Santa Sofia da Museo a Moschea
di Sara Di Caprio
È una delle basiliche riportate su tutti i libri di storia dell’arte. Non è solo esemplare per i suoi mosaici, per l’imponenza della sua cupola che “contiene” lo splendore del passato di “Costantinopoli” e “Bisanzio” ma è un simbolo, patrimonio dell’umanità. Edificio capolavoro dell’architettura bizantina: Santa Sofia a Instabul è intitolata dal greco “Haghia Sophìa” alla Divina sapienza, che di certo non ha ispirato il governo Turco con la sua riconversione.
La costruzione attuale della basilica iniziò nel 532 d.C. per volere dell’imperatore Giustiano I e durò solo cinque anni sotto la guida di due architetti e matematici: Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto. All’epoca fu riconosciuta come la basilica più grande della cristianità.
Ha una pianta a croce greca iscritta in un perimetro quasi quadrato, è dotata di un ampio quadriportico e un doppio nartece (che era in antichità lo spazio riservato ai catecumeni). La vera protagonista è la cupola al centro che ha un diametro di 31 metri, ricostruita dopo un terremoto nel 558 d.C. dal figlio del precedente architetto Isidoro il Giovane.
La basilica di Santa Sofia ha attraversato la storia e ha “superato” diversi eventi come il periodo iconoclasta bizantino quando per volere di Leone III l’Isaurico furono rimosse statue e immagini religiose. Ha subito incendi e terremoti e fu saccheggiata durante la Quarta Crociata dai cristiani che trafugarono diverse reliquie. Ha conosciuto anche la devastazione del sultano Maometto II che nel 1453 la fece diventare una moschea, intonacando i mosaici parietali e aggiungendo dei minareti, status questo che durò fino al 1935. Fu il primo presidente turco Mustafa Kemal Ataturk a trasformare l’edificio in un museo, promuovendo una lunga campagna di restauro che permise di rimuovere l’intonaco che imprigionava lo splendore dei mosaici.
Santa Sofia è un luogo dove si rincorrono superfici curve e rette e che per come è stata concepita produce un effetto di dilatazione dello spazio. Quello che emerge dal punto di vista architettonico è il superamento della concezione classica di parete.
Fondamentale è il ruolo della luce che ha la capacità di rimanere “sospesa” rimbalzando all’interno non a caso, Procopio di Cesarea descriveva questa impressione: «lo spazio non sia illuminato dall’esterno, ma che la sua luminosità sia generata dall’interno». Lo stesso effetto si riverbera nelle parole di Paolo Silenziario: «Di sera una tale luce si diffonde dal tempio su ciò che lo attornia che lo si potrebbe chiamare un sole notturno […]. Il navigatore non ha bisogno d’altro faro, gli basta guardare la luce del tempio». Il fruitore ancora oggi, come allora, rimane abbagliato dalla luce che rimbalza sulle tessere dei mosaici sul modo in cui vibra sulle superfici che compongono l’arredo, dalle colonne verdi di marmo serpentino della Tessaglia al rosso del porfido di quelle nelle esedre; alle sfumature grigie e azzurro del marmo che compongono pavimento e pareti. La professoressa Maria Rosaria Marchionibus ne “I colori nell’arte sacra a Bisanzio” coglie tutte queste sfumature: «una superficie marina increspata da onde blu, che sembrano provocate da un sasso gettatovi all’interno… Per oltre un millennio i visitatori hanno…notato che le ondulate venature bluastre del marmo rendevano tale pavimento simile a un mare gelato. Persino Maometto II, in occasione della conquista di Costantinopoli, aveva ammirato la ‘distesa del mare in tempesta’ di S. Sofia».
All’epoca venne chiamato l’ombelico del mondo “omphalion” e oggi ritorna al centro di una questione molto delicata. Se la lungimiranza del primo presidente turco aveva aperto Santa Sofia a tutti rendendola, di fatto, patrimonio dell’umanità e avvicinando “culturalmente” la Turchia all’Europa, il presidente Erdogan fa marcia indietro.
A partire dal 24 Luglio Santa Sofia si riconverte in moschea, creando una frattura con l’Unesco. Uno dei requisiti per preservare un luogo dal valore eccezionale come questo è il libero accesso al pubblico. È normale dunque che la preoccupazione dell’organizzazione sia proprio la tutela perché il governo di Ankara aveva preso l’accordo di garantire l’accesso ad ogni individuo senza discriminazioni. Certo la libertà di culto è un diritto di tutti gli uomini e il governo turco garantisce che la basilica continuerà ad essere accessibile, come altre moschee e chiese in tutto il mondo. Ma di fatto il bellissimo pavimento di marmo blu verrà coperto dai tappeti per la preghiera islamica. E la domanda che frulla nella mente degli storici dell’arte è: cosa succederà ai mosaici? Il culto islamico vieta la rappresentazione dell’immagine. Sicuramente l’elettorato nazionalista islamico che tanto ha applaudito e voluto questa riconversione pretenderà anche la copertura, l’oscuramento, di quei mosaici che invece permettono il riverbero della luce attribuendo a Santa Sofia l’atmosfera “aurea” e divina. Si è parlato di un sistema di tende, ancora da chiarire. Si spera e si “prega” che non ci sia un’adesione completa a quel passato che portò ad una copertura dei mosaici a base di intonaco. Si sentono voci troppo sconnesse e controverse da Ankara. Una delle ultime dichiarazioni del presidente Erdogan cerca di rassicurare il destino dei mosaici che “nessuno toccherà” ma lo stesso giorno, ricorda l’arciprete Nikolay Balashov, vice direttore del dipartimento Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca “il suo ministro della Cultura dichiara che l’arte cristiana, ritenuta inappropriata per una moschea, sarà esposta altrove”. Da un lato le autorità turche assicurano che i pellegrini potranno vedere le opere d’arte quando non si tengono le funzioni religiose, dall’altro – rimarca lo stesso Balashov “viene riferito che la lettura del Corano si terrà 24 ore al giorno”.
È triste che la libertà di culto sia stata usata come pretesto per un ritorno al passato, un modo per coprire invece che liberare. Si torna verso un oscurantismo, in tutti i sensi. Il principio della libertà di culto è basato sulla conoscenza e quindi sulla cultura. È la cultura che genera libertà che non ha bandiere, non ha colori, non ha pregiudizi. Allo stesso modo l’arte si decontestualizza dal contesto che l’ha voluta. In questo caso l’idea di un museo rendeva neutra l’influenza religiosa restituendoci soltanto una bellissima opera architettonica che tutti potevano ammirare. Quando si elimina un museo ci perdono tutti.