Quando Charles M. Schulz disegnò i Peanuts

A 101 anni dalla nascita del loro ideatore, il fumettista statunitense nato il 22 novembre 1922 a Minneapolis e scomparso a Santa Rosa il 12 febbraio 2000

Raffaele Polo

Perché i Peanuts si chiamano così?
Il termine ‘peanuts’ venne scelto perché indicava nel teatro la sezione con i posti più economici e a volte usato anche per indicare il pubblico composto da bambini.
E, in realtà, questa definizione non venne mai accettata dall’ideatore dei personaggi della striscia, ovvero Charles M. Schulz. Per lui, filosofo esistenziale travestito da vignettista, era troppo riduttiva e controproducente, sminuendo tutto lo sforzo, per nulla indifferente, di colloquiare con i ‘grandi’ attraverso il linguaggio e le vicissitudini dei ‘piccoli’.


Ora, di questa che è sicuramente la ‘striscia’ più famosa e più venduta al mondo, si è detto veramente tutto. E le figure dei protagonisti sono universalmente riconosciute e utilizzate, ancora adesso, che sono passati tanti anni e che è cambiata, più volte, la Storia Contemporanea, con i suoi simboli e le sue creazioni.
Di Charlie Brown, delle sue esitazioni e delle sue fobie, del suo intercalare e delle caratteristiche dei suoi amici, si può parlare a lungo, senza stancarsi mai. E, quel che più conta, continuiamo a rispecchiarci noi che apparteniamo a quelle generazioni che hanno conosciuto i propri beniamini su ‘Linus’ e ne hanno seguito, condividendole, tutte le sventure e le vicissitudini, facendole proprie e condividendole, con una punta accentuata di piacevole masochismo.

La copertina del libro Peanuts di Charles M. Schulz, edito da Mondadori, 2017


Quante volte ci siamo sentiti come Charlie, ignorati e vilipesi da tutti, beffeggiati anche dal cagnetto Snoopy che ha una filosofia molto simile alla nostra, ma in chiaro antagonismo con il ‘genere umano’?
Ecco, questa è sicuramente la ‘novità’ del mondo di Shulz, una sorprendente introspezione che ci affratella a TUTTI i suoi personaggi, perché c’è una comunanza ed una spesso isterica compartecipazione, ad esempio, al mondo di Lucy, o a quello di Linus che, con la sua coperta, raffigura perfettamente il nostro subcosciente, sempre bisognoso di sostegno e condivisione.
Con pochi tratti, con pochissime parole, racchiudendo una situazione ricchissima di coinvolgente filosofia in quattro vignette, Shulz riesce a farsi spazio nel nostro animo, instillando una sorta di convinzione intimistica su come vanno le cose: che, cioè, il Mondo sia tutto sommato, contro di noi, soprattutto nelle piccole cose che, però, finiscono per diventare grandi, immense, universali,
Allora, ecco la necessità di costruirsi difese, di stendersi sul tetto del canile, come fa Snoopy, oppure di inventarci le figure più che immaginarie ma simboliche del Barone Rosso e della ragazzina dai capelli rossi (è il rosso che domina la fantasia delle positività. Al contrario degli scialbi colori inesistenti come i capelli di Charlie Brown, che ci sono ma sono praticamente invisibili. Mentre le note degli accordi di Schroeder emergono, si spandono e giganteggiano, a rappresentare il Sublime dell’Arte che evochiamo, senza saperlo…)
Ha una sua ragione di esistenza anche la folla di comprimari, da Pig Pen a Woodstock: rammenta la pletora di dei, semidei e esseri favolosi che ci ha consegnato la Mitologia, dove per ogni figura, anche la più minuta, vi è una storia e una serie di legami che ne giustificano appieno l’esistenza. Altro che ‘Peanuts’, allora: ha ragione Schulz, a non volerne sapere. Un po’ come avrebbero fatto Melville con il suo ‘Moby Dick’ finito in mano ai fanciulli o Swift che avrebbe trovato il suo trattato politico destinato ai giovanissimi…
Ma rituffiamoci nelle strisce di Schulz, privilegiando il fumetto e i disegni: che i film, onestamente, sono decisamente deludenti e non riescono ad esprimere neppure le vituperate ‘peanuts’.