Leggendo “Mena”
I Luoghi delle parole/ spazio recensione
In un libro l’amore per le parole e per la propria terra
di Chiara Bevilacqua
“Mena non è un romanzo. E’ qualcosa di più semplice. Le lettere hanno preso forma per imprimere il tempo ai luoghi senza deturparli della loro bellezza, per coltivare quei ricordi che seducono come sguardi felici”.
E’ così che Lucia Accoto, autrice del libro, sceglie d’introdurre il lettore alle gocce di ricordi di cui “Mena” è il cristallino acquario.
Il libro, infatti, non si presenta come un romanzo, ma piuttosto come una sorta di diario dove ogni lettera richiama profumi, immagini riemerse dalla patina del tempo, sensazioni e sogni, che affiorano tra le pagine in un connubio di parole forgiate nell’inchiostro.
Il testo, terzo volume della collezione di poesia e narrativa contemporanea ConTesti DiVersi edita da Il Raggio Verde, è incorniciato dai caldi colori della copertina curata dall’artista Enzo de Giorgi raffigurante il suo dipinto “Apollo e Dafne”.
I due nuclei fondamentali intorno ai quali ruota l’elegante scrittura di Lucia Accoto, sono l’amore per le parole e quello per la terra d’origine, il Salento.
Il libro è composto da quattordici lettere, strutturate talvolta come reminescenze di un tempo fanciullesco, talaltra come risultato del bisogno d’imprimere sulla carta quel confuso flusso di emozioni che affollano i giorni vissuti “all’ombra del barocco”.
“Le parole mi hanno salvata… Ho scelto di seguirle. Di amarle senza contarle mai… Non ho mai smesso di scrivere. Parlare è il primo passo della vita. E le parole sono diventate la mia”.
Ed è così che, attraverso “le fenditure dei muretti a secco”, Lucia Accoto sceglie le tanto amate parole per raccontare il suo Meridione, in una danza di colori, odori, oggetti e persone, immortalati da una fotografia in prosa di eccezionale vita quotidiana.
La capacità straordinaria di questo testo è quella di farti immergere completamente nelle sue atmosfere, in un istante ti ritrovi bambino e riassapori gli odori del gesso che si consuma sulla lavagna, le ginocchia sbucciate dai primi capitomboli in bicicletta, l’innocenza di un sguardo ormai perduto. Poi ad un tratto sei nuovamente adulto, assapori la tua terra con occhi diversi, con nostalgia e forse un po’ di rimorso per aver di tanto in tanto dimenticato le radici che ti hanno iniziato a quel viaggio che è l’esistenza umana.
In un tempo frenetico, dove “Mena” è un’esortazione ad alzare il passo, questo libro ci fa sentire “il desiderio di non perdere un altro pezzo del passato che riaffiora per poi essere inghiottito, preso a morsi per la fame di ricordare”, ci permette di soffermarci per un momento a guardarci intorno, ricreare quel contatto con un Sud senza tempo “che si trascina sotto il fuoco”, non raccontato da minuziose descrizioni, ma evocato dalle emozioni, dalle anime che lo hanno vissuto e dai pensieri più profondi che passeggiano a braccetto con i ricordi.
In una “storia che ha un inizio, ma che ignora la fine”.