Le necropoli di Cerveteri e Tarquinia. A spasso tra i tumuli etruschi
Incanto, mistero, girovagando nella terra dei Rasna
di Sara Foti Scaivaliere
Quella degli Etruschi – i Rasna o Rasenna così come loro usavano definirsi – è la storia di un popolo misterioso che ha suscitato la fantasia di appassionati e studiosi. Le origini di tale civiltà sono state argomento di discussione dai tempi più remoti, ma pare fossero restii a svelarsi appieno lasciando scarse tracce e testimonianze di loro e contribuendo così a creare il mistero che gli avvolge in parte tutt’oggi.
C’è un incanto naturale in quei luoghi dove vissero e senza dubbio non si può negare la bellezza delle loro tombe dipinte o delle necropoli rupestri, ammirabili anche da chi è digiuno di archeologia. Pare che le città, nello facies etrusca, siano letteralmente scomparse, al contrario delle loro manifestazioni funerarie, assai imponenti e ben documentate, forse questo è da imputare anche al fatto che gli Etruschi destinavano i materiali più resistenti e duraturi per le opere monumentali che, a loro avviso, dovevano confrontarsi con il trascorrere del tempo e resistere per l’eternità. Nei tempi più antichi questo popolo credeva in una qualche forma di sopravvivenza terrena del defunto; da ciò quindi nasceva l’esigenza, come forma di rispettoso omaggio, di garantirne la sepoltura e di dotarla di richiami al mondo dei viventi. La tomba in tal senso era realizzata in modo da sembrare la casa del defunto, sia nell’architettura che negli arredi.
Necropoli di Banditaccia – Cerveteri
“Andiamo a Cerveteri, l’antica Caere, o Cere, chee aveva anche un nome greco, Agylla. Era una vivace e gioiosa città etrusca quando Roma imbastiva le sue prime sparute capanne”. (David Herbert Lawrence, “Etruscan Places”, London 1932) Cerveteri era una delle città più prestigiose dell’Etruria costiera, e già tale doveva apparire agli antichi, grazie all’intensa attività commerciale che intratteneva via mare con i paesi del Mediterraneo grazie ai suoi tre porti (Pirgy, Punicum e Alsium).
Grandiose le sue necropoli, di cui quella della Banditaccia è la più grande, con numerose tombe e tumuli in parecchi casi in ottimo stato di conservazione, e solo nella zona chiamata del Recinto si possono contare oltre duemila tombe. Queste meravigliano non solo per le dimensioni ma anche per la raffinatezza: percorrendo i dromos, i corridoi che conducono alle celle sepolcrali, possiamo ancora oggi notare come i letti funebri siano scolpiti a ricordo dei letti dei vivi, con le testiere e i guanciali. Il complesso rappresenta il capolavoro del “genio creativo dell’uomo” e della società etrusca ed è considerato uno dei più suggestivi paesaggi archeologici italiani fino a essere riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Il nome della necropoli cerite deriva dai bandi che il Comune nell’Ottocento usava per dare in concessione i terreni, le terre su cui sorge la necropoli venivano chiamati bandi tacce in quanto non adatti per l’agricoltura o l’allevamento. Le tombe si disponevano lungo una strada principale, dove sono ancora impresse le tracce delle ruote dei carri che la percorrevano, ma mentre i tumuli più antichi (datati entro il VI sec.a.C.) sono distribuiti in modo casuale e disordinato, nel corso del Vi secolo a.C. la costruzione anche della città dei morti viene pianificata su un asse viario razionalizzato, come avveniva per quella dei vivi. Così lungo la strada principale, già densamente occupata da tumuli di varie dimensioni, si aprono vie trasversali, e altri monumenti sono scavati in corpi quadrangolari, con le facciate aperte su vie sepolcrali dritte che si intersecano ortogonalmente. Esterni abbelliti da cornici architettoniche semplici, in blocchi di tufo e nenfro, ma pure accenni di decorazioni policrome.
Un ritrovamento tra i più noti, proprio in questa necropoli è il cosiddetto “Sarcofago degli sposi”, un sarcofago in terracotta che risale al VI secolo a.C., conservato nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma e rinvenuto nel XIX secolo durante scavi nella Banditaccia.
La scultura raffigura una coppia di sposi sdraiata in un triclinio a un banchetto. Entrambe le figure hanno i capelli lunghi, gli occhi allungati e il sorriso arcaico. La donna indossa un copricapo caratteristico e dei sandali ai piedi, mentre il marito presenta una barba lunga e appuntita. I due coniugi sono raffigurati semidistesi su una klìne, un letto a piazza matrimoniale di bronzo ricoperto di stoffe e cuscini, sopra il quale gli ospiti si adagiavano durante le feste. Questa klìne si presenta con zampe a volute e gli sposi giacciono su un materasso munito di coperta e cuscino, in posizione di perfetta parità, come se partecipassero ad un banchetto. La posizione di rilevanza della donna nella società non fu ripresa dai Romani, che invece non ammettevano le donne al convivio, se non in epoca imperiale
Necropoli di Monterozzi – Tarquinia
“E presto vedemmo Tarquinia, con le sue torri appuntite come antenne su un fianco del basso promontorio di una collina, qualche chilometro lontano dal mare. E questa era la metropoli dell’Etruria, la più illustre città della grande Lega etrusca. Ma morì come tutte le altre città etrusche, ed ebbe una qualche rinascita nel Medioevo, con un nuovo nome. Dante la conosceva, e così per secoli è stata conosciuta, come Corneto dimenticando il suo passato etrusco” (David Herbert Lawrence, “Etruscan Places”).
Le impressioni scritte dallo scrittore inglese sono ancora piuttosto risalendo dalla costa verso il centro storico di Tarquinia ancora racchiuso nelle possente mura urbiche. Questo centro della Tuscia viterbese aveva un’area di influenza che si estendeva dal mare fino ai Monti Cimini e al lago di Bolsena ed era una tra le più potenti della Dodecapoli etrusca, che si distinse anche per le sue necropoli.
A Monterozzi, tra le migliaia di trombe ritrovate, quasi duecento riportano pitture murarie, di queste sono 19 quelli visibili, protette da teche di cristallo, nell’area cosiddetta del Calvario. A primo sguardo, visitando il sito, non si ha la percezione reale del patrimonio che conserva in quegli ipogei. Sulla collina infatti si ergono decine di casette, strette e lunghe, in cemento, che nascondono e proteggono l’ingresso alle meravigliose tombe, è lì, nelle camere di sepoltura che questa necropoli trova la sua espressione massima. Le tombe affrescate rappresentano un aspetto peculiare della cultura artistica etrusca, unico esempio della pittura parietale antica, conosciuta attraverso la testimonianza delle fonti.
La necropoli di Tarquinia ci offre dunque una pinacoteca sotterranea, affreschi di vita nelle dimore dei morti. Nei sepolcri più antichi la decorazione interessa solo i frontoncini delle pareti corte, ma a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. le pitture ormai coprono tutte le pareti con grandi scene figurate che alludono alla vita e alla morte dei defunti a cui era destinata la tomba. Le tombe dipinte costituiscono tuttavia una minima parte dei sepolcri cittadini, in quanto espressione della classe aristocratica che sola poteva permettersi il lusso di decorare i propri sepolcri.
La Necropoli è situata su un pianoro denominato Monterozzi per la presenza di tumuli in forma di piccoli monticelli di terra, che si sviluppa parallelamente alla costa tirrenica. Negli anni Trenta del XIX secolo, una serie di avvenimenti favorì anche l’afflusso di studiosi e viaggiatori, nella tradizione del Grand Tour, accrescendo di conseguenza la notorietà delle tombe dipinte in Europa: Stendhal, Elizabeth Caroline Hamilton Gray, James Byres, George Dennis, attraverso la scoperta delle tombe, rimasero affascinati dalla cultura etrusca.
«Gli Etruschi rappresentano ancora oggi una delle pagine più affascinanti, misteriose e complesse del percorso evolutivo del bacino del Mediterraneo. Popolo fiero e combattente giunse ad altissimi livelli nelle arti e nella struttura sociale. Ebbero un’egemonia secolare soprattutto nella bassa Toscana e nel Lazio prima dell’avvento dei Roma. Il grande senso di devozione e rispetto per i defunti è testimoniato negli straordinari siti funerari come le necropoli di Cerveteri e Tarquinia», così si spiega l’iscrizione nel 2004 tra i tesori dell’UNESCO di questi due siti dell’Etruria laziale. «Queste sono dei capolavori del genio creativo dell’uomo: l’estensione delle pitture decorative di Tarquinia sono eccezionali sia per le forme che per i contenuti poiché rivelano gli aspetti della vita, della morte e delle credenza religiose degli antichi Etruschi. Cerveteri presenta, nel contesto funerario, le stesse concezioni urbanistiche e architettoniche di una città antica. Le due necropoli costituiscono una testimonianza unica ed eccezionale dell’antica civiltà etrusca, unica tipologia di civilizzazione urbana dell’Italia pre-romana. […] Molte delle tombe di Tarquinia e Cerveteri rappresentano tipologie di costruzione che non esistono in nessuna altra forma. I cimiteri, progettati come le città etrusche, sono fra i più antichi della regione».
Arte e Luoghi | febbraio 2020