Le Sud est e la paura…
Volentieri condividiamo le considerazioni della scrittrice Ada Donno nella sua lettera a Mauro Marino direttore di SpagineLe Sud est e la paura…di Ada DonnoCaro Mauro,la cronaca di questi giorni ci rilancia due notizie diversamente inquietanti. Prima quella dello scandalo della Sud Est. Leggendo della rapina a man bassa da parte di chi avrebbe dovuto amministrare e risanare, il mio pensiero è corso a mio padre, che alla Sud Est ha dedicato quarantadue anni della sua vita. Credo che abbia amato la ferrovia più di mia madre e di sua madre. Era nato nella Sud Est, poiché anche suo padre (un nonno che non ho mai conosciuto) era stato ferroviere, morto per un infarto mentre era ancora in servizio e, per una regola comunemente accettata, mio padre fu assunto in ferrovia a soli diciotto anni.Quello che ricordo è che si alzava all’alba e lavorava fino a sera, dopo la partenza dell’ultimo treno. Non c’erano orari. Nei miei ricordi d’infanzia, le stazioni dove venivamo trasferiti erano un’estensione della casa, anzi erano casa. Il nostro lessico famigliare era il linguaggio della ferrovia, a tavola si nominavano ispettori, assuntori, deviatori, caselli e passaggi a livello. E’ rimasto nella mitologia di famiglia un certo ispettore Profeta, che mio padre ammirava e non perdeva occasione di esaltare per il rigore e l’incorruttibilità.Ancora trent’anni dopo ch’era andato in pensione, nel suo letto di morte, mio padre faceva sogni agitati straparlando di treni in ritardo, di merci da scaricare, di ordini di servizio da compilare. Forse di persone così oggi è difficile trovarne più, forse lui era esagerato, tuttavia credo che il personale che ha lavorato nella Sud Est sia stato per la maggior parte di persone oneste che hanno cercato con dedizione di farla funzionare alla meglio e perciò avrebbero tutto il diritto di costituirsi parte civile nel processo contro personaggi che probabilmente non hanno mai messo piede su una littorina.Poi c’è stato l’attacco terroristico a Bruxelles. Inevitabilmente questa seconda notizia si è sovrapposta alla prima e in qualche misura l’ha oscurata. Non c’è proporzione, certo. Tuttavia le due notizie mi sembrano in qualche modo complementari. Il terrore che questo occidente non riesce a sconfiggere mi pare complementare all’orrore per il ladrocinio, a cui stiamo finendo per abituarci. L’antidoto alla paura del terrorismo sembra essere una richiesta di più sicurezza. che a sua volta legittima risposte che riproducono paura e guerra, in un circolo vizioso. Quanto all’orrore, sembra che il solo antidoto che riusciamo a trovare sia il “tanto sono tutti uguali”. Ma mio padre, e tante persone come lui, non erano uguali.Pensando a questa sovrapposizione, mi sono ricordata di una “locandina letteraria” che dieci anni fa pubblicammo con il Raggio Verde, dove curiosamente i due elementi, la Sud Est e il terrorismo s’incontravano.Se ti fa piacere e se sei d’accordo, possiamo riproporla nelle tue Spagine?Ada
La bomba
di Ada Donno (in Locandine letterarie n.3, ed. Il Raggio Verde 2005)
La vecchia littorina della Sud Est è in ritardo sull’orario di partenza più del solito, sull’ultimo binario.
“Per Maglie bisogna cambiare? – chiede l’uomo corpacciuto con voce affannata, mentre spinge tra i sedili due grosse valigie. Nessuno gli dà retta.
“Si può sapere se per Maglie bisogna cambiare? E’ mai possibile che né il macchinista né il controllore sappiano l’ordine di servizio?” – l’uomo soffia, ansima e inveisce all’aria, mentre sistema le sue valigie.
La donna che è con lui, dalla prestanza bionda piuttosto casalinga e ormai sfibrata, prende posto sussiegosa di fronte a me. “Neanche in India.” – si lagna gonfiando il petto carico di bigiotteria – “Abbiamo girato l’India in lungo e in largo, e i treni erano precisi”, ripete petulante e corrosiva. Parla al marito, ma lo sguardo obliquo cerca consensi più larghi. Forse vuole solo rimarcare l’evidenza che sono turisti. Dall’accento, sono lombardi.
Beh, almeno non ha detto la Svizzera o la Germania, mi consolo, riabbassando gli occhi sulla mia lettura: “…Quando al terrore larvato degli apparati di stato e dei loro sostenitori non si risponde che con il terrore arbitrario del terrorismo, ci si può domandare che cosa dovrebbe essere l’antidoto…”.
“Noi scappiamo!”. La voce allarmata dell’uomo d’improvviso interrompe il ragionamento di Julia Kristeva. Sono tutti e due in piedi, c’è paura nei loro occhi e nelle mani che annaspano verso i bagagli.
Li guardo stupita, senza capire: “Perché?”, chiedo.
“Un uomo… ha lasciato quel borsone lì sul portabagagli ed è scappato via… noi scendiamo!”.
Si guardano attorno, come per cercare conferma negli altri passeggeri, ma nessuno sembra far caso. I viaggiatori del mattino sono pochi studenti assonnati, un paio di insegnanti pendolari come me, una coppia di cinesi che confabulano a voce bassa, tre giovani senegalesi che ridono forte mentre si scambiano grandi pacche e battute nel sillabato scoppiettante della loro lingua.
“Uno non lascia la borsa e va via così di fretta …” insiste l’uomo, con la mano alla valigia, ma già titubante.
“Mah, sarà sceso a fumare…” cerco una spiegazione di buon senso.
“No, no! Fuori non c’è. Ho guardato bene…” dice la donna con voce concitata.
“Com’era?” chiedo con pazienza, mentre considero ad uno ad uno i nostri compagni di viaggio.
“Scuro, piccolo, sulla quarantina, …”.
Vedo in fondo alla vettura, vicino alla toilette, un ometto che parla al cellulare gesticolando.
“Forse è quello che sta parlando al telefonino?”
L’uomo s’allarga in un sorriso di sollievo: “Ah, si. E’ lui”. Si giustifica con me un po’ imbarazzato: “Sa, di questi tempi, è meglio stare attenti…”. Si risiedono. Io non sorrido. Chi può mai pensare di mettere una bomba su una littorina della Sud Est?
La donna, però, non è ancora tranquilla. Si rigira, adocchia un altro borsone sotto un sedile vuoto: “Lì, pure quello, è andato via…”, dice torcendosi sul marito.
Il proprietario del borsone l’avevo notato anch’io, un giovane uomo bruno che s’era seduto qualche posto più avanti. “Sarà dello Sri Lanka”, mi ero detta soprapensiero, seguendolo con lo sguardo.
“Il borsone potrebbe essere di quel signore seduto di fronte…” azzarda il marito, dubbioso.
“No, no, ti dico ch’era moro! Uno di quegli arabi…” fa lei ostinata.
“No, guardi, eccolo, è quello che sta risalendo…” dico io, mandando un sospiro involontario.
“Ah, eccolo là…”. Altro sorriso fatuo dell’uomo. La donna abbassa lo sguardo sulle mani grassocce e piene di anelli. Più che sollevata sembra indispettita.
Ma come si fa a confondere un tamil con un arabo? mi chiedo irritata. E come si fa a sospettare un terrorista in ogni persona dalla pelle più scura che poggia una borsa vicino a te? E’ questo il male panico che stringe alla gola l’occidente?
Mentre osservo gli ulivi e le pietre che intanto hanno preso a correrci incontro veloci, inseguiti da altre pietre e altri ulivi lambiti dal primo sole, penso che forse, chissà, noi qui siamo meno occidente. Siamo più sud. E più est. Per fortuna.
“…No, non sarò così ingenua da credere che è sufficiente trovare un altro linguaggio, fosse anche femminile. Ma penso che se tutte le rivendicazioni, comprese quelle delle donne, si trovano incagliate nel dogmatismo e nel terrorismo, è per una carenza rispetto all’etica che una riflessione di donna potrebbe contribuire a riportare alla luce. Le donne sono solamente…”
“Chissà se per Maglie bisogna cambiare…” dice l’uomo, che ha ripreso a sbuffare.
Una volta rassicurati sulle intenzioni degli altri viaggiatori, la donna e l’uomo sono tornati a lagnarsi dell’incertezza del percorso. Ma perché non pensano a guardare il paesaggio?
“…Le donne sono solamente gli agenti di un rifiuto radicale, eterne streghe? Quando non le docili seguaci delle dottrine di nuovi maestri, del potere e dell’antipotere? O possono contribuire a pensare e costruire una nuova legittimità che comprenda le loro jouissances,…” …che vuol dire jouissances?
Cerco la risposta in aria e l’uomo ne approfitta: “Lei sa se per Maglie bisogna cambiare?”. “Forse si. Guardi, arriva il capotreno, ora ce lo dirà lui”.
“Ma com’è che in biglietteria non ci hanno saputo dire nulla?”.
“Forse non era ancora stabilito”.
“Ah, è così?! Si fa l’ordine di servizio sul treno?”.
“Si, a volte è così”, sorrido amabilmente complice.
“… le loro jouissances, un’etica garantita non dalla costrizione, ma da una logica, che è sempre poli-logica, dell’amore?”.
Il capotreno conferma: “Si, per Maglie bisogna cambiare a Zollino”.
“E per Gallipoli?”, chiedo io.
“No, lei non deve cambiare”.
“Fortunata!” ammicca l’uomo con ironia melensa.
“A volte capita il contrario – mi scuso io – a volte deve cambiare chi va a Gallipoli…”.
“Ah, è così?!”. Il brianzolo è trasecolato.
Il capotreno passa e ripassa domandando a voce alta: “Scende qualcuno a San Donato? a Galugnano? a Sternatia?”. Tutti i passeggeri fanno cenno di no.
“Ma perché lo chiede?”.
“Forse perché così il treno non è obbligato a fermarsi”.
“Ah, è così?! Se non scende nessuno, non si ferma?!”.
Sono ammutoliti del tutto. Mentre ci avviciniamo a Zollino, mi chiedo se devo avvertirli. La littorina rallenta, ecco il vecchio casello, il muro a secco mangiato dall’edera, la stinta sagoma familiare della stazione con le alte palme sottili … va bene, glielo dico: “Siamo a Zollino. Qui dovete cambiare”.
“Ah grazie! – l’uomo raccoglie in fretta e furia i suoi bagagli – E buona fortuna!”
“Buon giorno” – saluta la donna sgusciando dal sedile senza un sorriso.
Riabbasso la testa sulla mia lettura: “…Tutto quello che sensibilizza le donne ad una riformulazione dell’etica costituisce l’urgenza nella quale entra la questione femminile dopo la sua fase spettacolare e quella stagnante. Una questione a lungo termine da prendere, trattare, scrivere con discrezione.”