LA RAGAZZA D’AUTUNNO (ovvero, la guerra attraverso gli occhi di una donna)
Prima Visione le recensioni di Massimiliano Manieri
Mi addentrerò in questa occasione in un film passato quasi inosservato a tanto pubblico, ma osannato dai pochi che han potuto bearsi delle sue trame.
Può una telecamera pennellare anziché inquadrare?
Possono dei colori raccontarci storie più delle parole?
Quanto ci scava dentro una singola immagine?
Sono svariati i tentativi di cinema che ha provato a tessere simili connotati di linguaggio, in testa, per obbligo stilistico mi sovviene la trilogia del Kieślowski, ma ancor più, tra i cinefili, è noto il percorso di Sokurov, che fece del suo modo di riprendere una scena, un’elegia dell’immagine.
Ed in effetti il presente regista (Kantemir Balagov) si ritiene lui stesso discepolo di Sokurov, riprendendone le trame narrative, ma acuendo ancor più una ricerca visiva che in lui sfiora il perfettibile, ed attuando una rivoluzione nel modus operandi a più livelli.
Ragazza d’Autunno immerge la sua trama in un dramma storico ambientato a Leningrado nel 1945 durante l’immediato secondo dopoguerra, è liberamente ispirato al libro di Svjatlana Aleksievič, “La guerra non ha un volto di donna”.
Qui la timida e bionda Lya, detta “giraffa” per la sua statura spropositata, lavora come infermiera in un ospedale in cui sono ricoverati i reduci di guerra e nel contempo si occupa del piccolo Pashka (Timofey Glazkov). Lya (interpretata da Viktoria Miroshnichenko) è anche affetta da un morbo che periodicamente blocca il suo corpo, la immobilizza, come rimanesse “incantata”. Quando l’amica Masha (Vasilisa Perelygina), la madre di Pashka torna dal fronte, il bambino non c’è più e Lya si sente colpevole della sua scomparsa.
Spinta psicologicamente al limite dal dolore e dagli orrori vissuti, Masha, rimasta sterile, vuole un altro figlio e Lya dovrà aiutarla, a tutti i costi.
Potremmo spingerci a definire in quest’opera la mano del regista, come un arto sovversivo, visto che ribalta decenni di cinema russofono, perennemente machista, staticamente virile, per porgere la vista a due donne, mettendole al centro di una scena ove son paradossalmente le figure maschili a subire il collasso del tempo intorno in modo infragilente, mentre costoro (le due donne, appunto) paiono ergersi e reagire in modo molto più attento agli eventi, sfiorando per certi versi anche una amoralità, che infine le schioda da secoli di visione omocentrica dei fatti.
Le due donne si ergono marmoree, dinanzi i mali del mondo, dinanzi ad una società avvelenata ed avvilita dalla scia della guerra e dall’assurdo bisogno dell’uomo di guerreggiare per sentirsi vivo. In questo impegno narrativo profuso, la telecamera non inquadra, ma cesella immagini, dosa cromatismi, simbolismi visivamente forti per il cuore, eppur delicatissimi per la pupilla.
Le due donne per giunta, non si spalleggiano del tutto, ma alternano competizione a complicità, ma nonostante ciò, sembrano soltanto loro gli argini reali all’esondazione di una crescente disumanità post/bellica.
Ma tornando alla qualità visiva estrinsecata nel film, raramente si era visto nel mondo del cinema una tale capacità chirurgica di operare con le immagini, tanto da far venir voglia allo spettatore di fermare ogni sequenza per immergersi ancor più.
La rivoluzione narrativa si completa con l’annullamento dell’eroe soldato, a favore della figura femminile, in una infermiera che lenisce i mali, ma non solo quelli fisici, e dismette una immobilità estetica, la stessa ostentata nei decenni trascorsi, da plotoni di registi che han messo sempre l’uomo al comando dei destini del mondo, peccando di mancanza di obiettività, oltre che di fantasia, peccando finanche nel dar forma alle nuvole, se queste presagivano solo e soltanto tempeste.
Nell’occhio del regista speranza e tristezza paiono mischiarsi, per poi tornare a scindersi, destabilizzando lo spettatore, per poi rinfrancarlo inaspettatamente.
È un cinema potente quello di Balagov, richiede pupille capaci di cogliere infinitesimi dettagli, e cuori capaci di battere ben oltre una cassa toracica contenuta.
È un cinema che lascia solchi profondi, che agendo su corde che giudicheremmo inaspettate, ci desta più luoghi dell’io, prima dormienti.
È il cinema che serve, nel torpore della coscienza oggi vigente.
Scheda tecnica:
LA RAGAZZA D’AUTUNNO
Regia di Kantemir Balagov.
Con Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov, Igor Shirokov, Konstantin Balakirev.
Titolo originale: Dylda. Titolo internazionale: Beanpole.
Genere Drammatico, Guerra, – Russia, 2019, durata 120 minuti.
Distribuito da Movies Inspired.