Il Gabinetto Segreto del MANN: arte ed erotismo

La collezione dell’arte erotica nelle “sale proibite”

di Sara Foti Sciavaliere

NAPOLI. Nel piano ammezzato del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), nelle 62 e 65, troviamo l’esposizione di una collezione assai particolare, reperti con natura unicamente a sfondo erotico e sessuale che man mano venivano alla luce negli scavi di Pompei ed Ercolano, o acquistati in altro modo. È la sezione del Gabinetto Segreto.


Dopo i moti rivoluzionari del 1848 il Gabinetto divenne simbolo delle libertà civili e di espressione, quindi viene censurato in quanto considerato politicamente pericoloso. Fu perfino proposta la distruzione dei reperti, in quanto “infami monumenti della gentil esca licenza”, al fine di salvaguardare la buona reputazione della casa reale dei Borboni. Tuttavia l’allora direttore del Real Museo riuscì a ottenere che la collezione venisse chiusa ai visitatori e resa difficile la sua visita: difatti il portone di accesso venne fornito di ben tre serrature con altrettante chiavi diverse, in possesso rispettivamente del direttore del museo, del “controloro”, e del real maggiordomo maggiore. Il culmine della censura la si ebbe nel 1851 quando, dopo che vi furono rinchiuse anche tutte le Veneri semplicemente perché nude, la collezione fu definitivamente sigillata ed infine anche murata affinché “…se ne disperdesse per quanto era possibile la funesta memoria”.


Quando nel settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, egli diede subito l’ordine di rendere accessibile la sala “giornalmente al pubblico”. Delle tre chiavi, non trovandosi quella in dotazione alla casa reale, Garibaldi non esitò, tra lo sconcerto generale, ad ordinare di “scassinare le porte”. Nel corso dei decenni successivi, alla libertà ridata da Garibaldi subentrò progressivamente la censura del Regno d’Italia che vide il suo culmine durante il Ventennio fascista, quando per visitare il Gabinetto occorreva il permesso del Ministro dell’Educazione nazionale a Roma.
La censura ha perdurato nel dopoguerra fino al 1967, allentandosi solo dopo il 1971 quando dal Ministero furono impartite le nuove regole per regolamentare le richieste di visita e l’accesso alla sezione. Oggi la collezione è definitivamente aperta al pubblico nell’aprile del 2000 e sebbene non sussista più alcun tipo di censura, tuttavia i minori di 14 anni possono visitare la sezione unicamente se accompagnati da persona, docente o familiare che sia.
Oltrepassata il cancello che segna il confine del “Gabinetto Segreto”, si accede a quattro sale disposte a staffa di cavallo dove sono allestite la maggior parte dei pezzi della collezione erotica, statue, sculture, bassorilievi, pitture e oggetti vari, provenienti da differenti ambienti degli scavi di Pompei ed Ercolano, dalle strade ai giardini passando inevitabilmente per i lupanari, a testimonianza di una spiccata centralità della tematica sessuale, del piacere e di aspetti a essi connessi, letti sotto diverse sfumature. Il Gabinetto del MANN, a lungo censurato, illustra di fatto diversi aspetti della “sessualità” antica: religioso e culturale, caricaturale e commerciale, magico e funerario, fino a quello riconducibile all’amore e al piacere di coppia.
Partiamo dai riferimenti ai giardini, che in quanto luogo creato dalla cultura umana per riprodurre il mondo della natura, era anche il mondo degli esseri misteriosi e divini dei boschi: i Satiri, le Ninfe, Pan, Dioniso, le Menadi. Ornava così il giardino della Villa dei Papiri di Ercolano gruppo scultoreo in marmo con il dio Pan che si accoppia faccia a faccia con una capra che tiene fermamente riversa sul dorso (I a.C. – I d.C.), opera giudicata dal Vanvitelli “lascivissima, ma bella” ma che fu, in assoluto, il pezzo più censurato e nascosto in epoca borbonica. Da un’altra villa viene una scultura che ricalca il tema, diffuso in special modo in pittura, del “satiro”, che cerca di far sedere sul suo sesso eretto una ninfa abbracciandola per il torso. Gli stessi temi tornano poi in alcuni rilievi marmorei, autentichi dipinti scolpiti, prodotti nelle officine neoattiche; questi ripropongono il mondo dionisiaco, rappresentato per esempio dal rilievo con Ninfa e Satiro (da Ercolano, I d.C.) in cui la fanciulla resiste al vecchio dio dei boschi afferrandolo per la barba.

Un altro ambito dove l’erotismo aveva la sua massima espressione anche artistica erano i lupanari, i postriboli romani, e a Pompei ne sono stati individuati circa venticinque. Certo gli affreschi pornografici rinvenuti in questi luoghi sono di qualità artistica modesta, si tratta principalmente di una pittura per lo più popolare, che ritrae scene di accoppiamenti nelle diverse posizioni. Sull’affresco con scena di penetrazione anale vi sono tracce di una iscrizione dipinta: “Lente impelle”, una richiesta della prostituta ai suoi clienti che invita a “Spingere piano”; su di un altro affresco figura un’iscrizione graffita: “Sic Emiliu” scritta da un cliente, tale Emilio, che ricorda a tutti “(di aver fatto) proprio così”.
Nell’antica società romana la sessualità si presenta pure sotto un aspetto magico, tale è riconosciuto
soprattutto nell’uso del fallo in funzione apotropaica e di amuleto. Oggetti emblematici di questa credenza sono soprattutto i “tintinnabuli” in bronzo, che venivano sospesi a catenelle agli ingressi delle case o delle botteghe con la specifica funzione di preservarle e difenderle dal malocchio, dallo sguardo invidioso, dalla mala sorte. Di questi oggetti se ne possono vedere vari esemplari nelle vetrine del Gabinetto Segreto, di davvero curiosi e anche buffi per l’aspetto un po’ caricaturale. Il “tintinnabulum” classico è un pene eretto con un corpo di leone (simbolo di forza e potenza) e due ali aperte, provvisto (a discrezione) di altri falli; immancabili sono i numerosi campanelli pendenti da altre catenelle, anch’essi dal valore apotropaico, destinati di fatto a scacciare col loro suono gli spiriti malvagi.
E poiché anche il ridere scaccia gli influssi maligni, si giustifica in tal modo le forme caricaturali di alcuni tintinnabuli: pezzo eccezionale – e forse unico al mondo – è quello in forma di gladiatore che combatte con pugnali contro il suo stesso pene eretto trasformato in una pantera aggressiva; divertente anche il pigmeo che cavalca un cavallo-fallo, lo incorona addirittura, ed intanto non si accorge che sta per essere penetrato dalla coda fallica. Forse una funzione apotropaica può essere ravvisata anche nelle tre lucerne in bronzo rappresentanti operai fabbri che, impugnando un martello, si danno colpi ben assestati sul proprio immenso fallo.
In una vetrinetta vi sono invece numerosi amuleti fallici (chiamati dai Romani “fascinum”) destinati per lo più ai bambini, al collo dei quali essi venivano sospesi per tutelarli da incidenti e malattie; ma anche amuleti destinati agli adulti (p.es. gli orecchini fallici in argento). I fàscina sono in materiali diversi: osso lavorato ed avorio, bronzo, cristallo di rocca, ecc. Interessante il fallo in corallo, precursore dell’amuleto, tuttora diffusissimo nel napoletano, del corno rosso. Gli amuleti fallici erano molto diffusi anche tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Molto frequente è il fallo eretto di traverso, in bronzo, tenuto ad una estremità dalla cosiddetta “mano impudica”, al quale è sospeso un pene infantile; oppure il piccolo pugno che fa il gesto detto del “le fiche”.
Sono esposti inoltre un paio di falli in tufo attaccati alle pareti, o insegne falliche, rinvenute all’esterno di alcune botteghe pompeiane: essi hanno la stessa funzione e scopo dei tintinnaboli, però come auspicio di buoni affari. In genere, in quanto potente amuleto il fallo era inoltre posto, in tutte le città antiche, sulle mura, sui marciapiedi e lungo le strade; a Pompei era spesso usato nei cantonali delle case a scopo protettivo, ma anche – come si leggeva prima – sulle facciate delle botteghe, spesso dei panifici, dov’era scolpito sugli architravi dei forni. Celebre è il rilievo in travertino con fallo e scritta “hic habitat felicitas” dal panificio nell’insula della Casa di Pansa. Ma troviamo pure il “fascinus” sull’acciottolato di Pompei a indicare la direzione da prendere per raggiungere il lupanare più vicino, uno di questi va ricercato sui conci della via dell’Armonia, in prossimità delle Terme Stabiane, dove non lontano si può visitare un lupanare con le pitture sulle cellae meritricae.
La collezione erotica del Gabinetto Segreto forse è la sezione meno conosciuta dello straordinario repertorio storico, artistico e archeologico in esposizione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ma non per questo meno importante, anzi ha un suo valore nella ricostruzione degli usi e costumi, della cultura e le credenze ai tempi degli Antichi Romani nelle città vesuviane, laddove (come si diceva all’inizio dell’articolo) la sessualità ha una pluralità di sfaccettatura, infiltrandosi nella quotidianità. Sicuramente merita un’attenzione che non sia filtrata dall’inevitabile malizia che la collezione può suscitare e il pudore va deposto fuori dalle “sale proibite” del Gabinetto Segreto per non guardarla con bigotta severità.

Arte e Luoghi | febbraio 2020