Il mestiere del narrare. Un convegno per Rina Durante
Due giornate di studio dedicate alla giornalista e scrittrice salentina autrice, tra l’altro, de “La Malapianta” presto in libreria per i tipi di Zane Editrice
Rina, la raccontatrice
di Mauro Marino
É stata come una festa! Alcuni, annunciati, non c’erano. Accade sempre così, specie qui, dove siamo abituati a far le bizze quando siamo invitati e, i distinguo, fanno ombra alla levatura e all’autonomia espressiva dei Nostri: i poeti, gli scrittori, gli intellettuali che hanno dato vita e parole al divenire culturale di questa strana terra che trovano, nell’indifferenza e nella supponenza degli altri, la loro vera fine.
Ma torniamo alla festa, al convegno che lunedì 18 e martedì 19 novembre la Città di Melendugno, l’Università del Salento e il Cuis – con tre ricche sessioni di lavoro ed un recital di chiusura tenutosi al Cinema Elio di Calimera – hanno voluto dedicare a Rina Durante. “Il mestiere del narrare” il titolo, sul manifesto l’immagine di Maria Bellonci (l’ideatrice del Premio Strega) che bacia una giovanissima Durante in occasione della consegna, alla scrittrice, del Premio Salento nel 1965. Altri tempi e soprattutto altri eventi e altri premi.
Lei, la Rina, si definiva una raccontatrice. Persona capace di sguardo, di accoglimento. Antropologa per “necessità”, cercatrice di storie per meglio restituire l’immagine di una terra desiderosa di riscatto. Figura creativa, larga nel suo operare, capace di profondità e di leggerezza. L’ironia, lo strumento con cui viveva e mediava il suo rapporto con il Mondo e con gli altri: il disincanto, per meglio scavare – spogliare – la Vita e raccontarla, per fare che la piccola storia diventasse Storia. La Cultura come scelta di campo, una scelta politica per dare lingua e soggettività critica alle persone, ai miseri, agli affamati del “salentino, una delle terre più lontane d’Italia: non tanto per distanza dai centri d’irradiazione storica, quanto per una sorta d’indipendenza della sua gente, del modo di essere e di pensare” così è scritto nell’aletta di copertina nell’edizione del 1964 de “La Malapianta” uscita da Rizzoli.
La letteratura, la musica, il teatro, il cinema, per allenare gli occhi e dare luogo alla commozione che dallo sguardo sorgeva a far guida. Provate ad immaginarlo il nostro Salento negli anni Cinquanta. Leggetelo, andatelo a cercare, provate a sentire Teta, sua moglie, i loro tanti figli ne “La Malapianta”. Provate a chiedervi i perchè della Tragedia di Roca atto corale di una comunità che nel teatro trovava l’opportunita di riconoscersi, del farsi prete del Tramontana…
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La letteratura (l’arte) ha un tempo? Una scadenza? Deve essere (per essere) trendy? Sì, se ci attenimo ad una superficiale analisi storica, legata ai flussi del consumo e al gusto mainstream e non alla particolarità della vicenda di un artista, del territorio in cui vive, delle urgenze e delle difficoltà che lo muovono. Di questo bisogna tener conto, come anche, dello sguardo trasversale che dalla Provincia mira alle cose della Cultura e del tempo lungo dei testi, della scrittura che rimane, sopravvive alle contingenze e muove sconfiggendo il tempo.
L’opera di Rina resiste, esiste e va riletta, divulgata per meglio comprendere e porre argine alla deriva che coglie questo Salento dimentico di se stesso, tradito, oltraggiato, (forse) irrimediabilmente consumato.
Molti i testi analizzati nel corso della due giorni tra il Nuovo Cinema Paradiso di Melendugno e la sala conferenze del Rettorato: “La Malapianta”, che presto troverà nuova edizione, “Tutto il teatro a Malandrino” ancora nel catalogo di Bulzoni, gli “Amorosi sensi” che speriamo Manni possa ripubblicare, i testi poetici degli esordi letterari con il Critone di Vittorio Pagano, i racconti sparsi e la ricca produzione giornalistica. Segni di una vera e propria militanza iniziata alla fine degli anni Cinquanta ma già incubata nelle visioni infantili sull’Isola di Saseno che abbiamo visto nel film-documento realizzato quest’anno da Caterina Gerardi.
Abbiamo scoperto – nella puntuale analisi testuale offerta da Lucio A. Giannone de “La Malapianta”, una Durante “esistenzialista” nel descrivere il mal d’animo dei poveri, che nella loro autocoscienza monologante danno voce alle inquietudini di quelle classi subalterne che il Tempo Moderno ha spazzato via con le grandi migrazioni e con l’assoggettamento alla telvisione.
Di queste trasformazioni Rina Durante ha scritto, la violenza di queste trasformazioni ha denunciato, senza mai proporre la fuga ma al contrario proponendo e rinnovando lo scavo del suo sguardo.
Per questa festa dobbiamo dire grazie – prima che ad altri – alla testardagine dello scomparso Vittorio Potì, e poi ad Annalisa Montinaro, a Massimo Melillo, a Luigi Santoro, ad Antonio Lucio Giannone e al suo gruppo di lavoro.
Adesso con il ritorno in libreria de “La Malapianta” per i tipi di Zane Editrice aspettiamo gli atti del convegno, importanti per poter divulgare la ricchezza delle analisi proposte.
Speriamo accada presto.