di ricordi/ colmo di pietà/ esteta che cerca versi/ nel grembo dell’ipnosi» (p. 58).
Riccardo Miggiano, «esteta che cerca versi»?, ma egli li ha già trovati i versi, e di quelli che lasciano col fiato sospeso su un Treno di pensieri che trasporta Le [sue] parole notturne.