La realtà nella coscienza

I Luoghi della Parola/pillole di filosofia

Un itinerario sulla percezione del mondo circostante nel soggetto conoscente

di Luca Tenneriello

 

So dunque cosa sono: una cosa che pensa. Ma che cos’è una cosa che pensa? Di certo una cosa che dubita, intende intellettualmente, afferma, nega, vuole, non vuole, e anche immagina e sente.

Se tutto ciò mi appartiene, in verità non è poco.

Cartesio

 

Soggetto e oggetto, coscienza e fenomeno

Nella vita di tutti i giorni assistiamo e partecipiamo a tanti fenomeni intorno a noi: usciamo a fare la spesa e vediamo la signora del piano di sotto impegnata a tastare i pomodori per verificarne la freschezza; siamo nella nostra auto e ci capita di assistere a una rapina in banca; oppure siamo comodamente seduti a casa nostra a sorseggiare una tazza di caffé. In ogni caso, in ogni circostanza non siamo mai delle “statue”, indifferenti a ciò che succede intorno a noi; vi siamo sempre, in qualche modo, partecipi con pensieri, sentimenti e sensazioni.

Di fronte alla rapina posso provare paura, curiosità, oppure sospetto o spinta a intervenire se sono un militare, o addirittura anche un sottile piacere di vendetta se magari qualche giorno prima un ufficiale di quella banca mi aveva confiscato un bene; bere il caffé sicuramente mi suscita piacere e distensione, ma può rendermi nervoso o provocarmi acidità di stomaco se ne sono intollerante; persino la signora che saggia i pomodori non mi è indifferente per il fatto stesso che la vedo, cioè che sono partecipe di quel fenomeno con la mia vista – benché ciò può essermi emotivamente indifferente – come la stessa scena può suggerirmi il consiglio di seguire anch’io la tecnica della signora affinché la mia spesa sia ben oculata.

Piccoli esempi dal carattere romanzesco e ricreativo per calarci progressivamente nel nostro argomento di analisi. In tali esempi si riscontra la presenza di un io che assiste e fa esperienza e di un oggetto che si presenta all’attenzione dell’io per parteciparvi in molti modi possibili; in altri termini, la signora dei pomodori, la rapina e il caffé sono gli oggetti che si presentano alla mia attenzione e per i posso avere reazioni diverse.

Ma poiché l’io è sempre un soggetto conoscente, e in quanto conoscente è cosciente di ciò che gli accade intorno, possiamo iniziare a chiamarlo coscienza, facendo attenzione a non impregnare questo termine di sfumature morali e religiose. La coscienza in ambito filosofico è la «consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso, del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori»[1].

È appannaggio della fenomenologia[2] indagare i modi possibili con cui la coscienza si rapporta agli oggetti, ovvero analizza i modi con cui un oggetto può presentarsi alla coscienza come fenomeno. L’analisi fenomenologica però deve andare oltre il fenomeno, cioè il modo accidentale con cui un oggetto appare alla coscienza, per cogliere l’oggetto stesso nella sua essenza, nel suo vero essere[3].

A questo punto è facile comprendere che la fenomenologia è definita come «analisi della coscienza nella sua intenzionalità. Poiché la coscienza è intenzionalità in quanto è sempre coscienza di qualcosa, l’analisi di essa è l’analisi di tutti i modi possibili in cui qualcosa può essere dato alla coscienza»[4] proprio come nei nostri esempi un unico evento (oggetto) può presentarsi a uno “spettatore” in diversi modi.

 

 

L’intenzionalità della coscienza

 

Sul concetto di intenzionalità dell’atto cognitivo si sono avvicendati diversi pensatori nel corso dei secoli. Tommaso d’Aquino (1225-1274) considera l’intenzionalità come ciò che l’intelletto (= coscienza) in se stesso concepisce della cosa, ovvero ciò che l’intelletto apprende dell’oggetto. È una in-tensio, una tensione verso la res conosciuta; in altri termini, l’intelletto si muove verso l’essenza stessa della cosa. Tommaso inoltre differenzia una intenzionalità diretta, che è il dirigersi dell’intelletto verso l’essenza dell’ente conosciuto, ponendosi sul piano di quest’ultimo (piano oggettivo), da una intenzionalità indiretta, che è il proiettarsi dell’intelletto verso l’oggetto non più preso nella sua essenza, ma considerato come semplice rappresentazione[5] del soggetto[6]. Facciamo un esempio per fissare le idee: nell’intenzionalità diretta il soggetto (= il conoscente) viene coinvolto totalmente dall’oggetto che si presenta alla sua coscienza, arrivando fino alla sua essenza, come in un rapporto sentimentale l’amato conosce totalmente l’amante fin dentro il suo cuore; nell’intenzionalità indiretta invece il soggetto si limita a “guardare da fuori” un oggetto, un evento, il quale gli appare in maniera soggettiva, cioè “vede ciò che vuole vedere” e non vede ciò che è veramente quell’oggetto in sé, come quando si giudica superficialmente una persona, vedendone i dettagli esteriori e non conoscendola veramente a fondo.

Indubbiamente Franz Brentano (1838 – 1917) è il più illustre antecedente della fenomenologia. Egli descrive l’intenzionalità come il carattere specifico dei fenomeni psichici – per la qual caratteristica vengono distinti dai fenomeni fisici – i quali vengono classificati in tre ordini: le rappresentazioni, in cui l’oggetto è semplicemente presente, i giudizi, in cui esso viene affermato o negato e i sentimenti, in cui viene amato o odiato.[7]

Possiamo allora dire che l’intenzionalità consta nel rapporto tra la coscienza e l’oggetto.

 

 

La fenomenologia pura di Husserl

 

Edmund Husserl (1859 – 1938) è universalmente considerato il padre della disciplina che chiamiamo fenomenologia. Con le Ricerche logiche (1900) inizia la sua critica del punto di vista empiristico[8], che Husserl aveva avvicinato nei suoi primi studi, per contrapporvi una «logica pura», mirata a conoscere l’essenza dei modi di conoscenza. Questi ultimi però risiedono nella facoltà della coscienza, la quale è l’oggetto della psicologia; ma Husserl oppone alla psicologia empirica l’idea di una fenomenologia pura.

Una possibile declinazione di tutto ciò potrebbe essere una psicologia puramente descrittiva: non interessa studiare le cause di un fenomeno mentale, ma come esso si presenta nella coscienza, cosi come lo si esperisce.

Proprio per questa possibile interpretazione delle Ricerche logiche, il pensiero di Husserl verrà spesso interpretato come una psicologia descrittiva: andare alle cose stesse, ma non nella realtà in sé oggettiva, ma come le cose si danno alla coscienza del soggetto.

Di lì a poco Husserl rettificherà, spiegando in diversi scritti il suo intento di fare non psicologia descrittiva, ma fenomenologia come scienza ontologica rigorosa. La psicologia descrittiva non può cogliere l’essenza della coscienza, poiché è scienza di fatti (enti reali, emozioni), non di essenze (appartenenti a un impianto ontologico); la fenomenologia pura si distingue dalla psicologia perché è una scienza di essenze (di idee), da cui la denominazione di scienza eidetica (dal gr. eidos, idea).

Però, affinché il filosofo faccia fenomenologia, sono necessarie due “tecniche”. In primis, un cambiamento di atteggiamento gnoseologico, che consiste nel sospendere l’affermazione sulla realtà delle cose del mondo, per assumere i toni dello «spettatore», interessato solo a cogliere l’essenza dei fenomeni che si presentano alla sua coscienza. Questo mutamento di atteggiamento è l’epoché fenomenologica. Husserl «mette tra parentesi» il mondo naturale per rendere tutto un puro fenomeno che appare alla coscienza, la quale diventa l’unico spettatore-protagonista di un’autentica riflessione filosofica.

In secondo luogo, Husserl adopera la cosiddetta variazione trascendentale, consistente nel provare a modificare la cosa con la mente, sotto certi punti di vista, per vedere fino a che punto essa rimane tale; quando si coglie ciò che la fa essere altro da sé, si coglierà ciò che la caratterizza per quello che è, cioè la sua essenza[9].

 

Dalla signora che saggia i pomodori abbiamo compiuto un grosso salto. Abbiamo generalizzato, parlando di fenomeni fisici (quindi esterni alla coscienza) e fenomeni mentali, come rappresentazioni, giudizi e sentimenti, e di come il mondo intorno a noi influenzi e produca tali fenomeni.

I quali non sono solamente dei meri oggetti di indagine, ma sono depositari di un’essenza, di una quidditas ontologica – che coincide nel modo in cui la cosa si dà alla coscienza – che va colta, secondo Husserl, tramite la speculazione fenomenologica.

“Tutta roba astratta” si potrà pensare. In realtà l’indagine fenomenologica di primo Novecento aprirà la strada a prospettive filosofiche di natura molto più antropologica e meno metafisica. Lo scoppio delle guerre mondiali sarà determinante per questo cambio di rotta che segnerà profondamente pensatori e letterati che si troveranno a fare i conti con una realtà completamente diversa da quella idilliaca cantata dai filosofi dell’idealismo e delle metafisiche stataliste.

 



[1] Dizionario di filosofia Treccani, 2009.

[2] Disciplina filosofica fondata da Edmund Husserl, su influenze di Franz Brentano e di Carl Stumpf, di cui era allievo. Parleremo più specificamente nel corso di questo articolo.

[3] Cfr. N. Abbagnano – G. Fornero, Itinerari di filosofia, vol. 3A, Paravia, Torino 2003, 362.

[4] Ibidem, 362.

[5] Con il termine rappresentazione s’intende una sorta di copia, di figura della cosa che il soggetto si crea; così che quest’ultimo non conosce direttamente la cosa in sé, ma si limita a esperire una sua “copia” da lui creata. Il soggetto quindi non si pone quindi sul piano dell’oggetto, ma rimane sul piano soggettivo.

[6] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae; Ph. Larrey, Lineamenti di filosofia della conoscenza, LUP, Roma 2013.

[7] Cfr. N. Abbagnano – G. Fornero, Itinerari di filosofia, cit., 364

[8] Per punto di vista empiristico s’intende quell’approccio della psicologia empirica che tende a «ricondurre le nozioni della logica a operazioni psichiche effettuate su un contenuto empiricamente dato», come fossero calcoli matematici. Cfr. Itinerari di filosofia, cit., 364.

[9] Da alcuni passaggi si evince come spesso Husserl tenda a identificare l’essenza della cosa con il modo in cui la cosa si dà alla coscienza. Questa dinamica risulta in più punti problematica.