I libri come tramite per giungere all’altro da me

Intervista a Katiuscia di Rocco da diciotto anni alla direzione
della Biblioteca arcivescovile Annibale de Leo di Brindisi

Antonietta Fulvio

L’anagramma di Bibliotecario come suggerisce Stefano Bartezzaghi è “beato coi libri”.
Un anagramma che ben si addice a Katiuscia Di Rocco direttrice della Biblioteca Arcivescovile “Annibale De Leo” di Brindisi. Come per tutti gli enti culturali, anche la Biblioteca ha dovuto fare i conti con la pandemia e “rivoluzionare” la propria presenza sul territorio raggiungendo comunque i suoi fruitori grazie alla creatività e alla determinazione della sua direttrice con cui abbiamo piacevolmente parlato di libri e non solo.

Partiamo da lontano. Come nasce il tuo amore per i libri, ricordi il primo libro che hai letto?
In realtà non ho un amore sviscerato per i libri, la mia è sempre stata una curiosità fortissima di conoscere, sapere luoghi, avvenimenti, individui sul versante logico e con un nesso causale, capire probabilmente il sentimento, il dolore, la gioia. È quindi questa curiosità che mi ha spinto a leggere. Non ricordo il primo libro letto. Ne ho letto davvero tanti, un po’ per diletto, un po’ per curiosità, molti per professione: ho conseguito il dottorato in storia, dopo la laurea in Lettere, per cui ho letto tantissimi libri di storici, di indagine e critica storica ed ogni libro che ho letto, fossero anche romanzi, novelle di teatro o molta poesia è stata una specie di indagine introspettiva. Leggere era ed è un modo per capire e conoscere me stessa e attraverso me stessa conoscere e capire gli altri. I libri sono stati un tramite, un mezzo, per giungere “all’altro da me”.

Quest’anno hai raggiunto il traguardo dei diciotto anni di direzione della De Leo.
Ricordi, paure, aspettative…C’è qualcosa che vorresti aver fatto e che non sei riuscita ancora a fare?

Quest’anno ho raggiunto i diciotto anni alla direzione della Biblioteca De Leo e ho moltissimi ricordi. L’inizio è stato difficilissimo e complicato perché non ho un cognome brindisino, mio padre è abruzzese e abbiamo vissuto poco la città. Ho frequentato qui il liceo e poi l’università a Lecce ma mio padre era molto legato alle sue radici per cui ogni anno in estate andavamo in Abruzzo. Noi non parlavamo il dialetto brindisino, non mangiavamo il pesce o i frutti di mare perché lui non era abituato e nonostante mia madre fosse brindisina si era adeguata alla cucina tradizionale abruzzese. Ricordo ancora che quando andavano a Bussi sul Tirino, paese di origine di mio padre, nel periodo estivo tornavamo carichi di trote di fiume che poi mangiavano durante l’inverno. Il pesce e i frutti di mare come le cozze e i ricci che io oggi adoro ho imparato a mangiarli tardi. Insomma nella biblioteca, culla della tradizione e della cultura brindisina, trovare una persona non brindisina e comunque con un cognome non brindisino spiazzava ed infastidiva le persone.
In che senso?
Nel senso che non mi si conosceva, non sapevano da dove provenissi, mio padre tra l’altro non era un libero professionista, mia madre faceva la casalinga, insomma proprio difficile da accettare. Ricordo difficoltà e lacrime, difficoltà postemi sempre da laici: una donna alla direzione della biblioteca? Una donna… peraltro di appena trent’anni. Mi sentii dire che tutto sarebbe andato perso, bruciato… Se ho avuto paure? No. Paure sinceramente non ne ho avute. Ero talmente innamorata della ricerca storica, di quello che potevo fare qui e di quello che si poteva fare qui che non ho avuto paure. Né tanto meno aspettative che caratterialmente non mi appartengono. Ho pensato solo che bisogna “fare” e fare tanto. Bisognava catalogare, perché senza catalogazione non si conosce il patrimonio, e se non conosco bene ciò che ho non posso usarlo a pieno. Prima di approdare alla direzione nel 2003 per dieci anni tra volontariato e piccoli contratti avevo avuto modo di conoscere bene la biblioteca e le sue potenzialità. Venivo fuori da borse di studio, assegni di ricerca anche con l’Ecole Francaise e stavo finendo il dottorato. Avevo tante idee su quello che si poteva fare e far venire fuori da qui. Se c’è qualcosa che avrei potuto fare e non sono riuscita a fare?
Cambiare la mentalità di questa città. Reinhold Niebuhr diceva” Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza”.

Codici antichi, incunaboli, cinquecentine e corpose donazioni fanno della Biblioteca Arcivescovile Annibale De Leo di Brindisi un luogo unico tra le biblioteche più antiche del Meridione e del Salento. Quali impegni anche in termine di divulgazione e conservazione un direttore deve quotidianamente affrontare anche per sfatare lo stereotipo della biblioteca come luogo silenzioso e polveroso e non per tutti?
Come conservazione tanto, noi dobbiamo mantenere una temperatura ed umidità costante, monitorare la sicurezza del luogo. La nostra è una biblioteca un po’ “strana”, particolare, nel senso che deve sia consentire l’accesso al pubblico e quindi avvicinare i più piccoli al mondo dei libri sia custodire e rendere fruibile il proprio patrimonio, con registri linguistici adatti e diversificati a seconda dell’utenza, il tutto sempre con un grande rigore scientifico in considerazione del materiale che vi è all’interno. Quello che è difficile far comprendere è che oggi l’uno non può assolutamente annullare l’altro. Non si può aprire ai ricercatori e non curare l’infanzia o l’adolescenza. I bambini devono amare la lettura, devono capire che cosa significa leggere in modo da definire uno spirito critico forte, devono capire che la biblioteca non è un luogo stantio dove annoiarsi. Il silenzio profondo che in alcune circostanze a qualcuno può essere piacevole, alla maggior parte dei giovani determina un’idea quasi lugubre. Non è questo. Abbiamo organizzato laboratori per bambini, facciamo alternanza scuola lavoro, messe alla prova e servizi di pubblica utilità ed è bellissimo che i ragazzi che hanno fatto qui alternanza poi ritornino a fare il tirocinio universitario o chiedano testi per le tesi di laurea.
Non solo libri antichi. Come nasce l’idea di istituire un fondo librario su tutte le mafie intitolato alla piccola Angelica Pirtoli?
Negli anni abbiamo istituito due fondi uno sulle mafie e una sulla letteratura di genere. Le motivazioni sono state diverse: il fondo sulla letteratura di genere che consta di circa 1200 libri, nasce per un’assenza totale di testi di tale argomento qui in biblioteca. Per il fondo sulle mafie, l’idea nasce durante un laboratorio con una quinta elementare: un bambino che aveva visto una fiction mi chiese “che cos’è la mafia?”. Mi resi conto che non avevo un testo che mi aiutasse. Da qui l’idea di mandare una mail a case editrici, scrittori, giornalisti per costituire un fondo libraio. Ho conosciuto moltissime persone in quella circostanza, giudici, magistrati, Maurizio Saso, la giornalista Marilù Dimastrogiovanni. Quando si istituisce un fondo librario bisogna trovare un’intitolazione. Quello sulla storia delle donne è stato intitolato ad una storica brindisina poco conosciuta, Giulia Poso, che ha scritto molto sulla storia risorgimentale alla fine dell’Ottocento. Per il fondo sulle mafie da un’associazione antiracket avevo ascoltato il nome di Angelica Pirtoli tra le tante vittime della criminalità organizzata. Nel 2015 con mia figlia, che all’epoca aveva dieci anni, in un sabato grigio ci siamo messe in macchine, direzione Parabita. La prima tappa fu Lecce, dove da Paola Bisconti, ebbe in dono i primi libri per il fondo poi proseguimmo per Parabita dove mi attendeva la giornalista Daniela Palma, il sacerdote della chiesa madre e Mario, marito di Marilù Mastrogiovanni, che mi portò riviste e libri in dono. Visitammo Parco Angelica e lì ho sentito che il fondo non poteva che essere dedicato a lei. Chiunque oggi chieda un libro di quel fondo librario deve pronunciare il nome di Angelica Pirtoli, perché il suo nome è all’interno della collocazione.

La figura del fondatore della Biblioteca Annibale De Leo un prelato brindisino illuminato che per volontà testamentaria stabilì la fruizione pubblica della biblioteca.
Sì, un sacerdote, poi arcivescovo assolutamente illuminato che aveva stabilito, ad esempio, che la biblioteca doveva essere al piano terra del suo palazzo un po’ come forma di protezione, ma sicuramente di controllo dal furto di libri ed ingressi indesiderati. Stabilì una fruizione cioè il termine “pubblico” non è da poco, io continuo a sottolinearlo in continuazione: si tratta di una biblioteca a giurisdizione arcivescovile, privata quindi, ma pubblica nella fruizione per statuto di fondazione. Annibale de Leo è stato lungimirante per tanti motivi, noi qui abbiamo 53 libri posti all’Indice che lui volle acquistare: avrebbe dovuto denunciarli e sarebbero finiti al rogo, lui invece no, li acquista, li tutela li protegge perché Annibale di dover conoscere per avere la possibilità di rispondere ai detrattori nella maniera opportuna. è il sapere che dà gli strumenti necessari, gli unici.

Un notevole patrimonio da riscoprire. Chi sono i fruitori della Biblioteca?
I fruitori sono cambiati negli anni, quando sono arrivata erano storici locali, docenti universitari, pochi studenti che svolgevano tesi, qualche scuola che si affacciava. Oggi gli utenti sono vari, ovviamente parliamo del pre pandemia. C’erano i ragazzi che venivano a studiare, che facevano l’alternanza scuola lavoro, dottorandi, ricercatori, professori universitari, tesisti, moltissimi studioti di scuole superiori che fanno ricerche su argomenti specifici, c’è la popolazione locale, e non solo, che vuole ricostruire gli alberi genialogici, insomma chiunque si voglia affacciare ad una documentazione che ormai è veramente molto vasta e non solo antica. Il patrimonio si è notevolmente incrementato con l’ultima importante donazione di Beppe Petrono, ben 30.000 libri di storia, politica, filosofia, e poi con il fondo emergenza con il quale abbiamo potuto acquistare per 10.000 euro quasi mille testi (per infanzia, adolescenza, mafia, la letteratura di genere e testi necessari alla decodificazione dei nostri libri antichi).

E all’indomani della pandemia che ha sconvolto le nostre vite, quali strategie sono state adottate per superare l’impossibilità degli eventi in presenza?
Beh sicuramente il freno che c’è stato a marzo è stato sconvolgente, non se l’aspettava nessuno. Il momento, forse più brutto è stato la seconda chiusura a novembre: si respirava l’aria di più forte incertezza e di inutilità di quanto fatto fino a quel momento. Da maggio avevamo organizzato il contingentamento, gel, mascherine, sanificazione. Pensavamo sarebbe bastato. Era come respirare un’aria di profezia dell’estinzione e quei giorni a ridosso del dpcm tra le persone che venivano, telefonate, le mail era come dire “oddio che cosa leggiamo adesso, il cielo stellato?”. Era come recitano i versi “del doman non c’è certezza”. Così veramente tra una notte e un giorno mi sono immaginata “La biblioteca a domicilio”.

Con l’iniziativa della consegna dei libri in bicicletta avete mantenuto il filo diretto con i lettori e non solo. I libri non solo narrazione ma incontro, scoperta dell’altro e baluardo della memoria. A tal proposito hai una bella storia da raccontare…
Una nostra volontaria, iscritta a varie associazioni ha iniziato ad effettuare varie consegne a domicilio in bicicletta, anche se presto è stato chiarito che le biblioteche e gli archivi non erano omologati ai musei, potevamo quindi restare aperti se riuscivano a rispettare tutte le norme anticovid. Abbiamo dunque lasciato ai nostri fruitori una scelta doppia cioè: chi voleva la consegna a domicilio ne usufruiva, in bici sempre, chi poteva e voleva venire biblioteca poteva farlo prenotandosi via mail. Il tutto con l’idea costante è che la biblioteca sia un presidio di mutazione, come una presa di coscienza perché in realtà le biblioteche credo siano veramente l’ultimo baluardo di democrazia: i libri non si pagano, ma vengono presi in prestito. In fondo una biblioteca è nemica dell’immobilità, è come un gioco di prospettiva che bisogna attuare contro qualsiasi falso movimento e contro le illusioni ottiche. Insomma non ce la siamo sentita di attendere il verdetto catastrofista è come dei cuentacuentos, cioè come dei raccontastorie abbiamo continuato raccontare la storia di questi secoli, fatta di ansia, paure, timori, confusione e sospensione. è crollata l’idea di avere il controllo serrato della realtà. Abbiamo cominciato ad avere paura di incontrare l’altro e fame che comunque si ha dell’altro genera timore.

Come l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo in quest’ultimo anno ha condizionato il tuo lavoro?
Sono cambiati completamente i ritmi della quotidianità lavorativa, cerchiamo di fare quanto più possibile noi. In definitiva io sono sola in biblioteca perché gli altri lavorano in smart working, catalogando ed indicizzando le riviste. Le email scambiate con i colleghi sono cambiate completamente perché si aprono e si chiudono con “carissima” oppure “al più presto”, “stai tranquilla” o “grazie di cuore” o “spero che tutto vada bene” e non ci si è mai visti, mentre prima il rapporto era molto più distante e formale. Credo peraltro che l’Enciclica di Papa Francesco si esprima in questo modo. Noi siamo individui in una collettività e non cresciamo come singoli, cresciamo con gli altri, probabilmente pensando proprio all’aiuto che possiamo dare agli altri e distogliendoci un attimo dal concentrarci solo su di noi. Sono convinta che solo in questo modo possiamo salvare e costruire la memoria, superare questa condizione di esilio e di solitudine nella quale ci troviamo, questa sorta di inquietudine verso il futuro. Anche in questa difficile situazione possiamo continuare a costruire il futuro, quello dei nostri figli e dei figli degli altri, il futuro dei ragazzi che vanno a scuola in un momento di così grande difficoltà. Abbiamo cominciato da gennaio a fare degli incontri su Meet mostrando i nostri documenti ad intere scolaresche che non potevano più entrare in biblioteca: gli insegnanti ci indicano un tema e noi prepariamo i documenti e li esponiamo. La Shoah o l’influenza del 1918, la condizione della donna o i nostri codici miniati diventano su temi su cui discutere. Credo sia necessario continuare a costruire il futuro partendo sempre da un presupposto: la competenza non è l’autorità, i luoghi della cultura devono essere dei luoghi di dialogo, di conversazione non di pesca a strascico, non dobbiamo portarci chiunque e chiunque non può fare qualsiasi cosa. Ognuno di noi ha una specializzazione ed è giusto andare avanti per competenze. Il luogo biblioteca ci dà la possibilità di informarci su tutto, ci dà migliaia di libri da consultare e ci dà la possibilità di scavare, di trovare i documenti originali, di capire quale sia la realtà e quale sia la verità. La verità è che probabilmente non esiste più un’identità culturale e con lo straziante campanilismo che si continua a fare non si và in realtà in nessuno posto, ma si gira in tondo mordendosi la coda. Dobbiamo iniziare ad accorciare le distanze, rispettando le differenze e comprendendo che ormai siamo un insieme di gruppi sanguigni che circolano: non esiste più una città esistono migliaia di città in una città, migliaia di etnie e migliaia di vite e migliaia di storie che devono essere raccontate.

Una curiosità, cosa sono i “Bebè libri”?
Il “Bebè libri” è l’iniziativa che ci siamo immaginati proprio per i nuovi arrivati, cioè per tutti i nati nel gennaio del 2021, ai quali abbiamo recapitato in bicicletta un libro di favole. Non è il classico libro di stoffa con cui il bambino può giocare nel bagnetto, ma di un vero e proprio testo di fiabe per la notte che i genitori devono leggere ai loro piccoli: è un po’ come spegnere le cattive notizie, non ascoltare la televisione, il telefonino, non esiste niente intorno, ci si guarda negli occhi e si trae nutrimento l’uno dall’altra o l’altra dall’altra, è un nutrimento reciproco, una cosa magnifica. Volevamo che i genitori fossero obbligati a trascorrere quella mezz’ora o anche solo 10 minuti concentrandosi solo sui propri figli, abituandoli all’ascolto perché i libri aiutano l’immaginazione, la fantasia e lo sviluppo del senso critico.
Il 14 marzo sarà la giornata nazionale del Paesaggio. Anche quest’anno la biblioteca De Leo aderisce. Ci racconti come vi state preparando e quale sarà l’iniziativa che avete ideato?
Come sempre abbiamo aderito alla giornata nazionale del paesaggio e abbiamo pensato di creare un video sui documenti antichi conservati nella nostra biblioteca che raccontano il paesaggio brindisino e quindi il vino, il grano, l‘olio ed il porto. Quindi abbiamo trovato su alcuni manoscritti dei disegni del porto di Brindisi, rappresentazioni di uliveti e di vigneti che raccontano tutto il territorio con didascalie e frasi emblematiche per descrivere il sentimento che rappresenta un paesaggio. Campanilisticamente? Ancora una volta no, ma per comprendere in realtà che il paesaggio ci appartiene e ci identifica.

Un auspicio più che una domanda: la Cultura, a maggior ragione in questo tempo forzatamente sospeso dalla pandemia, salverà il mondo?
Credo non ci siano altre speranze. La dannazione è che chi questo mondo lo può salvare, purtroppo, chi prende le decisioni, chi fa politica molto spesso strumentalizza la. Nei decenni passati non si è investito nei luoghi che veramente potevano cambiare il mondo, le biblioteche, gli archivi, i musei, la scuola, i siti archeologici. Sono quei luoghi che consentono ad una comunità di crescere. La gente deve apprendere con lentezza e deve abituarsi al rispetto. La politica non ha investito sull’uomo: la scuola è sempre stata troppo bistrattata, troppi pochi investimenti per i luoghi ed i progetti di lettura. Invece, sono scrigni che vanno custoditi e fatti fruire.