A passeggio lungo la Via Sacra del Foro Romano

L’impronta di secoli di Storia…

Sara Foti Sciavaliere

Ai primordi di Roma, la tradizione narra la lotta fra i Latini del Palatino e i Sabini che occupavano invece il colle Quirinale e tale scontro ebbe come scena la valle tra due colli, dove un tempo c’era un’area paludosa adibita alla sepoltura dei defunti degli abitanti dei colli e poi si stabilirà il Foro, la piazza del mercato e cuore di una città, frutto del compromesso che seguirà la lotta tra Latini e Sabini.

Nel Foro, di fatto, convengono i cittadini a trattare gli affari, a vendere e comprare, e conserverà sempre quell’impronta commerciale, anche quando fu circondata da nobili edifici e, le umili taberne saranno sostituite dai locali per gli orefici e i cambiavalute. Sono sempre tutt’intorno disposti, fin dalla più remota antichità, i luoghi sacri che celebrano le divinità più venerate e le sedi dei poteri supremi del governo: il tempio di Vesta e la casa delle Vestali, il tempio di Giano, l’ara di Saturno e quella di Vulcano, la Regia – residenza del collegio dei Pontefici -, la Curia – sede del Senato -, il Comizio – luogo per le assemblee ufficiali del popolo. Una più consapevole monumentalizzazione si avviò con la fine delle guerre puniche (fine III – inizi II sec.a.C.), quando Roma giunse a dominare tutto il Mediterraneo e il Foro diviene il sito più celebre e significativo della città, un riflesso di secoli di vicende storiche e del progressivo sviluppo della potenza romana.
La via Sacra attraversa il Foro da est a ovest e lì sfilavano le processioni religiose e trionfali.


Alle spalle del Campidoglio, la via Sacra prosegue sotto l’Arco di Settimio Severo, arco trionfale a tre fornici rivestito di marmo, fatto erigere ne 203 d.C. per celebrare la vittorie sui Parti. Sull’attico si legge l’iscrizione di dedica di Settimio Severo e al figlio Caracalla. Accanto al pilastro sud è una struttura circolare in mattoni, chiamata Mundus o Umbilicus Urbis, luogo considerato il centro di Roma e punto di contatto con il mondo dei morti. La scena alle spalle dell’arco è dominata da uno dei monumenti più importanti della città, il “Tabularium” che, costruito nel 78 a.C., era anticamente destinato ad ospitare gli archivi pubblici dello stato, in particolare le “tabulae” di bronzo sulle quali erano incisi decreti e leggi, finché nel XII secolo fu scelto come sede del Comune, spostandone l’ingresso sulla piazza del Campidoglio, alle spalle.
Sempre in questa zona del complesso monumentale c’era il percorso delle scale gemonie, che nell’antica Roma, erano una scalinata di accesso al colle Campidoglio che saliva appunto dal Foro e dovevano passare (come testimonia una scalinata moderna ancora esistente) tra il tempio della Concordia e il carcere Mamertino. Su queste scale, vicine al carcere, vennero gettati i corpi dei condannati a morte per il delitto di lesa maestà sotto l’imperatore Tiberio e successivamente anche di diverse vittime dei conflitti legati al potere imperiale.


Lungo l’estremità opposta della Via Sacra, nel punto in cui si sale verso il Palatino, troviamo l’Arco di Tito, che deve la sua conservazione all’inglobamento nelle fortificazioni medievali. Fu eretto da Domiziano in memoria del fratello Tito divinizzato per celebrarne il trionfo nella guerra giudaica del 70-71 d.C.: lo rivela la dedica incisa sul lato verso il Colosseo, nell’attico sopra l’unico fornice. Sul fianco di questa si allineano ancora i monumenti dell’impero: la basilica di Costantino, il tempio di Romolo figlio di Massenzio, il tempio di Antonino e Faustina, il tempio di Venere e Roma. Quest’ultimo ci dà l’idea di Roma percepita come una divinità e in effetti nelle province fin dagli ultimi tempi dell’età repubblicana, Roma – alla apri di una persona divina – cominciò a essere venerata, e il suo culto si diffuse nel periodo imperiale associato per lo più al culto dell’imperatore divinizzato. A Roma tale culto fu introdotto da Adriano, insieme a quello di Venere, ma non nel suo ruolo di dea dell’amore ma in qualità di progenitrice di Enea e quindi la primigenia origine di Roma; inoltre Venere era considerata la progenitrice della gens Julia alla quale apparteneva Augusto, fondatore dell’Impero. Così a Roma e a Venere, Adriano nel 135 eresse un tempio che glorificasse le origini della città e quelle dell’Impero, e fu Adriano in persona – studioso di architettura e appassionato di costruzione – a progettarlo e a dirigerne i lavori, realizzando il tempio più grande di Roma antica: un’enorme piattaforma artificiale sosteneva due celle absidate, circondate da ricchissimi colonnati di marmi orientali; una delle due celle conteneva la statua di Venere e l’altra quella di Roma. Nel VII secolo le tegole di bronzo dorato del tetto furono utilizzate per rinnovare il tetto della basilica Vaticana e tre secoli dopo, sull’area del tempio, verso il Foro, si stabilì la Chiesa di Santa Maria Nova, tuttora esistente – conosciuta anche come Chiesa di Santa Francesca Romana alla quale fu intitolata nel XV secolo – e che, insieme al suo campanile e con il chiostro, costituisce uno dei più singolari gruppi monumentali, dove il tempo e gli accadimenti storici hanno lasciato la loro impronta.

A partire dal VII secolo avvengono i cambiamenti più profondi, in coincidenza con le trasformazioni politiche e religiose che caratterizzano questi tempi, come l’installazione di officine per la rilavorazione dei metalli e dei marmi ottenuti dalle spoliazioni, che testimonia come molti edifici non fossero più ritenuti tanto importanti e venivano trasformati a volte in chiese. Il ruolo della Chiesa diviene sempre più centrale: nell’VIII secolo sono create nelle chiese del Foro cinque diaconie, istituti religiosi dediti all’assistenza, in cui sono da collocare le granarie, i pozzi e una piccola terme nella Casa delle Vestali. E su quest’ultima mi vorrei brevemente soffermarmi. Vesta personificava il focolare domestico che la mater familias accende, alimenta e custodisce, e anche se con il tempo tale culto si identifica con quello del focolare pubblico e quindi dello Stato, le sue caratteristiche discendono dalla dimensione domestica che rimane intrinseca. Di fatto l’edificio di culto era rotondo come l’antica capanna laziale e all’interno non vi era la statua della dea ma un focolare e nient’altro; più che un tempio, si potrebbe dire insomma una capanna nobilitata dal pregio dei materiali in uso e dagli ornamenti. Il focolare era continuamente vigilato dalla vestale affinché quello non si spegnesse, pertanto questa sacerdotessa era paragonabile alla mater familias di tutti i cittadini, da dove derivano i privilegi e il rispetto che essa godeva. Oggi del tempio, più volte rinnovato dall’età regia fino ai tempi di Settimio Severo, restano solo il rudere circolare del podio e frammenti architettonici. E adiacenti i resti la Casa delle Vestali, dove dimorava il collegio di sei sacerdotesse dedite al culto fin dai 10 anni, ai 40 anni quando potevano anche lasciare l’atrium Vestae e sposarsi. Dei resti recuperati da scavi archeologici della fine dell’Ottocento, sicuramente fanno bella vista le statue allineate con le iscrizioni dedicatorie delle Vestali massime, alle quali fosse concesso in via esclusiva l’onore di una statua che in genere era innalzata da chi avesse ricevuto qualche beneficio.

Ma fu la presenza di istituti religiosi in epoca cristiana a favorire l’aumento del circostante abitato, che fu però radicalmente alterato a partire dalla seconda metà dell’IX secolo da tragici eventi naturali quali il terremoto e l’alluvione dell’847. L’accumulo delle macerie non fu rimosso né si risistemarono gli impianti fognari, che poi vennero abbandonati, causando in tal modo l’impaludamento e l’innalzamento dei piani, su cui poi si costruirono anche dimore di buon livello e attività artigianali e commerciali. Tuttavia sarà necessario arrivare agli inizi del XIX secolo per ritrovare attenzione per quest’area di Roma che ne era stato per secoli il cuore pulsante: saranno avviati scavi metodici e restauri razionali dei monumenti del Foro, caduta nel degrado e nell’abbandono. La valle dal Campidoglio all’arco di Tito era coperta da strati di terre di scarico , dove in un ‘ampia distesa, il cosiddetto “Campo Vaccino” si teneva il mercato del bestiame, e tutt’intorno e a ridosso dei monumenti che emergevano dal terreno con le estremità superiori, stavano umili case e fienili, botteghe e officine di fabbri e facocchi, artigiani che costruivano carri. Le demolizioni incominciarono dietro l’impulso di Papa Pio VII e dagli scavi i primi monumenti a riprendere respiro furono gli archi di Tito e Settimio Severo. Le campagne di scavo, proseguite sotto varie direzione, tra le quali quella del Valadier – il famoso architetto del Pincio – , furono condotte a pieno ritmo fino al 1853 per essere quasi abbandonate o quantomeno proseguite con una certa fiacca, per poi scavare completamente l’area nei primi del Novecento.