Tivoli città d’acqua

di Sara Foti Sciavaliere

TIVOLI. Nel Medioevo Tivoli fu un centro vivace per la sua vicinanza con l’Urbe, per le sue sorgenti termali e per l’abbondanza della purissima acqua del fiume Aniene e degli altri corsi d’acqua della zona ( basta pensare che ben quattro acquedotti contribuivano all’approvvigionamento idrico di Roma). Il centro tiburtino godette dunque di un buon grado di prosperità e una relativa autonomia amministrativa, finché agli inizi del XVI secolo Tivoli passò sotto il controllo diretto della Santa Sede e nel 1550 il governatorato sull’area tiburtina fu assegnato a Ippolito d’Este, cardinale di Ferrara. Ippolito ebbe una brillante carriera ecclesiastica e diplomatica, di fatto la sua abilità diplomatica fu immensa: di simpatie filofrancesi, godette sempre dell’appoggio dei Valois. L’incarico conferitogli da Papa Giulio III, che sembrava un sostanziale accantonamento sotto le spoglie di un’apparente promozione, servì come compensazione del cardinale d’Este, che era stato rivale (sconfitto) del pontefice: Tivoli divenne per lui una seconda Roma. Tuttavia una volta giunto nel centro tiburtino, Ippolito apprese che avrebbe dovuto risiedere in un antico e austero convento benedettino annesso alla chiesa di Santa Maria Maggiore : la cupa sobrietà di questo monastero – peraltro situato in una splendida posizione in una zona ricca di orti e nota come Valle Gaudente – non poteva certo trovare il favore di Ippolito, uomo raffinatissimo e appassionato d’arte classica e dei giardini. Non va dimenticato, difatti, che la corte estense di Ferrara, oltre a essere uno dei grandi centri politici italiani, era nota per il mecenatismo e Ippolito era un appassionato estimatore di tutte le arti e fu anche un collezionista di antichità, con le quali tra l’altro decorò la sua dimora. Questa passione spiega il lungo sodalizio con il napoletano Pirro Ligorio, uno dei più attivi “antiquari” (ossia un esperto di antichità) dell’epoca, che frequentava spesso Tivoli per effettuare scavi, disegni e rilevazioni a Villa Adriana. Ippolito si rese conto che la residenza che gli veniva data aveva tutti i presupposti per poter essere radicalmente trasformata. La Valle Gaudente era estremamente panoramica e rispondeva ottimamente ai principi di Leon Battista Alberti, che consigliava di posizionare le ville in un luogo da cui si “godrà, della vista della città, di castelli, del mare e di una vera pianura”. Il cardinale estense decise quindi di affidare la ristrutturazione a Ligorio, cui furono date le istruzioni per far la metamorfosi dell’austero complesso monastico in una sfarzosa villa dotata di uno straordinario giardino ricco di fontane. Una guida turistica di Tivoli del 1886, pur rimpiangendo “l’antico splendore” del complesso, lo descrive come un “luogo di delizie, munito di lunghi e freschi viali con alte spalliere di mirto e di alloro di platani, cipressi e pini giganteschi; anticamente adorno di una grande quantità di statue e di magnifiche fontane, tra cui molte monumentali; ricco d’immensa copia d’acque, che scherzano in mille guise con stupore dei riguardanti”. Nel 1919 il complesso passò allo Stato Italiano che ne curò più volte il restauro e la risistemazione. Villa d’Este si presenta come un unicum, una delle più raffinate testimonianze dell’arte rinascimentale mondiale e del giardino all’italiana del XVI secolo. La villa è ripartita in due piani, di cui il superiore riservato agli appartamenti del cardinale Ippolito e l’inferiore adibito a zona di rappresentanza. Se si eccettuano le decorazioni pittoriche, nulla rimane degli arredi, ma l’ornamento parietale è talmente ricco da conferire grande opulenza a ogni ambiente. Sicuramente grande attenzione merito le sequenze di sale affrescate, ma scesi nell’Appartamento di Rappresentanza, dalla Sala del Convito il richiamo della loggetta dalla quale si può accedere ai giardini merita ancora di più. E partiamo subito con una premessa: nell’ammirare la villa dobbiamo avere sempre presente che l’attuale ingresso non corrisponde all’originaria entrata principale, che era situata ai piedi della collina, ma il visitatore era costretto a compiere una lunga e lenta risalita verso il corpo dell’edificio, durante la quale si susseguivano frequenti le soste che permettevano di gustare la graduale scoperta delle meraviglie del giardino. Di terrazza in terrazza, percorrendo i vialoni longitudinali, la villa si rivelava nella sua bellezza, oltre a consentire di godere di una straordinaria vista, in lontananza, di Roma. Nel giardino le aiuole si alternano con alberi d’alto fusto, le fontane si susseguono alle peschiere e le sculture ai capolavori dell’ars topiaria;ovunque giochi d’acqua e cascatelle sorprendendo con i loro effetti visivi e talvolta perfino sonori. Considerato nel XVII secolo “il fiore dei giardini d’Europa”, Villa d’Este divenne in tutto il vecchio continente sinonimo di giardino di svaghi e di delizie per eccellenza.

La visita al giardino – data la disposizione attuale dell’ingresso al palazzo – inizia dalla parte che un tempo ospiti e visitatori vedevano per ultima. Affacciandosi dal loggiato della villa, accessibile dal salone, possiamo avere una prima idea della simmetria del giardino con i suoi vialetti longitudinali e trasversali che conducono alle meravigliose fontane, disposte scenograficamente lungo i diversi terrazzamenti. Dall’estremità di sinistra del secondo terrazzamento è possibile godere della migliore panoramica sulla sottostante fontana dell’Ovato, una delle più celebri tra quelle di Villa d’Este, per poi accedere alla fontana di Pegaso, che appare suggestivamente tra gli alberi. Pegaso era il mitologico cavallo alato nato dal sangue di Medusa dopo che Perseo le mozzò la testa; volando via dal luogo dell’eccidio, egli atterrò sull’Elicona, il monte delle Muse, dove, percuotendo la terra con uno zoccolo, fece sgorgare la fonte Ippocrene: questo è chiaramente un rimando all’attività costruttiva del cardinale d’Este, che fa fuoriuscire le acque dalle rocce tiburtine, mentre Tivoli, venendo paragonata all’Elicona, diviene sede delle arti. Si può ripercorrere a ritrovo questo livello del giardino e scendere a quelli successivi. Il quarto terrazzamento ha proporzioni talmente ampie da essere definito Viale delle Cento Cannelle o delle cento fontane, anche se le bocche d’acqua sono in realtà novantaquattro. Lungo un centinaio di metri, questo ampio asse longitudinale – che al primo sguardo, oggi, appare un’ininterrotta distesa di felci e muschio da cui sgorgano impetuosi i getti d’acqua – era destinato a unire tra loro due delle più importanti fontane della villa, l’Ovato (a destra) e la Rometta (a sinistra). In quest’ultima comparivano i più importanti monumenti dell’Urbe dell’epoca classica: solo per citarne alcuni, vi si scorgeva Porta Flaminia e Porta San Paolo, il Pantheon, il Colosseo, la Colonna Traiana, ma in essa sono riconoscibile anche chiari riferimenti a Tivoli con l’acqua che scende a strapiombo a indicare le locali cascate, mentre una divinità fluviale regge il tempio della Sibilla e un’altra statua sottostante sta a rappresentare i monti da cui nasce il fiume Aniene che attraversa il territorio tiburtino. Dalla cascata l’acqua va a lambire i fianchi di una barca che simboleggia l’Isola Tiberina e che difatti ha per albero un obelisco, a ricordare il tempio di Esculapio. Dietro all’imbarcazione spicca la statua di Roma, con la lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo. All’estremità opposta il Viale delle Cento Cannelle si apre a formare uno slargo ampio ma raccolto e recintato, che ospita l’imponente Fontana dell’Ovato, sovrastata dalla fontana del Pegaso, che da qui pare proprio in atto di librarsi in volo. L’Ovato, così chiamato per la sua forma ovale, rappresenta nel suo complesso la cittadina tiburtina, con i suoi monti, i suoi fiumi, le sue cascate e le sue divinità. Delle statue che un tempo ospitava, oggi spicca, al centro in alto, ancora la figura della Sibilla Tiburtina, la cui storia è anche soggetto di parte deli affreschi della seconda sala tiburtina degli Appartamenti di Rappresenza della Villa di Ippolito. Ai lati della statua della Sibilla stanno le personificazioni di due dei fiumi di Tivoli, ovvero l’Ercolaneo e l’Aniene, racchiusi in due grotte a indicare lo sgorgare delle acque dalle viscere della terra. Tornando ancora una volta sui nostri passi, possiamo scendere verso la vallata e a percorrere il quinto terrazzamento che culmina a sinistra con la fontana della Civetta e la fontana di Proserpina. La prima è una delle più antiche del complesso: è attestato che la zona antistante alla fontana presentava numerosi “scherzi d’acqua” ovvero getti d’acqua che venivano azionati a intermittenza e che dal basso schizzavano i visitatori. La fontana è facilmente riconoscibile per le due colonne che le fiancheggiano, su cui si avvolgono i rami carichi dei leggendari pomi delle Esperidi, e per i tralci con i pomi che le decorano nella parte superiore, vistosamente coronata dall’aquila e dai gigli degli Este. Nella nicchia centrale due angeli reggono compostamente lo stemma del cardinale. Purtroppo è andata persa proprio la parte più originale per cui veniva lodata da tutti i contemporanei: al centro si trovavano infatti le statue di tre giovani seduti su di un vaso da cui sgorgava l’acqua che ricadeva nel sottostante bacino; dietro a loro c’erano delle piante sui cui rami si poggiavano degli uccellini meccanici in bronzo che, grazie a un sofisticato meccanismo idraulico, parevano cinguettare melodiosamente fino alla comparsa di una civetta, anch’essa bronzea, che, con il suo lugubre verso, faceva tacere il loro canto. Ripercorrendo un breve tratto del viale su cui ci troviamo incroceremo un’altra originalissima realizzazione, ossia la cosiddetta scala dei bollori, che ci consente di scendere fino al successivo livello delle peschiere. La gradinata vera e propria è fiancheggiata da due canaletti con parapetti e plinti su cui si infrangono quarantadue piccoli getti d’acqua che, proprio a causa della modesta altezza, paiono ribollire formando quello che, per alcuni contemporanei, era il gioco d’acqua di maggiore suggestione di tutta la villa. A livello delle peschiere il giardino abbandona gli scoscesi terrazzamenti per aprirsi di fronte a noi in aiuole. Dirigiamoci ora verso il lato destro del giardino costeggiando le peschiere. Queste vasche – popolate anche oggi da diverse varietà di pesci – venivano utilizzate per allevare trote e altre specie pregiate destinate alla mensa del cardinale e dei suoi ospiti. Giungiamo così agli alti getti d’acqua della Fontana di Nettuno, costruita nel 1927, dietro cui spicca la più fantastica e ingegnosa creazione della villa, ossia la Fontana dell’Organo con le sue incredibili cascate. I meccanismo idraulici di questa fontana fanno sì che il moto delle acque produca dei suoni assolutamente somiglianti a quelli di un vero strumento musicale. Il giardino non ha comunque finito di mostrarci le sue sorprese: ritornando verso la prima peschiera, scorgiamo alla sua destra la fontana delle aquile, eretta a eterna gloria della famiglia estense, di cui tale rapace era il simbolo. Poco più avanti, sullo stesso lato, tra le aiuole si apre la rotonda dei cipressi e sostando qui è facile vedere, a breve distanza, quello che era un tempo l’ingresso principale alla villa e al giardino. A sinistra del primitivo portale, scorgiamo la Fontana di Diana Efesina: come nella statua di Villa d’Este, la Diana di Efeso viene raffigurata sempre con una torre sul capo e con molte mammelle, simbolo dell’abbondanza e della fertilità del mondo naturale. Spostandoci ancora verso l’estremità sinistra del giardino passiamo tra due mete sudans, dalla forma di tumuli, che ricopiano letteralmente l’antico monumento trasudante acqua situato nei pressi del Colosseo. L’ultimo gioco d’acqua che ci resta ormai da visitare è la bella fontana dei cigni, per godere per poi di un colpo d’occhio di grande effetto: le vasche delle peschiere allineate come un viale d’acqua sul quale si riflettono le architettura e gli zampilli delle fontane. Nel XVIII e nel XIX secolo Tivoli attrasse molti aristocratici in visita in Italia nel corso del loro Grand Tour e pare che anche il grande architetto Luigi Vanvitelli abbia visitato Villa d’Este prima di accingersi alla progettazione del Palazzo Reale di Caserta traendone ispirazione per i giardini. E malgrado le vicissitudini che non mancarono, il fascino di Villa d’Este rimase sempre così intenso soggiogare il celebre compositore Franz Liszt, che qui dimorò traendone ispirazione per il famosissimo brano musicale Les Jeux d’Eau à la Ville d’Este dedicato proprio ai sorprendenti giochi d’acqua del complesso tiburtino. Tivoli (ROMA) piazza Trento,5 tel. 199.766.166 Biglietteria: +39 0774 332920; email info@villadestetivoli.info

Reportage fotografico completo da pag. 92 sul numero di marzo della rivista, scaricabile gratuitamente dal sito