SPAZIA APERTI
Alla galleria Mentana di Firenze dal 18 febbraio espongono
Vincenzo Angelino, Ingo Ostersehlte, Tommaso Andreini, Armandi, Ece Kazan, Harriet Whyatt, Ulrike Panhorst, Carlo Scanagatta, Emilio Facchini.
SPAZIA APERTI
di Federica Murgia
Vincenzo Angelino
E’ il palcoscenico dei pensieri che si delinea nelle opere, di tendenza informale, di Vincenzo Angelino. Le sue sono scene dove le quinte e i fondali, creati da piani sovrapposti che interagiscono con le campiture di colore, danno luogo a sensazioni di spazialità che parlano d’atmosfere interiori: trame del racconto dell’Io. Le suggestioni cromatiche descrivono armonie interrotte solo da pochi tagli neri incrocianti le preoccupazioni, che si palesano oltre il cielo frantumato delle forme. Nelle opere si avverte un lirismo sottile narrato da linee, che sfuggono all’esattezza dei tagli geometrici in irregolarità ed inserimenti d’elementi. Cartoni, pezzi di tela, ritagliati grossolanamente, sono diventati segni di profondità che esaltano le tinte dei piani sottostanti. La traiettoria di una cometa di cartone, che si allontana, seguendo il suo percorso nell’universo, lascia intuire la scia lattiginosa di dubbi e d’angosce. Nella tensione del rosso, assurto a colore dei sentimenti forti, si avverte la passionalità di una ribellione interiore che vuole allontanarsi dai toni dorati delle apparenze per armonizzarsi con l’essere. L’artista ritrova nell’azzurro di un cielo ricostruito il lirismo di un racconto, dove la libertà dell’interpretazione pittorica dello spazio coincide con quella del suo spirito e della natura.
Ingo Ostersehlte
La bandiera, del sol levante, si è colorata della tempesta che va allontanandosi nella desolazione di una spiaggia ferita. C’è l’idea di un “viaggio” in due valigie dimenticate, in un paio di scarpe messe una a fianco all’altra e nelle impronte, di piedi nudi sulla sabbia, che conducono al mare: uniche tracce di vita umana. Le increspature delle onde, che schiumano di pennellate luminescenti, raccontano di solitudine e di disperazione con la voce dei toni dei blu che si fanno sempre più cupi. Gli alti cavalloni abbandonano i colori del dolore per tingersi della gioia del sogno di librarsi su un dollaro diventato surf. Il temerario giovane, ancorato sulla metaforica tavola di ricchezza con i piedi, percorre i tunnel d’acqua per sbucare nella speranza della felicità. Ingo si allontana dal mare per giungere alle note liberty che illuminano le notti russe nello scintillio dei vetri di Murano e degli Swarovsky. La stilizzazione di linee curve che si arrotolano sino a creare dei cerchi magici di decorazioni, che inseguono segni ancestrali, sono occhi sporgenti che, nell’illuminare la scena, contrastano gli sfondi scuri ed opachi per raccontare un mondo meraviglioso di trionfo della luce sulle tenebre.
Tommaso Andreini
Nel movimento dei salti dei cavalli, che si elevano verso l’alto spostando le criniere per seguire il vento dei colori che le fissano in ondulazioni di crini, si avverte la sintesi di una natura fremente di vita. I dipinti di Tommaso Andreini sono ceselli di pennellate sicure, che hanno dato ombre, volumi forme, diventate alchimie magiche che fanno udire i nitriti dei possenti destrieri che, imbizzarriti, mostrano le loro vigorose muscolature tese in uno sforzo di vittoria. Gli scuri presagi di Cassandra mandano invano un lampo di luce ad illuminare il corsiero dagli occhi ferini e ingannatori. Le trame fosche di dolore, per l’artista, sono diventate sprazzi di colore rosso di sangue raggrumato che segnano i confini striati dalla disperazione che si è impadronita della cinta della sconfitta.
Risaltano armature e gualdrappe che creano cromatismi contrastanti nella giostra dei sogni che, sentito l’olifante, fanno incrociare le lance d’antica tenzone. Sono i corsieri di speranze, vane, che si perdono nei sogni di volo di un vecchio che, in un aeroplanino di carta, trova la via di fuga dalla materialità di un corpo rassegnato al tempo ma, ancora, propenso alle illusioni.
Armandi
Nelle sculture di Armandì si ode l’eco di Sardegna che va di pietra in pietra, seguendo il Genius Loci che l’ha guidato nei colpi della mazza sullo scalpello. Opere che, nei tratti marcati dei visi malinconici, diventati maschere ancestrali, dove si avverte il dolore di un artista che descrive la sofferenza di un popolo, il Sardo, che ha dovuto subire una cultura altra, si allungano nelle attese di un mondo migliore.
Le profonde scanalature, che incidono le figure, sono la traslazione del racconto metaforico delle ferite di un animo. La trasfigurazione della realtà, divisa fra luogo e storia, si coniuga all’animo dell’artista che, nel bifrontismo delle opere, racconta di sentimenti e religiosità d’essere. Le sue sono pietre, urli muti, che hanno preso vita in una madre che in un abbraccio racconta d’asprezze apparenti e d’amore universale segnato dall’attesa diventata rassegnazione. Sono opere che descrivono il valore della dignità, nel rimando alla fierezza nuragica d’impavidi guerrieri dagli scudi tondi, per esorcizzare lo sfruttamento moderno e l’abuso scriteriato di una meravigliosa terra.
I solchi profondi sui graniti, tracciati con forza, raccontano l’animo di Armandì, intimamente, simbiotico con la spiritualità della natura.
Ece Kazan
Nelle ceramiche di Ece Kazan c’è il sogno d’oriente che si racconta in suggestive forme sapientemente decorate. Sono oggetti danzanti che, pur conservando tracce delle antiche funzionalità, sono diventati sculture con nuovi significati. Fiasche, bottiglie, sormontate da dischi, segnati da spicchi dagli armoniosi toni, diventati corolle di fiori che si aprono in graziosi svolazzi su treti gonfi di vita, pare si muovano al soffio di una brezza melodiosa. Contenitori di desideri che raccontano di donna che usa la terra, la lavora, la trasforma donando eleganza e bellezza con la vetrina e i colori dell’animo. Piegamenti e incavi, fatti con delicate pressioni delle mani, sull’argilla ancora umida, originano forme che hanno spirito di vita. Le decorazioni parlano di paesaggi duri che muovono con linee geometrizzanti per traslarsi in climi di libertà dove i colori grevi assumono la gaiezza dello spirito in tonalità blu-violacee e note di verdi e d’arancio. Versatoi che conservano, giustapposte, impugnature, raccontano di gusto del bello e d’eleganza compositiva ed ideativa. Le opere dell’artista sono un inno alla donna che sa far diventare le cose semplici e d’uso comune delle bellissime creazioni che parlano d’ingegno e d’arte.
Harriet Whyatt
Nelle opere di Harriet Whyatt si palesa un animo zingaro e rivoluzionario dove, sotto l’apparente festa gioiosa, si nasconde il dramma delle istanze sociali che premono per aver voce. Sono dei climi hippy che sanno di figli dei fiori che, ormai, si sono avviati alle cocenti delusioni date dai fucili contro la giustezza della pace e l’amore libero. Nei tratti espressionisti dei visi dei soggetti, segnati da grosse pennellate demarcanti i contorni, si legge un velo di malinconia stimolata dallo stordimento del fumo che li ha perduti nei paradisi artificiali. Corpi giovanissimi, di pubertà evidente, si vestono dei colori, rossi smorzanti in marroni e gialli, resi grevi dall’attesa delle delusioni dell’amore libero. Ragazze prigioniere dei sogni, intrappolate negli abbracci d’amori nomadi, hanno gli occhi spalancati all’incertezza del domani dove la fedeltà sembra essere diventata prerogativa, solo, dei poetici cani. Le fioriture dei tralci di rose, che affondano stabilmente le radici nel terreno, stridono con gli occhi gitani di giovani errabondi che viaggiano sui sentieri della libertà alla ricerca dell’armonia. Nella danza diventa caotica, al rullio dei tamburelli percossi dal tempo, c’è la perdita dei sogni di chi si è svegliato adulto.
Ulrike Panhorst
Un’apparente estroflessione spaziale, dai toni cerulei, racconta di colore che scorre gocciolante, in solchi che scendono seguendo i percorsi della libertà sino all’esaurimento. I grigi degli sfondi conservano tracce cromatiche riconducibili all’illusione convessa che, donando movimento, aggiunge armonia alla narrazione pittorica. Nelle opere di Ulrike Panhorst si ritrova una casualità, solo apparente, di luci e di ombre che raccontano il suo animo e descrivono la sensibilità che la porta a vedere un universo nebuloso, primordiale, fatto da sfumature che, sovrapponendosi, permettono d’intravedere le velature sottostanti che conservano poetiche pennellate striate di speranza. Il colore è diventato la scia di copie interrotte che hanno lasciato i segni di sbavature digradanti in fughe dai tragitti segnati. L’idea della perfezione, suggerita dal tratto del cerchio rosso diventato mandala, si perde in umane concezioni di sbavature che sfuggono al rigore della geometria scegliendo le vie da percorrere. L’Io dell’artista prende forma nella libertà dei segni lasciati dai bianchi: luci che sono riuscite ad insinuarsi illuminando il buio delle paure oscure. Nelle sue opere si avvertono i segni della riscoperta di una nuova spiritualità romantica.
Carlo Scanagatta
L’artista rappresenta un mondo sospeso, di cui si avverte il disfacimento in un catino, in un vortice che, innalzandosi e arrotolandosi, fa presagire il peggio. L’onda inquietante e carica d’insidia pone dei perché a chi vede l’angoscia della fine e con lo sguardo velato di tristezza avverte il grido d’allarme contro l’inquinante dissennatezza tecnologica. Il salire e lo scendere nell’altalena della gioia è il momento di spensieratezza che emerge dalle prospettive di colore che si allontanano nel sogno, in sprazzi di verdi di speranza che trovano spazio in tracce di blu religioso contrastati con il calore passionale dei rossi che vengono illuminati da aspettative di felicità.
Le simboliche mani, aperte alla vita, sostegno materiale, si dissolvono lasciando emergere bilichi e frantumi delle colonne della gioia. L”incredulità è nel sorriso della ragazza che cambia il colore di capelli ma questo non le basta per accettare un mondo rovesciato ed ambiguo dove l’esteriore è imperativo.
Le fotografie di Carlo Scanagatta, rese in modo originale ed espressivo, sono opere che ci riportano a concetti di pittura dove pennellate e spatolate di mouse rendono surreali climi reali che si contraffacciano con l’inconscio.
Emilio Facchini
Nelle opere di Emilio Facchini il buio dei tormenti si schiarisce nella fuga degli sfondi di piani prospettici, diventati descrizione dei paesaggi del suo inconscio. Il dolore prende forma nei colori cupi dei primi piani che descrivono la tensione che si esalta nella ricerca dell’allontanamento dal conformismo e dall’apparenza. I due corpi, che vogliono emergere dal buio, sono metafora di una lotta intima per sfuggire alle possenti mani, catene, che vorrebbero condizionare la libertà espressiva del suo essere pittore. I sereni colori dell’attesa di chi si è perduta nella vuotezza dei sogni si arricchiscono dell’espressività dei grevi colori della vecchiaia dove i protagonisti, solo a prima vista persi nella solitudine, sono in compagnia di una vita passata d’affetti sicuri. Lo scorcio della finestra dei ricordi si fa evanescente nelle masse diventate nubi che si sono gonfiate delle sofferenze per allontanarle dalla memoria.
L’artista si esprime con una pittura intimistica che nei simboli si esalta di spiritualità, dove le allegorie dei personaggi e dei colori descrivono l’uomo, granello di polvere dell’universo, che quotidianamente cerca di ritrovare l’armonia fra spirito e materialità.
Galleria d’Arte Mentana
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INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
SPAZIA APERTI
SABATO 18 FEBBRAIO DALLE ORE 18,00 IN POI
Fino al 14 Marzo 2012
La serata sarà allietata da schiacciata alla fiorentina e vini del Castello di Verrazzano.
Artisti:
Vincenzo Angelino, Ingo Ostersehlte, Tommaso Andreini, Armandi, Ece Kazan, Harriet Whyatt, Ulrike Panhorst, Carlo Scanagatta, Emilio Facchini.
Galleria D’Arte Mentana
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ORARI: 11.00/13.00 – 16.30/19.30
Domenica e Lunedi Mattina su appuntamento al 335.1207156