Bellezza arte e fede. Le tele di Francesca Mele a Carmiano
Dieci anni fa, sull’altare maggiore della chiesa intitolata
di Antonietta Fulvio
a Sant’Antonio Abate, veniva collocato il ciclo pittorico realizzato
dall’artista novolese
CARMIANO (LECCE). Bellezza, arte e fede. Un trinomio, per dirla con termini matematici, che da sempre sta alla base delle grandi opere artistiche che impreziosiscono le chiese di tutt’Italia. In giro nel Salento, alla ricerca di luoghi da ri-scoprire ci si imbatte a Carmiano, quasi per caso, nella Chiesa di Sant’Antonio Abate la cui architettura semplice e moderna rimanda agli anni settanta. Non ce ne voglia la Diocesi ma l’esterno appare poco più che un cubo di cemento sorretto ai lati da due pareti curve che superando il corpo centrale, sorreggono la torre campanaria destra, e la croce a sinistra, lontana dallo sfarzo dei ricami in pietra leccese cui ci ha abituato la visione del barocco – anche minore – che caratterizza il territorio. La vera sorpresa la riserva l’interno.
Entrando nell’edificio religioso, consacrato al Santo del fuoco nel novembre 1974, lo sguardo è calamitato verso l’altare maggiore che si raggiunge percorrendo l’unica navata centrale. Sono lì da dieci anni, la cerimonia di consacrazione si svolse alla presenza del vescovo il 31 maggio 2010, incastonate tra le pareti di cemento le tre tele dell’artista novolese Francesca Mele volute all’epoca dall’ex parroco don Gianni Ratta.
Abbiamo incontrato l’artista Francesca Mele che ringraziamo per aver interrotto il suo lavoro (sta preparando un grande evento espositivo in Germania per il 2021) per raccontarci la genesi delle opere.
«Don Gianni ha voluto che rappresentassi tre fra i momenti più sublimi ed emblematici di tutta la storia della religione cristiana. Io, per rappresentarli al meglio, mi sono soffermata sullo sguardo.»
Quello della vergine Maria, in primis…
«Sì, lo sguardo di Maria, modello di virtù ed emblema della Chiesa nel momento in cui accetta di divenire Madre di Dio. Un messaggio che gli reca l’arcangelo Gabriele che pur dipinto con sembianze umane appare come ombra proiettata su Maria dalla forte luce divina, e seppure conserva le ali che ci riportano al passato rimane assolutamente innovativo nel suo essere incorporeo e puramente spirituale.»
Per questo motivo non hai dipinto un’ambientazione d’interni?
Esatto, ho voluto che la scena di questa Annunciazione fosse ambientata in una cornice talmente semplice da sembrare quasi inconsistente. Manca la stanza in cui si sono svolti i fatti, ne percepiamo l’esistenza solo ai piedi delle due figure che, una fisica – l’altra incorporea, sono gli assoluti protagonisti di quell’attimo passato, presente , futuro. Lo sfondo è descritto con pochi particolari in modo da non distrarre l’attenzione dello spettatore dal momento in cui l’Angelo annuncia alla giovane Maria quale sarà il suo destino. Maria leggeva la Sacra Scrittura, in ebraico “Torà” quando l’ombra di un angelo innalzato da una luce sfolgorante illuminò la notte. La Torà le cadde dalle mani e la luce della lampada che le aveva rischiarato la lettura divenne fioca e quasi si spense sotto quel vento d’ali celesti.
Maria è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizza il progetto divino.
La Trasfigurazione invece è il tema della grande tela centrale che sovrasta l’altare, hai scelto di raffigurare un momento preciso
Anche per questo dipinto il riferimento è al Vangelo di Luca, quando Gesù si reca a pregare sul Monte Tabor portando con sé solo alcuni discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo. Le figure dei discepoli restano in ombra mentre la luce divina investe la figura di Gesù, tra i profeti Mosè ed Elia. In primo piano la fiammella accesa di una lampada, ancora una volta simbolo della fede.
Veniamo all’altro dipinto laterale, la Cena di Emmaus ispirata alla lettura dei versi del Vangelo di Luca “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì alla loro vista.”
In questa tela Gesù spezza il pane come nell’ultima cena ma, questa volta scompare nell’arco di un paesaggio – Gerusalemme – o una qualsiasi città del mondo. Perché Gesù nasce, muore e da Risorto torna a noi, Discepoli di Emmaus di oggi, che lo riconosciamo solo attraverso quel gesto dello spezzare il pane, L’Eucaristia che celebriamo.
Anche qui una scena scarna, con pochi elementi quasi in contrapposizione le mani dei discepoli nell’atto di afferrare quasi Gesù che hanno riconosciuto nel gesto del pane spezzato
Ogni parte del dipinto è costruito secondo proporzioni matematiche, per creare quell’ordine che, senza interferenze, tutto riporta agli occhi di Gesù, al suo sguardo che ci segue ovunque. Nessun disordine può corrispondere alla sua icona e al logos – perché logos è il Suo nome, e cioè proporzione e rapporto, perfezione del dire, comunicazione inequivocabile.
Soprattutto, il Logos detesta ogni ornamento, ogni divagare e ogni distrazione. Sulla tavola pochi elementi. Solo la prospettiva che si apre a noi e quasi ci invita a sedere a quella mensa. Il pane – il vino – La lampada accesa che simboleggia la fede.
Non solo a Carmiano, alcune tue opere figurano anche in altri luoghi prestigiosi a Parigi Roma, a Rheine (Germania).
Ho un bel ricordo di ciò che mi lega a Parigi ma la mia grande gioia è quando le mie opere entrano a far parte dei luoghi di culto.
Come la tela del Padre francescano Giuseppe Spoletini (1870-1951) Servo di Dio le cui spoglie riposano nella Chiesa di San Francesco a Ripa sotto il pavimento della Cappella dell’Annunciata nel punto in cui è stato collocato il mio dipinto, a pochi metri dalla Beata Ludovica Albertoni del Bernini.
A Rheine nella Cappella di Gertrudenstift ci sono tre opere, Una goccia di splendore ossia l’incontro tra la Veronica e Gesù, Le ultime parole di Cristo, la Morte non esiste più.