Tecnica e Virus. Ai tempi del Coronavirus
L’importanza delle parole
Giovanni Bruno
Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta
Vorrei introdurre preliminarmente una distinzione, forse molto importante ,tra i due termini argomento di
questo articolo: tecnica e tecnologia. La prima è proprio quel complesso di norme che regolano un esercizio
pratico o intellettuale, la seconda rappresenta l’utilizzo, l’uso di quelle norme finalizzate a inventare cose utili che possano soddisfare bisogni o risolvere problemi.
L’uomo fin dalle origini si è dovuto confrontare con un ambiente, con la natura, con un creato spesso ostile difficilmente addomesticabile. E proprio per dominare la potenza infinita di una natura indifferente e matrigna ha dovuto far ricorso alla tecnica e di conseguenza alle varie tecnologie. Possiamo dunque dire che l’uomo per esistere, per stare al mondo deve essere tecnico, perché ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo arco vitale.
La questione della Tecnica è la questione del pensiero occidentale, già tutto il mondo antico si è interrogato su questo tema, Sofocle per esempio nell’Antigone riflette come l’uomo per stare al mondo deve ricorrere alla tèchne, al dominio tecnico sulla natura, egli è obbligato ad adattare il mondo a se stesso. Ma l’uomo attraverso la tecnica ha così nelle sue mani una potenza infinita, smisurata e proprio in questa potenza infinita si annida la possibilità della dismisura, di sconfinare, cioè andare oltre i propri confini, oltre i propri limiti. Dunque già i Greci, che hanno scritto l’alfabeto della nostra cultura, nel IV secolo a.C. si sono posto l’enorme problema della tecnica e quindi delle tecnologie che noi tutti usiamo.
Ne discende dunque un grande interrogativo: la tecnica è il nostro strumento o siamo piuttosto diventati strumento di quello che noi stessi abbiamo inventato? Questo è il tema con il quale il genere umano si confronta e del quale continuerà a dibattere nei prossimi anni.
Intanto però la Natura si è ripreso il primato. Nel modo tragico che conosciamo oggi. Questi giorni così calamitosi sono intrisi di sofferenza, dove il virus ( peste ) sta esercitando tutto il suo potere che è fatto di presenza e al tempo stesso di assenza. Con una potenza di suggestione impressionante in quanto noi gente comune non lo conosciamo, ma non lo conoscono gli scienziati, i virologi, i ricercatori che non
riescono a decodificarlo e a capirne le varie sindromi che determina. Il virus è ubiquitario, non ha un suo locus, non lo vediamo ma sappiamo che c’è e tutto questo ci fa vivere nella paura, in una sospensione tragica e minacciosa .
La comunità scientifica proprio non conoscendo il virus va avanti per ipotesi. Una delle più accreditate è quella secondo la quale il virus sarebbe stato trasmesso dall’animale all’uomo.
Un libro di David Quammen, Spillover, edito da Adelphi, tratteggia questo passaggio.
Così Quammen : «Spillover è il termine che indica quel momento in cui il virus passa dal suo ospite non umano (un animale forse un pipistrello) al primo ospite umano. Questo è lo spillover. Il primo ospite umano è il paziente zero».
Tutto ciò accade in quanto noi esseri umani interferiamo, colonizziamo diversi ecosistemi alterando profondamente ogni equilibrio naturale e scatenando nuovi virus, parassiti obbligati, prima sconosciuti all’uomo che adesso devono trovare nuove cellule da infettare, nuovi ospiti da aggredire.
A questo punto del ragionamento torniamo agli antichi Greci e al sentimento della giusta misura che connotava la loro cultura. Lo sconfinamento, l’andare oltre il limite che pure la tecnica ci permette di fare forse è pericoloso e comunque deleterio e costoso.
Dalla pandemia dobbiamo imparare che le nostre modalità di stare al mondo possono avere delle conseguenze molto negative e in questo senso il genere umano si rende responsabile dei disastri che determina. E tuttavia la tecnologia che sempre viene in soccorso dell’uomo nel caso del virus sembra perdente o sconfitta. Stiamo imparando che la Natura è più forte della tecnica, la tecnica si sta rivelando più elementare e rozza. Il vaccino o la cura definitiva tardano ad arrivare, anzi di più le soluzioni parziali sembrano rafforzare il problema.
Stiamo forse imparando a considerare la variabile “Tempo”. Serve tempo per guarire dalla malattia, tempo agli scienziati per studiare e ricercare, tempo al Sistema sanitario nazionale ad organizzarsi, tempo per progettare un futuro prossimo. Tutto questo è difficile da accettare, per noi che viviamo nel mito della velocizzazione, del click della tastiera, virtuale che ci fornisce subito la risposta il risultato.
E tuttavia adattiamoci ad accettare con consapevolezza il tempo di un viaggio che non abbiamo scelto di fare ma che deve condurci a una meta di salvezza e di rinascita.
è il caso di concludere con una verso di Albert Camus : «… nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi è in me un’invincibile estate».