Pier Paolo Pasolini tra letteratura e settima arte
Per il Luoghi del cinema un viaggio tra i set della produzione cinematografica del poeta, scrittore e regista bolognese (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975)
Stefano Cambò
Nel panorama culturale italiano c’è un autore che è riuscito a conciliare la letteratura con il cinema e di conseguenza a legare il ruolo dello scrittore con quello del regista.
Addirittura, caso unico nella storia, questo autore è riuscito a girare un film mentre ne scriveva il testo, in modo che le due narrazioni interagissero tra loro in un continuum spazio-temporale (si tratta del libro nonché pellicola Teorema). Stiamo parlando naturalmente del maestro Pier Paolo Pasolini.
Durante le interviste, quando gli si chiedeva del perché del passaggio dalla letteratura al cinema, lo scrittore-regista rispondeva sempre che aveva sentito come il bisogno di cambiare tecnica, di provare nuovi contesti.
In realtà, il suo era un moto di ribellione nei confronti del mondo letterario italiano e una rinuncia alla nazionalità di cui non si sentiva più parte integrante (ecco spiegato l’uso della parlata dialettale in molte sue produzioni).
Una peculiarità importante della cinematografia di Pier Paolo Pasolini è stata da sempre quella di aver trasformato alcuni colleghi scrittori in attori.
Infatti, in Accattone del 1968 affida una parte a Elsa Morante e con lei, scriverà in seguito la musica per Medea trovando l’ispirazione anche per un personaggio cult di Uccellacci e Uccellini.
Negli anni Settanta, a Paolo Volponi fa interpretare il ruolo di prete in Mamma Roma, mentre ad Alfonso Gatto viene affidata la parte del medico in Teorema.
Per ultimo, all’amico e collega Giuseppe Zigaina affida il ruolo del frate confessore nel Decameron, mentre egli stesso interpreterà Giotto.
Da sempre considerato un pensatore anticonformista, Pier Paolo Pasolini si avvicina al cinema nel 1953 grazie a Giorgio Bassani che lo chiama per collaborare alla sceneggiatura de La donna del fiume di Mario Soldati.
In quegli anni, questo tipo di sodalizio era molto frequente perché si voleva dare un taglio più letterario e ricercato alle trame, specie quando i progetti riguardavano la vita nelle borgate e nelle periferie.
Ecco che allora inizia per lo scrittore un vero e proprio “periodo di praticantato” con i più grandi registi di quell’epoca. Ne Le notti di Cabiria di Federico Fellini, l’autore si cimenta con la narrazione delle sequenze dedicate alla prostituzione. L’anno dopo invece collabora ad Addio alle armi di Charles Vidor.
Queste situazioni gli permetteranno di capire al meglio il lavoro che c’è dietro la realizzazione di un film, con uno studio approfondito che lo condurrà nel 1961 a dirigere il suo primo cortometraggio, quel Accattone che riporta su pellicola i temi e i personaggi cari del suo romanzo Ragazzi di vita.
Da subito, il cinema di Pasolini si distinguerà per il suo stile anticonformista che testimonia appieno quel senso antiborghese che si stava diffondendo soprattutto nelle classi sociali più deboli.
E infatti saranno gli anni di Mamma Roma con l’indimenticabile Anna Magnani e de Il vangelo secondo Matteo metafora del sottoproletariato mondiale ma anche momento di riflessione per nuova visione del Cristianesimo evangelico.
Nel 1966 esce Uccellacci e Uccellini con protagonista il grande Totò in una delle sue rare performance drammatiche. L’anno dopo è la volta di Edipo Re, un film che conferma “la visione operaia” dell’autore, da sempre a favore dei reietti e dei miserabili.
Così a favore che, nel successivo Teorema vi è la completa disgregazione nonché annullamento del vivere borghese e della sua banale e rituale quotidianità.
Nel 1971 il regista apre le sue vedute dando origine a una produzione che poi verrà ribattezzata come “la Trilogia della vita” perché basata su temi come la nascita dell’umanità, l’innocenza perduta dei popoli e il trionfo delle istanze sessuali e naturali dell’uomo.
Di questo impianto fanno parte Il Decameron, I Racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte.
L’ultimo lavoro del regista, uscito postumo è il film Salò o le 120 giornate di Sodoma duramente criticato e censurato, ma nonostante ciò considerato ancora oggi uno dei suoi migliori in assoluto.
Questo perché il nome di Pier Paolo Pasolini con il trascorrere degli anni e delle epoche, si è andato a legare indissolubilmente al secondo neorealismo italiano.
Quel neorealismo che indagava su ogni aspetto della vita quotidiana e che accendeva i riflettori su ogni particolare, anche il più miserevole. Per questo, i suoi film furono in parte banditi e osteggiati da tutti gli esponenti di quelle classi sociali e di quei gruppi politici a cui di fondo conveniva tenere nascosta una realtà scomoda, per conservare lo status quo.
Nonostante l’ostracismo nostrano, il regista ebbe fuori dai confini italiani molti riconoscimenti sia al Festival di Cannes (miglior soggetto originale per Giovani Mariti di Mauro Bolognini e il Grand Prix Speciale per Il fiore delle Mille e una Notte) che al Festival Internazionale del film di Berlino (con l’Orso d’argento per il Decameron e l’Orso d’oro per i Racconti di Canterbury).
Il successo delle sue pellicole, oltre alle interpretazioni realistiche degli attori (presi in certe occasioni anche dalla strada), è dovuto ai luoghi scelti con cura quasi maniacale dallo stesso regista che non lasciava nulla al caso.
Per il primo film Accattone, insieme a un giovane Bernardo Bertolucci che lo aiutò alla regia, si spostò per i luoghi simbolo della periferia romana come Via Casilina, Via Tiburtina, Centocelle, Ponte Sant’Angelo e Ponte Testaccio.
Anche per il successivo Mamma Roma con la grande Anna Magnani, Pier Paolo Pasolini optò per luoghi che fossero adiacenti con la realtà che voleva raccontare. La maggior parte delle riprese infatti fu effettuata nel villaggio INA-Casa del quartiere popolare Quadrato, mentre per gli esterni si optò per il vicino Parco degli Acquedotti.
Con Il Vangelo secondo Matteo, il regista si spostò in Basilicata e più precisamente nella bellissima Matera. Da un punto di vista strettamente cinematografico si può ben affermare che l’autore fu un vero pioniere dei tempi, perché fu il primo in assoluto a ritrovare tra i tanti vicoli immersi nei Sassi Caveosi una versione autentica della città di Gerusalemme.
Per Uccellacci e Uccellini le riprese invece vennero effettuate principalmente tra Assisi e Tuscania. Quando gli chiesero del perché della scelta del grande Totò come attore protagonista, il regista rispose che la sua maschera con annesse smorfie rappresentava al meglio i caratteri principali dei personaggi fiabeschi: ossia la stravaganza e l’umanità.
Chiudiamo questa carrellata dei luoghi con l’ultima pellicola, quel Salò o le 120 giornate di Sodoma che uscì non senza problemi postumo e che venne girato in buona parte nella cinquecentesca Villa Gonzaga-Zani a Villimpenta (provincia di Mantova).
E con questa informazione, lasciamo definitivamente i film e la lunga produzione cinematografica di Pier Paolo Pasolini, ancora oggi considerato da molti addetti ai lavori il maestro indiscusso del secondo neorealismo italiano.