Roberto Buttazzo

La difficile Arte dell’immaginare

Ovvero quando l’immagine è donna di tela, strappata, rivoltata.

di Francesco Pasca

Oggi, a distanza esatta di una settimana destino il mio tempo al ricordo e racconto di un Artista che, fisicamente incontro raramente e che, costantemente annovero fra i pochi toccati dal colore, dalla luce, dal gesto, dal vibrare di un suono.

Quindi anche oggi è domenica come quel 12 di ottobre e il calendario di padre Indovino nell’oggi 19 di ottobre recita:(paese che vai, usanza che trovi.)

Riprendendo. Ebbene sì! Distinguo! Eccome! Perché nel variare di questo mondo vi sono quelli che vengono toccati dall’invisibile ed altri che toccano e si auto-definiscono, ahimè, perché da altri così definiti per aver solo la mano nella cognizione/condizione dell’usare.

Quest’ultimi son lesti, o a sentir loro, agiscono da impegnati, e poco del loro vero pensare assumono nell’imbrattare l’indifeso invisibile per loro visibilissimo.

 

 

Altri, che sono i primi, per natura son schivi, ma consapevoli, ch’è l’altra cosa del sembrare o dell’essere, che, nel consapevole, son diversi, assai diversi; sono gli Artisti, son quelli che si lasciano solo prendere, accarezzare da quell’ignaro invisibile.

Con l’ancora aroma del buon caffè appena gustato, rigorosamente amaro, ho incontrato lo sguardo nel blu, verde, amaranto e indaco di un occhio inquieto nel frenetico apparire al mondo e mi sono ancora una volta ritrovato, sebbene caduto “nella trappola della pittura”; così si introduce l’ennesima esperienza di Roberto Buttazzo.

Per me è anche esperienza in Colore da far scorrere veloce in un post doping di LUCE e da sublimare nel luogo di un san Sebastiano trafitto da una miriade di pungiglioni infermieristici; così alla Fondazione Palmieri di vico dei sotterranei, 24 a Lecce, in una Lecce ancora ignara ed in attesa di verdetti da far non più sognare in “boschi magici” e del poi trovarsi stremati sui Sassi.

Così, nel mio consapevole, ho abbracciato l’Artista.

Un’altra donna, fra le tante lì rappresentate, Marina Pizzarelli, aveva preparato la sua trappola e così mi ha “strappato/intrappolato” col suo scritto critico di presentazione e fattomi scendere nel mio abisso d’immaginazione per un Artista che conosco in serietà da anni.

“La nudità della donna è più saggia dell’insegnamento del filosofo” (Max Ernst). Roberto era lì e non si trastullava a passi larghi per le arcate, per le teorie femminili con il banale, ma infilzava l’ennesimo suo strale nel sognante corpo del suo san Sebastiano e in ognuna di quelle quotidiane e vitali esperienze vissute in e per ognuno di quei corpi al femminile tracciava la sua libertà, la eviscerava e poi l’annullava; rimpiazzava, nascondeva, drappeggiava, emergeva e poi si immergeva e ancora riemergeva in un verde che sventolava nel suo ventaglio delicato come, penne d’aquila, penne di gazza dispettosa, di piume, di tocchi, di LUCE.

L’abbraccio di quella mattina si è avuto, è stato consumato nell’afflato, per non aver partecipato alla serata del suo vernissage, me ne sono scusato. Con Roberto abbiamo parlato a lungo delle nostre esperienze. Particolare attenzione ho dedicato, ero lì nell’apposito, ad ascoltarlo. Quelle che, a suo dire, lo hanno formato e che tuttora ritiene di essere le importanti, per quel che è oggi il suo segnato, ne ha annoverate tante. Abbiamo parlato, ovviamente, della Città, di come è solita, certa Lecce, dire di esser di Cultura. Non sono sfuggite le accademie esistenti e non, le piccine conventicole nei salotti o non abbiamo fatto a meno di annoverare gli artisti dimenticati e da dimenticare.

S’è detto dei due volti della Città, di quell’essere barocca come solo riconoscimento di facciata e rinascimentale/illuminista nella ricerca. Roberto si confida, vuole la LUCE e che non sia di ribalta, vuole dare corso alla sua fantasia che è gentile, delicata e che sa essere anche severa maestra per chi crede nella difficile arte di dipingere nell’immaginare. Gli aneddoti si sommano agli aneddoti, le sensazioni vibrano, premono come stantuffi nel perennemente compresso e nel ricevere la quotidiana overdose di colore e di immaginario. L’assuefazione non è del solo colore ma della consapevolezza e del dare, del come accrescere l’ancora piccola montagnola di “dose” ai piedi del suo San Sebastiano. Nell’immaginario Tutto avviene come per un sogno da raccontare e come i granelli di sabbia dell’Aleph di Borges.

Roberto mi racconta, si racconta, mi porta l’esempio del chi e del come si deve essere; mi parla, commenta di un incontro non solo con il colore ma anche con la pietra e con il suo custode.

È piacevole ascoltarlo parlare di appunti accuratamente presi per quelle straordinarie occasioni. Ascolto attentamente le sue emozioni, ascolto e so di quel gigante buono in quel di Spigolizzi, del Luogo consacrato alla pietra. Roberto ne parla con lucida commozione, accenna prima del “segreto” di Norman Mommens, poi, data la mia insistenza inizia a descrivere di lievi ticchettii, di un suo circospetto avvicinamento a quei rumori e al successivo avvistamento dell’elfo della pietra intento a sagomare rocce affioranti.

Roberto: «Norman che fai?»

Norman: «metto a dimora la magia, la pietra ha bisogno del suo senso e riposo.»

Roberto: «chi ti ha insegnato questo?»

Norman: «vieni con me Roberto, seguimi.»

Roberto continuava a descrivermi Norman inseguito dal suo pensiero e che lo porterà nel luogo più remoto della sua Spigolizzi. Dal fondo di una cassapanca Norman prenderà un rotolo, con la stessa delicatezza nel pendere la particola dalla pisside. Avvolto e custodito come fosse un tesoro, lentamente, lascerà scorrere, farà apparire la sua Sindone.

Norman: «quel che vedi è il mio diploma di Maestro, è di tela ed ha le facciate ricche del mio sudore e del mio sangue, questo è stato il mio insegnamento, chi può avermi insegnato tutto questo?»

Roberto: «Grazie! Comprendo.»

 

Domenica scorsa ho incontrato uno sguardo, di giorno, era il 12 di ottobre, di san Serafino. Il calendario di padre Indovino a questo giorno dedicava il seguente proverbio: (a dormire coi cani si prendono le pulci).

Grazie per la tua fatica:

“la mattina quando mi sveglio, non ricordo cosa è accaduto mentre dormivo.

Ricordo però perfettamente il sogno che ho fatto durante il giorno, quando ritorno a letto.”

(Roberto Buttazzo)

A pensarci bene nulla è per caso.