Nel Nuovo
Dialogo con Tiziano Terzani il “pacifista arrabbiato” e come “un lento giro di Giostra”.
di Francesco Pasca
La sfida al “Ricordo” è nel film del tedesco Jo Baier, “La fine è il mio inizio”.
Il 1 aprile 2011 la visione. Un film fatto di dialoghi, di silenzi, di malattia e di percorsi. Bruno Ganz è Tiziano ed Elio Germano è Folco.
Questo film è il dialogo. La casa in Orsigna è l’Asia, è la Cina, è la scoperta del nuovo Nuovo che attende Terzani da giornalista e narratore.
L’esperienza sarà unica, unica come quella del regista e del suo modo di fare cinema. Lo sceneggiatore è Ulrich Limmer.
Per Te che è ricordo.
Leggevo di come può essere un ricordo e la sorpresa. Del leggere era, per me, lo stesso ricordare. Rifiutavo leggendo di ricordo, non era ritenuta sufficiente la voce da far annunciare alla mia memoria, non era il giorno da separare da un altro giorno, cosa da cosa, parola da parola. La ragione di tanto però diveniva, si avvicinava come curva da svoltare e poi da scoprire. Cercavo ostinatamente il silenzio di una forma. Sono stato per una quantità indefinita di ricordo come un inutile cercatore di silenzi. All’improvviso fu una figura, quella da me incontrata in un altro ricordo di lettura. In quell’indeterminata attesa ho dato il mio inciampo. Ogni volta quell’inciampo è stato alzare gli occhi, cercare non so cosa. Vi assicuro che non è descrizione da scrivere ma da tenere stretta nell’economia della propria memoria. Di fatto ho esaurito la irresponsabilità del mio assassinio di ricordi, ho rimosso dalla polvere dei miei scaffali alcune parole che pesavano come soste. Ho trovato:
«Io sono qui alla ricerca di una cultura che sia in grado di resistere alla modernità di tipo occidentale» ed ancora: «Sono curioso di vedere come funziona un mondo non ancora retto esclusivamente dai criteri dell’economia». (Tiziano Terzani)
Dall’intimo affascinante della parola di Terzani mi giunse il captare eremitico; uno spirito che non ha luogo se non quello della collina toscana, l’eremo infinito di giornalista di trincea esposto alle intemperie che non sono atmosferiche ma significantemente storiche, non sono nè al di più, nè al di qua o al di là di quanto già furono incerti e scuri gli anni ‘70 dell’ultimo centennio; che è poi millennio e che da tutti, della mia generazione, è ancora distante una spanna. Ho colto l’occasione per affondare lo sguardo nell’attesa del 1° di Aprile. Ho sfilato ed infilato il mio gesto fra i dorsi di carta de “La Fine è il Mio Inizio” di Terzani. Ho Sperato, rileggendo, nella sottile ironia di Tiziano, in una fine che non è fine, nell’inizio. Ho riletto le tante parole che impressionavano ieri la mia memoria. Sono ancora veloci le parole, sono come i colori distolti dall’aria sottile, come gli umori di grano bagnato, come l’erba arruffata lungo le rotaie dalla sagoma metallica del treno della mia SUD-EST. Non erano più, per la mia memoria, discorsi di Asia, né immagini ruvide e tascabili che si possono portare nell’intimo proprio grigiore, ma curiosità come un ettaro di terreno di un ovunque. Ancora una volta incuriosiva la parola di Tiziano sul Laos e la Birmania, sulla Cina. Paesi per me virtuali, distanti. Per lui invece paesi in cui fu arrestato ed espulso. Paesi da lui idealizzati ed amati per così tanto tempo, tempo che oggi è poco, è annullato quel tempo. Per me lo ridiventavano quei luoghi, altrettanti ne rimanevano segnati.
Mi sono rivolto a Tiziano ed ho detto:«Serra gli occhi!». Gli ho parlato di tono, sono stato severo. «Ascolterai ugualmente e non sarà il fiume che scorre sotto la corteccia del tuo giardino che si fa albero ma ala del tuo artiglio, la vetrata da infrangere, il ramo da far sostenere.» Ho persino sentito la sua risposta, anch’essa dura e affilata.
«Distaccati dalla morte che è solo ricordo da altra separazione.»
«Distaccati dalla sorpresa e da quello che chiami sofferenza. Distaccati! É il ricordo del tuo cantico di libertà. Da quel ricordo sia il fiorire dell’ultimo, dell’altrui desiderio. Da quel sentiero non si è né profondi né alti. Da quel cantico di libertà, distacco di un cammino su di una canna, percorri lo sguardo ondeggiato verso l’alto e al momento in cui è la fine di quel percorso, sull’apice ondeggiante di quel pennacchio, nel succedersi dell’ampio orizzonte è tempo di guardare verso il basso, di ridiscendere. Di quel viaggio fanne fare l’uso corretto, fattelo servire fresco come una fiamma. Sentilo intonare come se fatto dalle sette note e sorelle. Da una ad una, sino all’ultima di quella scala. Dalle sette prendi l’ultima che è la più bella, prendi il “Si” come paradosso di frontiera dell’ignoto.» Ho ascoltato in silenzio, ed ancora mi ha detto: «Sia la corrispondenza di una lettera da te scritta a chi ha deciso il tuo distacco. Divertiti nelle impossibilità, corri sui fili dei panni da asciugare, mostra il tuo disastrato palazzo asiatico, la tua pagoda, la tua tartaruga che ascolta le notti. Non avere indulgenza verso i temi rimossi. Il ricordo non è malattia, è l’equazione con il tutto raccontato, sono riflessioni di giornalista, di scrittore scomparso.»
Poche cose ho potuto a lui raccontare se non che il 2004 è stato l’inizio in cui era giunto ed ha incontrato il suo racconto e il ricordo, che era alla fine del suo estraneo ricordo, che come Enea aveva portato sulle spalle l’Anchise che è Paese ed è Storia e che come Enea ha affidato tutto al suo Ascanio.
Gli ho riletto la memoria del figlio al figlio. Ho ripetuto sulla perpetua circonferenza le sue stesse parole:«Il mio nome, il mio lavoro, la mia nazionalità, tutto quello a cui un tempo sarei ricorso per definirmi, non mi parevano più i miei. Non mi riconoscevo più in quei pezzi d’identità. Mi ci sentivo intrappolato. Certo: erano parte della vita che avevo fatto, la vita di cui avevo goduto, ma erano anche i pezzi della vita che mi aveva portato prima alla depressione, poi al resto, e il lasciarmi tutto alle spalle per avviarmi verso qualcosa di completamente nuovo era un vero sollievo.» (da “Un Altro Giro di Giostra” 2004 Longanesi, p. 335).
Gli ho detto.
“Attendo l’uscita del tuo film.”