Non solo Caravaggio
I pittori del Seicento aretuseo
Dario Bottaro
Nella città di Aretusa, di Archimede, di santa Lucia – ovvero Siracusa – il dipinto più importante e probabilmente quello di cui si è parlato e si parla il più delle volte è certamente il celebre “Seppellimento di Santa Lucia” (fig. 1), opera del pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio o semplicemente detto Caravaggio. È certamente l’opera simbolo della città, non fosse altro per ciò che rappresenta, esplicito riferimento al martirio della Patrona e Concittadina Lucia.
Certo Caravaggio, seppe interpretare il sentimento di devozione religiosa, il pathos della drammatica fine terrena della giovane cristiana, i sentimenti di quel popolo stretto attorno al suo corpo esanime che attende di trovare il riposo eterno, abbracciato dalle viscere della terra.
E non c’è alcun dubbio che l’esempio del pittore fuggiasco dall’isola di Malta, abbia influenzato la cerchia dei suoi conoscenti e molti altri artisti che dalla sua tecnica hanno preso in prestito l’importanza della luce, che plasma la materia, la rende viva e percepibile, capace non soltanto di dare vita ai corpi, ma anche e soprattutto alle anime. Ed è proprio grazie alla presenza di questo artista – riscoperto dal Longhi dopo la metà del secolo scorso – ed all’opera sopra citata, realizzata su commissione del Senato Siracusano per la chiesa di S. Lucia fuori le mura, che altri artisti suoi contemporanei e non, hanno trovato ispirazione per le loro opere che arricchiscono ancora oggi il grande patrimonio storico-artistico della città siciliana.
Il più vicino allo stile di Caravaggio fu l’artista Mario Minniti, siracusano di nascita (8 dicembre 1577 – 22 novembre 1640) che dal “maestro della luce” seppe prendere in prestito la tavolozza cromatica dai toni caldi e in modo particolare i giochi chiaroscurali che caratterizzano la sua cifra stilistica. Un continuo rimando di ombre, di profondità e di luci che illuminano i protagonisti delle sue opere, rendendoli altrettanto vivi e capaci di instaurare un dialogo con chi è davanti alla tela. Uno di questi esempi, per la bellezza della gestualità che si arricchisce dell’esperienza romana del pittore è il “Miracolo della vedova di Naim” (fig. 2), oggi esposto presso il Museo Regionale di Messina dove la concitazione per il miracolo – che è sotto gli occhi di tutti gli astanti – è espressa dalle espressioni dei volti e in modo particolare dalla gestualità continua che sembra percorrere l’intera superficie dell’opera come una serie di linee convergenti al centro, dove è posizionata la mano del Cristo che compie il prodigio.
Siracusa conserva diverse opere del Minniti, il quale fu anche artista del Senato cittadino e a tal proposito chiamato a realizzare alcune importanti opere come ad esempio una pala con soggetto “L’Angelo custode” per la cappella dello stesso Senato, così come riferito in un documento della seduta consiliare del 6 dicembre 1637 – da poco pubblicato nel libro “Caravaggeschi, la pittura del Seicento a Siracusa” a cura del prof. Michele Romano e di chi scrive questo articolo, conservato presso l’Archivio di Stato di Siracusa.
Purtroppo di quest’opera non si ha più traccia, probabilmente rovinata o andata distrutta a seguito del terremoto del 1693, ma altre sono ancora oggi visibili presso alcune chiese e in modo particolare nella sala dedicata al pittore presso la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, uno dei luoghi simbolo della cultura di Siracusa, un contenitore d’arte che racconta secoli di storia.
Nella chiesa di S. Pietro al Carmine è possibile ammirare la pala centinata con “I quattro santi coronati”(fig.3), un tempo esposta presso l’omonima chiesa di cui oggi non restano che pochissime rovine, poco distante dalla sede attuale. Nella chiesa del Monastero di S. Benedetto, di antica fondazione, è la grande pala d’altare con sua cornice, raffigurante il “Transito di San Benedetto” (fig. 4) e molto particolare perché mostra in primo piano, sul lato del sarcofago, lo stemma nobiliare della famiglia Imperatore che commissionò l’opera. Anche in questa tela, la lezione caravaggesca si esprime attraverso l’utilizzo della luce che mette in rilievo i personaggi e separando la scena in due ben distinte zone, quella inferiore e umana con il santo a braccia aperte che guarda in alto, dove una voragine fra le nubi si riempie di luce dorata che evidenzia la gerarchia celeste, pronta ad accogliere il santo in Paradiso.
Spostandoci nella sala di Palazzo Bellomo troviamo le altre opere del Minniti che testimoniano non soltanto il capace utilizzo del metodo caravaggesco, ma anche la sua capacità di saper rendere alcuni dettagli tipici della “Maniera”, in un insieme il cui risultato è armonia di gesti, colori, luci e ombre.
Colpisce in modo particolare la tela del “Martirio di Santa Lucia” (fig. 5), di dimensioni ridotte rispetto alle pale d’altare e quindi di probabile committenza privata per il culto in famiglia.
Di quest’opera colpisce la bellezza della figura di Lucia, l’espressione estatica che trasmette il pathos del martirio, cui si appresta il manigoldo con il pugnale in mano che sta per sferzare il colpo mortale. Qui l’immagine di Lucia, dal ricco abito arricchito di motivi damascati, immobile e con le braccia incrociate al petto, si contrappone a quella dell’aguzzino colto nel momento in cui il gesto che dev’essere compiuto, implica la concentrazione della forza che scaturisce nel moto di tutto il corpo, maggiormente evidenziato dal movimento del manto rosso che svolazza creando una danza circolare di pieghe e panneggi.
L’opera come di recente pubblicato, entrò a far parte della collezione museale nel 1996, dono di Luigi Bernabò Brea in memoria della moglie C. Ghighizola.
Altre due opere del pittore, “Il miracolo di Santa Chiara” e la “Deposizione” (fig. 6 e 7) presentano le caratteristiche del suo linguaggio pittorico, espresso inoltre nelle raffigurazioni paesaggistiche che si aprono a fare da sfondo alle scene rappresentate.
Un elemento quest’ultimo che, se in parte circoscrive l’artista nell’ambito di quei pittori ancora legati alla raffigurazione scenica, ne testimonia comunque la padronanza della tecnica e la cura del dettaglio.
Accanto a questa figura importante per lo sviluppo artistico della città di Siracusa – ricordiamo che molte opere del Minniti sono custodite in diverse chiese della Sicilia centro-orientale, a Malta e presso diversi Musei della Regione – si accostano quelle di altri pittori come ad esempio Daniele Monteleone, Giuseppe e Giovanni Reati ed altri, tutti artisti del Seicento che con le loro opere hanno dato lustro alla città di Siracusa.
Queste testimonianze artistiche sono tutt’oggi visibili nelle chiese di S. Lucia alla Badia, di S. Maria della Concezione, dove troviamo due pale d’altare del messinese Onofrio Gabrieli, aventi per soggetto il “Martirio di S. Lucia” e la “Madonna della Lettera” (fig. 8 e 9), testimonianza quest’ultima degli intensi rapporti di scambio tra le due città siciliane.
Nella stessa chiesa di questo antico monastero possiamo ammirare la grande pala dell’altare maggiore con “L’Immacolata Concezione” (fig. 10) dipinta da un altro artista messinese, Agostino Scilla, lo stesso cui venne dato incarico di affrescare la nuova cappella del Ss.mo Sacramento nella Cattedrale di Siracusa.
Infine, non possiamo non citare il dipinto della “Madonna dei pericoli” (fig. 11) attribuito a Fra Domenico da Palermo, opera della seconda metà del XVII secolo, cui sono chiari i riferimenti alla “Madonna dei pellegrini” di Caravaggio, ma che risente fortemente dell’impronta di una pittura nordica, che si evince dalla volumetria del manto azzurro della Vergine e si manifesta anche per alcuni dettagli preziosi che ne adornano la figura, come l’orecchino a goccia e il filo di perle fra i capelli.
Siracusa ci presenta quindi il suo Seicento, ci parla di committenze private e di opere per il pubblico culto che hanno segnato un’epoca ed hanno confermato la presenza di artisti importanti, oltre Caravaggio, che con il loro lavoro hanno dato ampio respiro alle esigenze della città, trasformandole in una meravigliosa policromia che ancora oggi è possibile osservare e sperimentare seguendo i tanti itinerari della cultura aretusea.