Se non ora quando?
Dal Lockdown al Recovery Fund.
Stefano Quarta
L’analisi dell’economista
Il momento che stiamo vivendo sarà ricordato per molti aspetti. Certamente ricorderemo l’iniziale paura data dalle immagini di quei camion dell’esercito pieni di bare. Certamente ricorderemo la noia di quei giorni tutti più o meno uguali e la crescente mancanza dei famosi congiunti. Ma questa storia probabilmente finirà anche su altri libri, quelli di economia. Perché, a livello economico, il lockdown è stato una bomba veloce e potente che ha distrutto l’economia di 2 mesi. Ognuno di noi ha potuto notare che se dobbiamo restare in casa, alla fine, la spesa si riduce all’osso. Ma dietro la spesa del consumatore, c’è l’incasso del commerciante, lo stipendio del dipendente e il pagamento dei fornitori che, reiterando il ragionamento, porta alla famosa “economia che gira”.
In questi mesi si stima che l’economia abbia avuto un rallentamento del 10-15%, che su base annua vuol dire che il PIL potrebbe essere fino al 10% più basso rispetto all’anno scorso. Il PIL è la somma dei redditi di ogni cittadino quindi, quest’anno saremo mediamente più poveri. Ma insieme ai cittadini, sarà più povero anche il bilancio statale, perché le tasse si pagano sul reddito e quindi quest’anno anche lo Stato incasserà meno. Tuttavia, le misure già introdotte dal Governo, prevedono spese che a fine anno si tradurranno in un disavanzo, circa 20 miliardi ad opera del decreto-CuraItalia e 55 miliardi dal decreto-Rilancio. Inoltre altre spese verranno programmate, portando ad un rapporto deficit-PIL che quest’anno dovrebbe superare il 10%. Si tratta di una previsione di spesa che ci riporta indietro di 30 anni a quegli anni 80, famosi per una spesa pubblica incontrollata, un’inflazione a due cifre (abbondanti) e un debito pubblico che raggiunse livelli di guardia. Furono gli anni in cui si continuava a spendere come se il boom economico non fosse finito da tempo. Erano gli anni in cui l’illusione di un’Italia invincibile ci portò ad esasperare i nostri problemi. L’economia ha le sue regole e i debiti vanno pagati, in un modo o nell’altro. Si possono onorare i propri debiti ad ogni scadenza, con manovre lacrime e sangue se necessario; oppure si può dichiarare default, ma in questo caso il prezzo da pagare è anche più alto, perché prospettico. In futuro, infatti, chi mai vorrà prestare soldi a chi già in passato non ha onorato i propri debiti? Qualcuno lo farà, ma chiederà interessi alti o garanzie forti. Perciò, è sempre conveniente “comportarsi bene” e pagare, proprio come fa ognuno di noi con il mutuo contratto per acquistare la propria casa o il prestito per l’auto nuova. Consci delle nostre responsabilità, ripaghiamo i nostri debiti. Per gli Stati non è diverso, se non fosse per un particolare, la durata del prestito. Al di là della scadenza del singolo BTP, il debito viene costantemente rifinanziato, rendendolo di fatto a scadenza indeterminata. Si stipula, pertanto, il cosiddetto patto intergenerazionale, in cui i figli si impegnano a ripagare i debiti dei padri, avendone in cambio la possibilità che i propri debiti siano a loro volta pagati dalle future generazioni. È chiaramente un sistema fragile e perverso, in cui è facile dimenticare le promesse fatte, non fosse che per il piccolo dettaglio che questo accordo è tacito ed implicito e che quasi nessuno ne sia veramente conscio. È per questo che negli ultimi anni ci lamentiamo delle misure di austerità, perché non teniamo conto di dover ripagare i debiti fatti fino ai primi anni 90. Qualcuno non era neanche nato in quegli anni, eppure oggi si trova a doverne pagare le conseguenze. Tutto sbagliato, tutto da rifare? No, sono semplicemente le regole del gioco, un gioco in cui altri sono evidentemente più bravi. Ma non tutto è perduto, perché oggi si gioca una mano importante. Oggi, dopo anni di austerity, ci viene concessa la possibilità di spendere (più o meno) liberamente, d’altronde, se non ora quando? Già, perché neanche l’ultima crisi (la peggiore da quella del ’29) ha avuto un impatto così devastante. Dal 1992 ad oggi, considerando la spesa al netto degli interessi, l’Italia ha sempre speso meno di quanto ha incassato. Si chiama avanzo (o disavanzo) primario ed indica, appunto, la differenza tra entrate e uscite, senza considerare gli interessi pagati sul debito. Dal 1992 in Italia, al di là dei vari governi, c’è sempre stato un avanzo primario, tranne nel 2009, anno in cui si ebbe un disavanzo primario dello 0,9%. Era l’anno clou della crisi, probabilmente era inevitabile. L’anno dopo ci fu un saldo nullo e dal 2011 ritornammo ad avere un saldo primario in avanzo. Tutti questi anni di contrazione della spesa pubblica sono stati la medicina che abbiamo dovuto mandar giù per curare la malattia dell’alto debito pubblico. Quest’anno, probabilmente, andremo ben oltre quello 0,9% di disavanzo del 2009. Ma questo vuol dire dare il via ad un nuovo periodo di super deficit, col debito pubblico che già quest’anno supererà il 150% e che chissà dove arriverà? È presto per dirlo, perché tutto dipende da come verranno impiegati questi soldi. Certamente l’Europa si sta dimostrando molto generosa perché, al di là delle discussioni preliminari e dei vari schieramenti, alla fine contano i fatti. Ed i fatti sono che, durante la crisi dei debiti sovrani, c’è stato il Quantitative Easing, ora ci sarà il Recovery Fund, oltre al MES che ha già salvato qualche altro Stato europeo. Il che non è male considerando che l’unione monetaria esiste da soli 18 anni (un nulla per la storia di uno Stato). Si parla di 172,7 miliardi (di cui 82 a fondo perduto) destinati all’Italia, davvero tanti. È un’occasione rara, ma va sfruttata al meglio, cioè occorre che questi soldi siano ben spesi. Il problema è che questa frase la si sente da sempre. Tutti i governi sostengono di spendere nel migliore dei modi, al contrario dei governi precedenti. La verità è che non esiste un unico modo giusto per spendere le risorse. Esistono politiche economiche di destra e politiche economiche di sinistra. Vi sono aspetti redistributivi e aspetti legati agli investimenti. Vi sono le infrastrutture, le politiche per attrarre investimenti esteri, le politiche commerciali e le politiche industriali. Vi sono mille modi giusti per spendere bene le risorse. Quello che serve, però, è coerenza nelle misure adottate. Il susseguirsi di opposti governi non può tradursi in misure isolate, sempre prive di una visione unitaria. Emblematico fu il governo giallo-verde, in cui si palesò l’ipotesi di una contestuale approvazione del Reddito di Cittadinanza e della Flat Tax. La prima redistributiva in favore dei poveri, la seconda redistributiva in favore dei ricchi. E chi paga? Paghiamo sempre noi con emissione di nuovo debito (come dire firmando cambiali). Alla fine rimase solo una delle due alternative ma, al di là delle opinioni di ciascuno, fu una scelta saggia puntare su una sola delle due misure.
Per concludere, stiamo vivendo un momento importante per il Paese, sotto tutti i punti di vista. Ci apprestiamo ad investire un’ingente quantità di risorse che ci vincolerà ancor di più sulle scelte future. Perciò è fondamentale muoverci bene. Finora i due decreti hanno giustamente cercato di arginare le difficoltà delle varie parti sociali, anche se qualcuno ne rimarrà inevitabilmente escluso (è molto difficile pensare davvero a tutti). D’ora in poi, si dovranno spendere i fondi europei sulla base di un progetto, ed infatti, l’UE vincola l’utilizzo di questi fondi all’attuazione di specifici progetti. Staremo a vedere.