Nope: ovvero non guardare la Bestia!
EVERYTHING, EVERYWHERE, ALL AT ONCE
(ovvero, una nuova luce sul cinema del paradosso spazio/temporale)
Prima Visione ovvero le recensioni e le riflessioni di Massimiliano Manieri
Non è mai facile parlare di una pellicola che già per il modo in cui è girata, pare scavare quasi un nuovo filone.
Un poco come tuffarsi in acque praticamente sconosciute, occorrerebbe forgiare forse dei nuovi aggettivi, anche per descriverle. E poi occorrerebbe chiedersi se questa sia una operazione creativa completamente riuscita, oppur no (ed io credo che in larga parte lo sia, riuscita…).
Di che “animale filmico” stiamo parlando dunque?
E la parola ANIMALE non è affatto casuale, credetemi!
A voler fare il provocatore linguistico, per questo film, nel volerlo collocare come genere, potrebbe esser coniato il termine ” Western/Fanta/Mistico”.
Son troppe le evidenze nei richiami biblico/religiosi disseminati dal regista, per non farli poi risaltare degnamente.
Ma anche nell’azzecare un ipotetico genere, non è che si possa poi gridar vittoria facilmente.
Poiché il buon Peele ne fa obiettivamente un prodotto assai ermetico, dove non si ha la piena convinzione di aver estratto una risultante, nemmeno a dubbi apparentemente svelati.
Tutta la pellicola è acutamente disseminata di presagi che voglion spostare il focus di intenti, nel rapporto tra gli umani e l’ambiente che li circonda, come sottili piccoli moniti posti a ricordarci quasi una mancanza di grazia da parte della nostra razza, all’equilibrio con l’universo, tutto.
Ed invero ciò mi ha personalmente riportato alla visione di INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO, laddove gli umani percepivano l’arrivo di elementi extraterrestri ancora prima che questi comparissero in scena, tramite una serie di presagi cognitivi, ancor prima che visibili. Ed è qui che il regista si gioca la carta più inaspettata, non nell’incontro auspicabile con astronavi (ed equipaggi alieni), ma con una “forma”, che riporta all’astronave, ma agli occhi del protagonista, che è un uomo abituato ad avere a che fare con cavalli, quindi con istinti animali, rimanda all’ANIMALE, quello supremo, che potremmo anche inquadrare come LA BESTIA, che potrebbe anche esser letto come CAVALIERE DELL’APOCALISSE di un ipotetico GIUDIZIO UNIVERSALE in salsa biblico/aliena. Con la differenza che mentre in altri film che analizzano lo scontro tra umani ed alieni, diciamo “aggressivi”, (stile ALIEN o PREDATOR per intenderci) se questi ti beccano, sei comunque fottuto, in questo, la Bestia, avendo appunto istinto realmente animale, se non provocata, non ti divora, esattamente come un cane non ti insegue e morde, se tu non inizi a correre…
Ed in questo caso la Bestia non sopporta che la si guardi!
Ed è ammirevole la chirurgia con cui il regista tiene teso il filo della tensione nello spettatore, anche riducendo al minimo gli effetti speciali, ma rimanendo su un territorio nutrito più che altro da simbolismi e rigore di significati intrinsechi. Ed insieme questo potrebbe sia essere il punto di forza del film, ma anche il suo tallone di Achille, avendo talmente “semplificato” la CREATURA, da farla apparire sul finale, quasi grossolana morfologicamente (anche se stilisticamente bella). Si esce dalla sala con il dubbio dell’aver assistito ad uno spettacolo criptico ed insieme evocativo, ma credo che il reale intento registico sia stato farci fare una profonda riflessione sul livello di disumanizzazione raggiunto da noi, innanzitutto.
Le chiavi di lettura del film rimangono multiple e consentono interpretazioni multilivello, dalla più semplicistica alla scatologica. La risposta ultima è nascosta negli occhi profondissimi ed incredibilmente malinconici del protagonista quasi sempre silenzioso: L’uomo che riesce quasi a “domare” la Bestia (e rispetta incredibilmente gli animali) diviene il depositario di quella verità, e forse anche di un nuovo equilibrio tra gli elementi.
Mentre intorno gli altri uomini son divorati come nulla fosse, maciullati più da un senso di imprudenza, ancor prima che da quelle fauci aliene.
Magnífico e misterioso, insieme, NOPE (No/Hope), da gustare con lentezza, facendoci domande su noi, soprattutto…