l’impoetico mafioso

della convivenza civile nell’impegno intellettuale per la poesia.

 

di Francesco Pasca

 

Martedì 22.11.2011 alle ore 18:00 presso la Tipografia del Commercio di via dei Perroni, a Lecce, in collaborazioni dell’ANPI e del foglio poetico Diversalità poetiche, il prof. Maurizio Nocera presenterà: Lo schiaffo dei poeti alla cultura mafiosa, ovvero il volume L’Impoetico Mafioso AA.VV. edizioni CFR per la collana Épos, poesia politica e sociale. Saranno altresì presenti: il curatore del libro, Gianmario Lucini e Francesco Pasca per Diversalità poetiche. Coordinerà Lucia Buttazzo.

L’appello viene dalla Calabria, ma non è più il fenomeno locale. Giunge dai luoghi dove non si vuole più possibile la poesia, la si vuole estirpare. Ma la poesia ha profonde radici e gli artisti e gli intellettuali sono altrettanti organi di quella pianta, assorbono i fondamentali per la vita di quella pianta. Sono l’ancoraggio e la produzione, sono sviluppo e germoglio, sono anche corteccia. Sono quelli che spiegano la verità dei mutamenti, l’indiscutibile affermazione del molteplice. Sebbene siano intorno a noi, siamo i distratti del nostro tempo, è così che ci capitano spesso tra le mani i richiami alle notizie dimenticate. Si scrive, ci si sforza di catturare addirittura la nostra stessa attenzione. Si vorrebbe uccidere con le parole per creare il “Caso” e l’attenzione. Il ricordo, volutamente, lo lasciamo riaccendere nelle convenienze, nelle date che vengono sbattute in faccia dai nostri stessi rimorsi.

Parlare di mafia, ad esempio, è distratta consuetudine. Adesso che scrivo, sposto il discorso sulle parole e diventano: «un momento storico di ampia sottovalutazione dell’impatto devastante della cultura mafiosa in ogni ambito sociale […] » Così scrive Gianmario Lucentini ed io stesso ne abuso. Per chi leggerà il volume devono  ritornare ad essere le parole correttamente trasmesse dal Lucentini e dai 105 poeti presenti e narranti l’autenticità di un fenomeno. Per me che ne scrivo, sono anche le parole di Luca Necciai, quelle trovate nella poesia che mi ha distratto dalla consuetudine: «il vento/ su quel calice rovesciato/ seminò/ polveri di castelli/ cullati dal respiro sommesso/ di ulivi sperduti […] Che non É/ pace/ ma rispetto ossequioso/ d’agonie/ di morte» (pag. 64). Ho preso a caso una delle mie tante “distrazioni” potrei riferirne centocinque, una per ognuno dei poeti presenti, così come commentare le tante e belle immagini presenti. Sono le memorie dei Peppino, dei Vincenzo, dei Lollò, dei Rocco, dei don Puglisi, dei giudici Falcone-Borsellino-Impastato, dei tanti che troverete su questo libro ben documentato e proposto. La condanna che deve turbare deve essere quella dei nostri buoni propositi, di quelli divenuti il costume irrilevante, di quelli del “pour parler”, del “vaniloquio”. Per la legalità, in questo ormai andare per l’accidentale fortuna, vi sono gli attenti testimoni del quotidiano, di chi non si arrende, di chi continua il suo urlare silenzioso. Si continua a scrivere non solo per il proprio bisogno, ma anche per quello degli “altri” per quelli a noi “uguali”, per gli “Altri” che non sono poi così come vorrebbe lo stesso aggettivo anch‘esso dedito all’impersonale o al pronome indefinito o allo stesso pronome personale divenuto impersonale. In questa essenza d’essere non vi può essere un nessun altro o un qualcos’altro o un qualunque altro, vi è solo l’Altro che è il Vero, che ha la necessità di netta separazione dall’anonimato del chiunque e si fa sveglio e sveglia.

È il poeta, in questo caso sono 105, tutti per la legalità e la responsabilità sociale. Sono quelli del ricordo perenne per Angelo Vassallo. Scrivono dell’impellenza. Fra gli “Altri” vi devono essere anche coloro che leggono e si nutrono della loro testimonianza attraverso un libro edito da CFR Edizioni, che leggono gli scritti curati da Gianmaria Lucini, che registrano e condividono la memoria di: «migliaia di nostri concittadini che hanno difeso la libertà di tutti con la cultura della responsabilità a costo della loro vita.» Così scrive Rita Borsellino nella lettera inviata nel marzo 2011 al prefatore e in occasione della ristampa di l’impoetico mafioso. Ribadire, leggere ed approfondire è: «Parlate della Mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene» La frase è l’attualità, quella detta da Paolo Borsellino, dal figlio di Diego e di Maria Lepanto, di chi nacque a Palermo nel quartiere popolare detto La Kalsa vissuta in sorte con amico Giovanni Falcone.

Ironia del caso fu anche La Kalsa, quella con(divisa), dei Tommaso Buscetta.