Alfa Thea, l’uomo di Nazareth secondo Pasca

I Luoghi della Parola | Spazio recensione

Se le parole diventano sacre

di Anna Paola Pascali

Non è stato facile leggere Alfa Thea (l’uomo di Nazareth) di Francesco Pasca, c’è bisogno di soffermarsi per collegare quello che c’è scritto e decifrare in maniera molto soggettiva tutti i passaggi a volte criptici di un linguaggio complesso ed ermetico. Ed è certamente un autore complesso il salentino Francesco Pasca, artista e scrittore, da sempre attento al linguaggio verbale e non verbale. Nato a Sanarica (Lecce) l’11 giugno 1946, dal 1980 si dedica alla progettazione dell’espressione poetica-visiva. (Singlossia del racconto) e nel 1979 aderisce  al manifesto della singlossia nella scrittura. Tra le sue pubblicazioni si ricordano  “Parole sparse – se i pensieri affollano la mente è utile” edizioni 5Enne (2005); “Otranto – il luogo delle parole – dialogo virtuale sulla scrittura di pietra” (2008) ed “EU – Tòpos – mi disegni una parola?” (2009) per i tipi de Il raggio Verde editore.  “Il Gesto – Giano: idea di fili senza spessore” (2011) edizioni Lupo, L’alfa-thea (uomo di Nazareth) di Francesco Pasca
L’Alfa-Thea (uomo di Nazareth) , Il Raggio Verde edizioni (2013).

Nel corso della sua carriera artistica realizza  diversi progetti singlottici tra parola e segno e produce un’interessante opera letteraria e visiva che denomina con: Il segno dell’IN e OUT del Gesto. Nel libro  “Alfa Thea”  le parole diventano sacre all’interno di una parentesi tra il vivere e il morire, partendo dalla creazione che diede origine a ciò che già era stato creato.

In fondo la storia non è altro che un punto di riflessione per acquisire la consapevolezza che nulla si crea in quanto già esistente. E la scrittura è un mezzo per fissare i punti della storia nella storia stessa.

 

Alfa Thea non è altro che un imponente “equazione filosofica” tra uomo e Dio, tra storia e scrittura, tra apparente e trascendente. Se ne desume che ad ogni materia corrisponde un’antimateria, ad ogni meno un più, ad ogni sì un no, ad ogni dare un sottrarre, ad ogni dire un tacere, ad ogni parola un dubbio; un verbo da scrivere e da ricondurre ad una terra che da concessa diviene promessa.

Il verbo che unisce e che separa, che si palesa attraverso i numeri, che ha un inizio che non ha fine. La scrittura, secondo Pasca, è soltanto ciò che appare: un fenomeno fisico che fa dello scrittore l’impronta umana che non può essere mistero perché se c’è mistero non c’è storia. E la storia deve essere riproducibile attraverso la scrittura.

L’autore si identifica con Cristo/Dio (Jesust Heos) in un labirinto di parole dove tutto diviene il contrario di tutto, dove allegorie, ossimori e metafore arricchiscono il linguaggio idiosemantico e soggettivo attribuendo un significato alla cultura sedimentata nel tempo.

Un profluvio di parole che riconducono all’io (D-io) che è lo stesso autore.

Un Dio Padre esclusivamente uomo che però è anche donna e prima persona che nasce dall’IO.

L’uomo di Nazareth, per Pasca, può essere chiunque ma prima di tutti è se stesso che incrocia la sua storia con quella del Cristo che diviene uomo con la semplicità e laicità dell’esistere.

Un modo “rivoluzionario” (secondo me) di entrare nell’intimo della materia e dell’umano per ricongiungersi a Dio, a IO. Un “gioco” continuo di contraddittoria realtà proiettata nell’incarnazione della scrittura.

Ne deduco che prima di capire chi è Dio bisognerebbe cercare di capire chi è l’uomo.