Navigando nella rete. PoetyDream di Antonio Spagnuolo

Riceviamo e pubblichiamo il commento  a firma dello scrittore e criticio letterario Lorenzo Spurio

Commento sull’ opera del poeta Antonio Spagnuolo

di  Lorenzo Spurio

 

Io scrivo distorsioni vincolando le urla

al ritmo di terribili preghiere.[1]

 

Adesso che rotolo l’impossibile

mi smarrisco nelle tue vene.[2]

 

Antonio Spagnuolo, celebre poeta napoletano con numerose pubblicazioni alle spalle, è presente in internet con uno spazio da lui gestito che si chiama PoetyDream dove recensisce i libri in uscita di amici, colleghi e delle letture che ha trovato particolarmente interessanti. Tempo fa lo contattai per chiedergli se sarebbe stato interessato a leggere una mia silloge poetica nata velocemente e un po’ per caso quando avevo sempre pensato che la mia strada fosse solamente quella della narrativa. Mi aveva subito risposto entusiasta che l’avrebbe letta e, nel giro di pochi giorni, puntuale arrivò il suo commento[3] che per l’inestimabile caratura della sua penna, mi procurò un grande piacere e che mi convinse che la strada intrapresa con la poesia, in realtà una biforcazione della più ampia “autostrada” della letteratura, era valida e, soprattutto, da perseguire. E’ un po’ grazie al suo commento e alla nota di prefazione al testo curata dalla poetessa Ninnj Di Stefano Busà che nel maggio del 2013, mi convinsi che la mia silloge non aveva niente di azzardato né di inferiore a quella di tanti altri poeti; Cemento nacque, dunque, anche grazie al sostegno e all’apprezzamento di Antonio Spagnuolo e al quale sono molto riconoscente.

Ebbi poi modo di collaborare con lui, seppur sempre “a distanza”; allettato dal mio invito, mi inviò alcune sue liriche inedite da pubblicare nel nuovo numero della rivista Euterpe che dirigo e che in quei giorni si stava chiudendo.[4] Tra di loro c’erano le liriche “Silenzi”, “Riflessi”, “Rimorso” e “Ritorni”, liriche che lo stesso poeta mi spiegò essere di recente scrittura e determinate dal suo sentimento di dolore misto a solitudine dovuto alla morte della moglie, compagna di un’intera vita, che si era spenta nel novembre del 2012. Con la mia breve analisi alla poetica di Antonio Spagnuolo partirò, dunque, da queste quattro liriche per passare poi ad altre, tratte da sillogi più o meno recenti.

La desolazione e il senso di incompletezza al mondo, ora che la sua dolce metà è venuta a mancare, si respirano dolorosamente tra queste liriche come quando in “Ombre”, con un chiaro riferimento al mito di Eco, il poeta non può che riconoscere con un tono straziato: «Anche la luce aveva un suono per noi,/ ora è silenzio ove impazzisce il  ricordo», mentre in “Riflessi” l’io lirico ricerca una immagine fisica, una parvenza, che gli consenta di perpetuare il ricordo della donna: «ricerco la tua stella, quasi magia/ di un luccichio che riporti il tuo viso», coscienzioso in partenza che il tutto sarà illusorio, perché nella chiusa perentoria e diretta, vanifica ogni possibile speranza: «anche i sogni/ sono precipitati nel fango…». E la gravità del vivere quotidiano del poeta, evidente nell’utilizzo di una terminologia che denota la stanchezza e al contempo il logoramento, si amplifica in quei sogni, fantasmi, idee, immagini ricercate e volute che, però, non giungono a manifestarsi o se lo fanno, non sono palpabili; questa ricerca genera ulteriore dolore e chiusura tanto che il poeta sembra recriminarsi di un qualcosa del passato o, addirittura, sperare che anche lui possa entrare a breve nel mondo senza tempo per ricongiungersi all’amata: «Un girotondo lento,/ un tradirmi nell’ultimo abbraccio,/ invece di sfuggire all’infinito». Dunque, quale valenza dare a queste liriche? Poesie del dolore? Di una sofferenza che mai avrà fine? E qual è allora il compito della poesia per Antonio Spagnuolo, ossia perché decide di stendere sulla carta i suoi dolori? Probabilmente essa ha una funzione regolatrice, calma l’animo inquieto dell’uomo, lo confessa, lo riconcilia al ricordo distaccandosi momentaneamente dal presente, fuggendone o mitigandolo con la sacra arte. Ma come si è visto, anche nei versi la dolorosa assenza che motiva la tormentosa ricerca dei ricordi del passato[5] e la loro “attualizzazione” motiva il malessere del poeta nelle sue vene ispiratrici: «Solo nel sogno posso immaginare che tu venga/ a ripetere gesti, a blandire sudori,/ per non farmi sventrare dalle ire/ e chiedere alle stanze perché te ne sei andata».

Se non si conoscesse la ragione che sta alla base di questo intorpidimento della poetica di Spagnuolo in ricerca del senso della vita tramite l’esperienza del dolore, si potrebbe addirittura sostenere che la sue opere precedenti, in realtà appartengano a un altro poeta, tanta è la differenza di tono e il mutamento di sensibilità. Ciò che non cambia, invece, è il linguaggio: sempre preciso ed accurato, con accostamenti a volte singolari e che danno da pensare, il verso lungo che evidenzia un chiaro amore per l’endecasillabo, l’attenzione per la punteggiatura e soprattutto per la componente predicativa: il significato delle liriche di Spagnuolo molto spesso si estrica ed è possibile a partire da una meticolosa scelta di verbi, spesso in participio, altre volti, invece, non coniugati.

Plinio Perilli nel saggio Come l’ombra di una nuvola sull’acqua, rintraccia con parallelismi ed accostamenti a pittori italiani e stranieri la caratteristica visuale e visiva delle poesie di Spagnuolo dove l’attenzione al colore, alla percezione della luce e alle fasi del giorno consentono a Perilli di parlare di Spagnuolo come una sorta di pittore poetico e in effetti questo è il pensiero dominante sulla critica che ha scritto del poeta napoletano. Gilberto Finzi, ad esempio, nella prefazione di Fugacità del tempo (LietoColle, 2007) aveva parlato in questi termini: «ideale coloratissima luce napoletana»[6] mentre Perilli mise come sottotitolo all’opera critica testé citata «Per Antonio Spagnuolo, frantumato ed affranto di luce» e nel saggio osservò: «Tutta l’opera di Spagnuolo è una disperata, caravaggesca navigazione fuggiasca e poi di ritorno, dalla luce all’ombra, di nuovo alla luce. Una penna spada, e pennello, che sbuccia l’ombra e affonda, infilza, ferisce, l’anima di luce».[7] Un chiaro esempio di questo amore sfrenato di Spagnuolo per il cromatismo e il gioco di luci, trasparenze, bui, rischiaramenti, e la velata volontà di “dipingere” secondo una tecnica che potremmo definire divisionista, sono ben contenuti nella lirica che segue[8]:

 

Quando per l’ultima volta gli occhi tuoi mi avvolsero

in una nube di colori,

ed il tuo corpo sinuoso ebbe il sussulto timido

così come fanciulla,

le streghe sfrenate vennero a rinchiudermi

in una lacrima di sconforto.

 

Fu il gioco disperato della vita che fugge,

il sole armeggiato, il desiderio irrefrenabile

che trascina a fatica un’impossibile insania.

 

Fu misterioso anche il malumore

che trasudava dai tuoi anni maldestri

carezze guancia a guancia sperperate.

 

Logorato dai sogni ho riempito la febbre

con coriandoli rossi, e le mie orecchie

hanno ascoltato l’inganno della solitudine.

Avrei dovuto ritrovare i miei anni virili,

quelli che la bizzarria pettinava nelle stanze del sogno,

ma senza più parole ho chiuso ogni poesia.

 

Nella poesia ci sono varie immagini che trasmettono colore (sottolineate con una linea continua): “gli occhi che mi avvolsero”, immaginiamo di un colore profondo o, comunque, in grado di attirare l’io lirico; “la nube di colori”; il “sole” anche se è accompagnato dall’aggettivo “armeggiato” che ne macchia la potenza visiva e immaginifica; “i coriandoli rossi” e in ultima battuta anche ne “i miei anni virili” si denota una certa positività di tono e di momento colorato, da intendere negli anni virili, gli anni della maturità sessuale e quindi di una crescita. Ma se si analizza bene il testo poetico, non sarà difficile intravedere che esistono altrettanti elementi che generano uno scenario cupo e che trasmettono una suggestione monocromatica (sono sottolineati con la linea tratteggiata): l’immagine delle “streghe” che rievoca un mondo misterioso contornato dal nero; “il malumore”, “la febbre”, “l’inganno” e “la solitudine” quali stati angosciosi dell’umano vivere e dunque connotati immancabilmente di mestizia e sofferenza configurate in un ideale nero dominante. Ovviamente la poesia scelta è un esempio d’analisi di questo tipo che potrebbe essere fatto con più accuratezza su ogni altra lirica di Antonio Spagnuolo.

Tra le altre cose che ho notato nella poetica di Spagnuolo c’è una grande attenzione nei confronti del tempo che scorre, celebrato in quelle “fratture da comporre” a cui allude il titolo del libro e in quei «frammenti di vita» (31) e con esso una grande consapevolezza del deterioramento del corpo, quelle che il poeta definisce «le mie sembianze/ arrugginite» (36); questo lento incedere dell’uomo verso il proprio invecchiamento non riguarda, però, solo la componente materiale, solo il fisico, ma il poeta è attento a sottolineare che è anche e soprattutto la mente ad esser messa “sotto scacco” dal potente nemico: «Rimbalzo per tenerti ancora compressa/ agli intermezzi arrugginiti/ al confine della mente che si sfalda» (27).

Spagnuolo utilizza con frequenza termini presi in prestito all’anatomia vascolare (‘vena’, ‘aorta’, ‘arterie’, ‘aritmia’, ‘carotide’, ‘sistole’, ‘safena’) per far riferimento al battito cardiaco quale espressione di vitalità o, al contrario, di affaticamento o indebolimento del corpo: «Inghiotto la frequenza dell’aorta per comporre/ arrendevoli fughe» (34) scrive in “Segreti” e in un’altra lirica, laconico, torna a utilizzare l’isotopia del sangue: «Il nostro amore rimarrà coagulato/ come contrabbandiere, fuori d’ogni tempo».[9]

In Misure del timore (Kairós, 2011) è contenuto un gradevolissimo assaggio dell’opera poetica dell’autore prodotta dal 1985 al 2010 con liriche estratte dalle sue sillogi precedenti[10]: prevale il tono asciutto e l’accostamento di termini che provvedono a miscugli sensoriali, l’attenzione sulla quotidianità vissuta dal poeta in compagnia/assenza dell’amata e le tematiche legate al ricordo[11]ricompongo le rughe, mentre la tua giovinezza/ sapientemente ricatta giochi fra nuvole,/ quasi volesse accarezzarmi sino a squassarmi il senno»[12]), alla ricerca della tranquillità, ai momenti di torpore, inquietudine e dubbio. La natura con i suoi elementi si erge a padrona della scena e si carica delle negatività/positività dell’uomo a seconda dell’animo del poeta alla continua e tormentosa ricerca di risposte, chiarimenti e di significati in tutto ciò che lo circonda. L’anzianità, il deterioramento del corpo, il dubbio sul domani sono elementi che pervadono la poetica di Spagnuolo che si solidificano nell’ultima pubblicazione. L’ultimo Spagnuolo è un uomo chiaramente addolorato per la recente dipartita della moglie, che utilizza la poesia per rompere quel silenzio e quella solitudine che, probabilmente, lo distruggerebbero troppo velocemente. Ma è tutto illusorio, come Spagnulo, perentorio, sottolinea: «invano spezzo il cerchio della solitudine/ per allontanare il crepuscolo» (96). In Il senso delle possibilità[13] (Kairós, 2013) sembrerebbe che la speranza sia stata sconfitta per sempre dal buio e che l’amore, che ha sempre dominato nella poetica dell’autore, non possa esser altro che un ricordo angosciante la cui rimembranza getta ancor più nella sofferenza. C’è tutta una sezione del libro intitolata “In memoria” dedicata alla morte della moglie, alla sua dolorosa assenza, alla difficoltà di andar avanti, alla considerazione sulla morte e, in alcuni tratti, alla rabbia e allo sdegno che il poeta ha provato perdendo la compagna di una vita: «Ora ho deposto anche Dio nella bocca/ per non bestemmiare,/ persecuzione angosciosa chiusa nel cerchio/ a sradicare memorie» (87). In questa densa appendice il linguaggio si fa duro, aspro e acuminato e non potrebbe essere diversamente quando si parla della Morte, raramente nominata da Spagnuolo con il suo nome, ma sempre evocata o caratterizzata in accezioni chiarificatrici: «il tuo sangue gela nella tomba» (88); «fra le mie braccia ha interrotto il rantolo,/ e le palpebre hanno lasciato un sottile riverbero» (87). Si respira un dolore sempre vivo, che si attualizza con l’arrivo di ogni nuova alba, dove è la tristezza dell’abbandono, l’essere soli, a caratterizzare l’animo del poeta: «La casa è tutta tua, è tutta tua ancora,/ anche nella tua assenza inaspettata,/ ed io disperdo le mie mani/ tra i ninnoli che non hanno più valore» (87). La tristezza sale all’esofago e come una pietra sembra soffocare, tanto che il poeta in una delle liriche non può che registrare l’acume del suo senso di inutilità sulla Terra privo della sua amata: «Adesso devo morire anch’io[14]/ per sparire nel nulla,/ o per scoprire/ dove si cela la tua sembianza» (93). Un amore, dunque, quello del poeta e della sua donna che non conosce limiti, e che travalica qualsiasi possibile confine logico.

Ma parole chiave dell’intera opera di Spagnuolo sono pure i “frantumi”, le “dissonanze” che individuano un mondo lacerato, una divisione e un senso di contrapposizione tra realtà/sogno, immagine/ombra che pure si realizza nel frequente utilizzo di terminologie quali “parvenze” e “sembianze”, che alludono a una rappresentazione fittizia, mendace e illusoria di un qualcosa di perduto –il passato- che non può che essere recuperato se non in forma approssimativa, generalizzata e macchiata dal trascorso del tempo. Una poetica del limite, dunque, o di frontiera, dove Spagnuolo si divide tra l’uomo colto, coscienzioso ed esteta della donna e l’animo inquieto, dubitativo, perplesso nei confronti di tanto cambiamento, dell’incostanza, dell’impossibilità di giungere al cuore delle cose se non attraverso uno sguardo aereo, poco circostanziato, suggestivo e a tratti visionario come quando definisce la sua figura di poeta in questi termini:

 

[I]o, lamiera e membrana,

sarò la voce fuori del discorso,

anche fuori del tempo,

a ribadire perentoriamente

che la poesia somiglia al fango

nell’impasto emorragico

di un’arteria in dissezione.[15]

 

 

 

 

 



[1] Antonio Spagnuolo, Fratture da comporre, Napoli, Kairós, 2009, p. 66.

[2] Antonio Spagnuolo, Misure del timore, Napoli, Kairós, 2011, p.  110.

[3] In esso si legge: «L’alternarsi di “rabbiose boccate d’aria” per “laconiche tregue”, o il rincorrere stelle che non brillano più per la nullità della notte, o il dormiveglia di Eolo, di Thanatos, di Eros come ingorda ubriacatura, vengono a noi da un sipario magico e mitico, che tende a risvegliare quei contenuti psichici profondi ed inesplorati, i quali nella propria fascinazione diventano panici e solamente primaverili». Il suo commento è stato pubblicato su “Il Cobold” nel maggio 2013, spazio del suo amico e collega scrittore Ettore Bonessio Di Terzet.

[4] Si tratta di Euterpe n° 8, Giugno 2013, consultabile e scaricabile dal sito della rivista: www.rivista-euterpe.blogspot.it

[5]  Il tema del ricordo è fondamentale nella poetica di Spagnuolo; si osservino alcuni versi tratte dalle sue liriche: «cocci del rimpianto» (in Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 201, p. 104); «Vorrei moltiplicare il tempo ormai fallito/ e rincorro petali visioni.» (in Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 108); «mi confondo finché il tempo/ riconduce ai ruscelli/ della mia fanciullezza» (in Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 115); «un’amara nostalgia/ che sembra frammentare il passato» (in Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 201, p. 156).

[6] cit. in Plinio Perilli, Come l’ombra di una nuvola sull’acqua, Napoli, Kairós, 2007, p. 14.

[7] Plinio Perilli, Come l’ombra di una nuvola sull’acqua, Napoli, Kairós, 2007, p. 30.

[8] Antonio Spagnuolo, Fratture da comporre, Napoli, Kairós, 2009, pp. 11-12.

[9] Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 103.

[10] Il sottotitolo del libro è appunto Antologia Poetica dai volumi 1985-2010 e contiene poesie tratte dalle sillogi Candida (Guida, 1985), Dieci poesie d’amore & una prova d’autore (Altri termini, 1987), Infibul/azione (Hetea, 1988), Dietro il restauro (Ripostes, 1993), Attese (Portofranco, 1994), Rapinando alfabeti (L’assedio della poesia, 2001), Corruptions (Gradiva, 2004), Per lembi (Manni, 2004), Fugacità del tempo (LietoColle, 2007), Fratture da comporre (Kairòs, 2009), Misure del timore (Kairòs, 2010).

[11] In una lirica si legge: «Un giorno del passato/ ricadrà comunque tra le scapole a sghembo/ sotto fari selvaggi e trappole appuntite», in Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p.69.

[12] Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 98.

[13] Come era stato per la produzione precedente, si noti la curiosità che produce un titolo atipico e labirintico come questo. Quale è il senso della possibilità? E di quale possibilità Spagnuolo parla? Sono domande, lecite, che pure non trovano risposta; ciò che è rilevante è che questa ultima silloge sia una manifestazione riuscita di un tentativo di congiunzione tra la parola (il senso) e le azioni (la possibilità). Se è vero che la possibilità ha un senso, è anche vero che il senso può avere la/una possibilità. L’intera vita dell’uomo, infatti, è votata alla ricerca di sensi e significati in ciò che fa, pensa di fare, vorrebbe fare e questi, ovviamente, hanno a che vedere con le possibilità di successo o di insuccesso di un pensiero, un accadimento o una utopia dove, la possibilità sembrerebbe negata, ma invece non lo è.

[14] La prima parte del libro presenta vari riferimenti all’apatia, alla stanchezza e al processo di invecchiamento del corpo: «La mia pazienza si conclude…/ Stanchezza per la rondine che richiama il vento/ ed il tramonto destina altri riflessi,/ l’usura nel suo sorriso sbiadito/ gioca trucchi furtivi» (18); «in penombra la mia storia è fioca/ la vecchiezza mi squarcia,/ e il tarlo chiedo nuove ore per incontrarti» (69).

[15] Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p.88.