L’Universo instabile di Francesco Zavattari

Da Lucca a Lecce, dal Portogallo all’Olanda ai tetti di New York Intervista all’artista e designer toscano

di Antonietta Fulvio

È sempre un privilegio poter osservare nel tempo la ricerca di un artista. Seguirne gli sviluppi e gli esiti che di volta in volta arricchiscono il suo percorso personale ma anche quello delle persone che entrano in contatto con il suo mondo. Questa credo sia la magia dell’arte. La potenza. E oggi più che mai se ne avverte il bisogno, l’arte deve poter avere sempre più un ruolo di primo piano nel tessuto sociale, sollecitare domande, cercare connessioni non solo virtuali senza rinunciare per questo al gusto estetico, alla forma e soprattutto al colore. Concetti che calzano a pennello per Francesco Zavattari, originario di Lucca, classe 1983. Pittore e designer, dalla fotografia alla video art, dalla grafica al marketing ai live painting senza ombra di dubbio è “poliedrico” l’aggettivo che più si addice a Zavattari, al suo universo “instabile” perché in continua evoluzione. In questa intervista abbiamo cercato di racchiudere il racconto di esperienze vissute e anticipare i suoi progetti futuri.

Il 2018 da poco concluso ti ha visto come sempre impegnato su più fronti, dalla didattica alle mostre, al tuo impegno nel sociale. Proviamo a ripercorrerlo partendo dall’esordio del progetto “Tavolozze” che ti ha portato nel cuore di Roma. Tavole di piccole dimensioni (11×11 cm), tali da stare in un palmo della mano, per azzerare la distanza tra artista e pubblico e per ribadire l’unicità dell’opera d’arte contro il principio della serialità?

Il principio alla base di “Tavolozze” è quello di raggiungere fisicamente un più ampio numero di persone con le mie opere, simulando un plus del concetto di serialità senza però abbandonare quello di assoluta unicità. Ogni Tavolozza infatti è interamente realizzata a mano. Non ho mai avuto particolare interesse a produrre un numero elevatissimo di opere all’anno, solitamente lavoro infatti su serie che contemplino un numero limitato di pezzi. “Tavolozze” rappresenta una giocosa forma di evasione, un modo per ricordare ai miei acquirenti il valore di ciò che produco, senza però costringerli a mettere in bilancio budget sostenuti. Mi piace l’idea che possa esserci una scelta, tanto per chi decide di acquistare una tela 150×150 quanto per chi sceglie una tavolozza 11×11. Infine, cosa forse più importante per rispecchiare a pieno il mio stesso carattere, le Tavolozze costituiscono oggi il veicolo più leggero e veloce per raggiungere quasi ogni angolo del mondo, se si escludono le opere digitali che realizzo, come fotografia e videoarte.

 

Tanti i progetti educativi, tra Italia e Portogallo, dedicati al mondo dell’infanzia. Quanto è importante per i bambini l’approccio al mondo dell’arte?

Importantissimo. Nella formazione educativa di un bambino l’arte può avere un ruolo decisivo in positivo: non sono certo solo io a dirlo, ma lo confermano molti studi di esimi pedagogisti. Ho e ho avuto il privilegio di lavorare con bambini di differenti età, tanto direttamente quanto indirettamente, attraverso educatori che hanno utilizzato determinati stilemi del mio universo visivo e concettuale per coinvolgere i bambini in processi creativi stimolati e utili a sviluppare la loro facoltà di proiettare visioni. È forse però più interessante pensare a quanto il lavoro dei bambini abbia influenzato il mio nel tempo. Ogni mia opera e ogni mia serie si fondano su basi teoriche estremamente complesse e profondamente concettuali. Solitamente ogni mio progetto è accompagnato da una lunga e impegnativa fase di studio: questa è la mia cifra connotativa e quando si pensa a me come artista vorrei si pensasse a un artista estremamente attento al dettaglio tecnico che sta dietro, intorno e sotto la materia. Tuttavia, mi impegno quotidianamente per non perdere mai quell’appeal fresco, diretto, un po’ naif (quindi puro) che i bambini hanno nel disegnare e comunicare in genere. Crescendo si tende a perdere questa grande capacità comunicativa, ma nel mio lavoro è un dono di cui faccio tesoro.

 

Zavattari e i linguaggi trasversali dell’arte. La tua pittura ha incontrato anche la danza al Teatro Verdi di Pisa. Come è nata l’idea dello spettacolo “Universo Instabile”? Ripeterai l’esperienza?

Sono da sempre un grande appassionato del linguaggio teatrale e amo l’opera lirica in particolare. Della danza invece non sono un esperto, ma ne ho sempre apprezzato la facoltà di spingere ai limiti il connubio fra talento naturale e disciplina tecnica. Un principio molto caro a me e al mio lavoro.
Ho quindi deciso di avvicinarmi a quel mondo cominciando a conoscerlo e comprenderlo meglio. Nel 2017, in occasione del lancio di “Congetture Isomorfe”, ho avviato una collaborazione con la coreografa Annalisa Ciuti e con il corpo di ballo del suo “Studio Danza”. Insieme abbiamo iniziato a sviluppare molti progetti interessanti, primo fra tutti l’opera di videoarte “Clone”: un piano sequenza immersivo che, parafrasando il mio sguardo, si insinua nella complessa e visionaria coreografia realizzata ad hoc da Annalisa. A quel punto è stata lei a propormi il privilegio della mia prima regia teatrale, in particolare nella danza. Ne è nato un grande spettacolo tratto, come tu dici, da una delle mie serie più importanti, che è stato un fantastico banco di prova per sperimentare l’intreccio delle nostre visioni: le mie in forme, luci e colori, le sue nel movimento. Il 15 giugno metteremo nuovamente in scena, ancora al Verdi di Pisa, uno spettacolo interamente basato sulla mia installazione più nota e articolata, “Poliedro”.

Da sempre sei in prima linea nel sociale e, in particolare per “My Art is Female”, quest’anno sei stato in Portogallo a Oporto, arricchendo con un altro importante tassello questo bellissimo progetto che pone al centro l’arte contro la violenza sulle donne. Come è nato questo progetto e come viene accolto dal pubblico? C’è stata un’esperienza più di altre in questi anni che ti ha particolarmente toccato?

Nel 2015 l’associazione portoghese per i diritti sulle donne Umar mi invitò a realizzare una serie di opere dedicate al tema della violenza sulle donne. Nacque così “My Art is Female”, molto più di una suite di quadri, ma un potentissimo veicolo di comunicazione e sensibilizzazione che, ancora oggi, nonostante il progetto con Umar sia terminato da tempo, continua il suo viaggio itinerante in una serie di esposizioni curate da Cláudia Almeida. Ognuna di esse è occasione di dialogo e confronto su un tema che tocca le mie corde più intime. Qualche anno fa, proprio nella mia città, una donna di nome Vania fu barbaramente uccisa, data alle fiamme: pur non conoscendola personalmente, quell’episodio mi ha toccato nel profondo così, anche per quel motivo, ho deciso di dar vita a un particolare spin off della serie, portando il mio tratto fuori dai disegni incorniciati e andando a intervenire direttamente sul corpo delle donne. Ne è nata così la “Skin Edition”, (ancora in evoluzione) in cui ho ritratto fotograficamente donne di varie età; sul loro corpo ho disegnato come su una tela vera e propria, al fine di esprimere un principio semplice, basilare, forse scontato, ma assoluto, che è diventato tagline della serie: sul corpo di una donna solo arte e colore.

 

   Dopo tre anni dalla tua personale “Elevata Concezione”, nel 2018 sei ritornato a Lecce con un nuovo entusiasmante evento “Poliedro. Resta. Ora”. Per la tua installazione hai scelto Kunstschau, uno spazio artistico innovativo, curato da giovani, rilanciando il rapporto dell’opera e del contesto in cui viene collocata e che si apre alle interazioni con il fruitore. Ancora una volta le tue riflessioni sull’opera d’arte intersecano le parole grazie a un coinvolgente audio in cui l’attore Sandro Lombardi ha dato voce a un tuo manifesto artistico creato ad hoc. Genesi e dissoluzione dell’opera e nel bel mezzo il fruitore, un invito a soffermarsi sul valore dell’opera nell’hic et nunc… Al rapporto tra materia e pensiero… E l’arte può essere la bussola per orientarsi nel nostro “Universo instabile”?

Chi mi conosce personalmente sa che sono estremamente critico e disilluso circa la perdita di determinati valori che dovrebbero, a mio parere, essere basi solide di ogni società civile che tale voglia definirsi. Non parlo in termini politici perché non è il mio campo, ma sono spettatore come chiunque altro di un crescendo di maleducazione, ignoranza, mancanza di empatia e di tutto ciò che ci rende un po’ meno umani, sempre più connessi, ma forse sempre meno legati. Unica ancora di salvezza per rendere questo processo non incontrovertibile ritengo sia la bellezza. Parlo di bellezza, non di arte, perché a ognuno va il compito di trovare ed esaltare la propria forma espressiva, sia essa l’osservazione o creazione di un’opera d’arte, l’impegno nella ricerca scientifica o in ambito sociale, per fare alcuni esempi. Nel mio caso, sì, la bussola è l’arte, così come la si intende convenzionalmente, ma anche come arte di vivere, ovvero la ricerca di ogni processo che elevi la persona, i propri talenti e le proprie ambizioni. La bellezza dell’universo (interiore e non) a mio parere sta proprio nella sua natura instabile e poliedrica. Se tutto fosse perfettamente “a posto”, vivere sarebbe una noia mortale.

 

Non solo live painting ed esposizioni, ma riservi particolare attenzione anche all’aspetto legato alla didattica come nel format educativo “Colour State of Mind”, che ti ha visto ad esempio a Lecce all’Accademia di Belle Arti. Lucca invece è stata occasione per raccontare al pubblico il colore nell’opera dell’artista fiorentino Sandro Botticelli, mentre solo pochi giorni fa sei stato ospite di “Italian Professionals Netherlands” a Utrecht. Un modo e un approccio nuovo allo studio della storia dell’Arte e delle declinazioni del colore

Prima di tutto un modo di comunicare. Quello è il mio vero lavoro, qualunque sia il veicolo per farlo. Attraverso “Colour State of Mind” ho il privilegio di raccontare l’elemento che, a vario titolo, caratterizza la mia vita: il colore. Sia esso utilizzato per realizzare un’opera su tela o per caratterizzare un prodotto di design, è comunque qualcosa che sento di voler raccontare. La mia ricerca in ambito cromatico mi impegna e mi emoziona da molti anni: perché quindi non condividere questa emozione con chi a sua volta ne è interessato? In particolare la storia dell’arte ha rappresentato il punto di partenza di questo mio percorso, perché, prima di raccontare il mio lavoro sul colore, ho voluto capirne l’utilizzo attraverso lo studio di numerosi capolavori analizzati negli anni. Oggi “Colour State of Mind” mostra l’uso del colore negli ambiti più disparati, dalla moda alla politica, ma la genesi del progetto è stata proprio capire, almeno in parte, il lavoro svolto da chi ha creato tanta bellezza a cavallo dei secoli.

 

e con la ricerca artistica legata alle installazioni di “Poliedro” l’opera si muove nello spazio, sospesa come nella tela di un ragno, con il progetto scultoreo “(Mind)blowing” lo sviluppo dell’opera parte dal basso, quasi a voler replicare la naturale crescita dell’albero. Come spiega la tua curatrice, la museologa portoghese Cláudia Almeida, “sintesi plastica tra intuizione e intelletto”, è il colore o la forma il punto di incontro fra questi due progetti?

È l’intreccio fra i due che si fa parafrasi dell’intreccio di ogni vita. Come ho lasciato intendere poco fa, pur essendo costantemente connesso in digitale, sono molto più appassionato dei legami reali. Entrambe queste mie opere vogliono rappresentare proprio questo: unioni e fili tesi fra ogni individuo, fra ogni sua ambizione, passione ed emozione. “Poliedro” descrive, appeso dall’alto, il reticolo apparentemente casuale che connota ogni esistenza, cercando di rappresentare quanto in realtà ogni nodo sia tutt’altro che casuale. “(Mind)blowing”, invece, come un albero si sviluppa dal terreno per incarnare il concetto di un fuoco vivo e pulsante che, come quello di Dio sul monte Oreb, dovrebbe ardere senza mai consumarsi. A questo vorrei che corrispondesse la vitalità e la curiosità di ogni individuo. Un’inesauribile fonte di energia.

 

Il 2019 è iniziato da poco. Qualche anticipazione? C’è un colore che preferisci più di altri? Che anno sarà il 2019 secondo Francesco Zavattari?

Un anno di Luce, anzi, di “Luce-19”. Questo il nome del colore che ho avuto la fortuna di sviluppare in collaborazione con Cromology Italia, una major nel campo della produzione di vernici. Attraverso quella particolare tonalità di giallo ocra ho e abbiamo voluto suggerire valori positivi da trasmettere a coloro che porteranno nelle proprie case quella tinta, ma anche a chi si troverà semplicemente a osservarla. Per quanto riguarda il percorso mio e del team, posso dirti che l’interesse rivolto al nostro lavoro va aumentando quotidianamente e che l’agenda degli impegni è già ricchissima almeno per il prossimo biennio: diversi importanti progetti fotografici, nuove masterclass in contesti emozionanti, esposizioni in musei pubblici e contesti privati, spettacoli teatrali e molto altro… Un’attività su tutte per trasmetterti il nostro entusiasmo? La mia prima performance americana, che mi vedrà disegnare su tetti di New York in un live trasmesso attraverso Facebook in tutto il mondo. Connessioni reali e digitali, appunto.