Mesagne, il borgo a forma di cuore

Dai resti messapici ai murales di Millo, uno scrigno di arte, archeologia e storia

Sara Foti Sciavaliere

Candidata a capitale italiana della Cultura 2024, Mesagne è Capitale pugliese della Cultura 2023, un titolo istituito con l’ultimo bilancio di previsione regionale per premiare le città pugliesi insignite o finaliste all’iniziativa promossa dal Ministero della Cultura. La città di Mesagne ha una storia di riscatto e di rilancio. Un centro storico dalle stradine strette e le case terragne intervallate da palazzi dai portali e i balconi eleganti e piazze su cui affacciano le ardite architetture barocche delle chiese, mentre si conservano ancora le memorie di epoche medievali e le testimonianze archeologiche del suo passato più antico, tra Messapi e Romani: questa è Mesagne, il borgo dal “cuore di pietra”.
L’insolita e caratteristica forma si deve all’andamento delle mura urbiche che abbracciavano la città antica. Forse in principio più simile a una goccia capovolta, per l’inflessione della curva del tratto dove si apre Porta Grande, in prossimità del Castello, ha poi assunta le fattezze che oggi contraddistingue il centro storico.


Immaginiamo di incamminarci nel cuore di Mesagne proprio facendo ingresso, a nord, da Porta Grande, detta anche Porta Boreale o di Napoli. Fu costruita in carparo e risale al 1784, seppure già prima esisteva una porta del ‘400 nella stessa area, poi crollata in parte nella seconda metà del ‘700. Sulla porta in rilievo due stemmi, quello del marchese Barretta (a quel tempo signore di Mesagne) e quello della civica Università di Mesagne. Il marchese aveva deciso di smantellarla per appropriarsi dei blocchi tufacei; tuttavia l’opera di demolizione fu interrotta dalla forte reazione del popolo mesagnese che, guidato dall’Universitas, vide nella Porta Grande il simbolo della libertà comunale. E il marchese Barretta, per fare fronte al malcontento dei cittadini, fu costretto a riedificarla in pochi giorni. È possibile vedere l’aspetto originale di Porta Grande in un dettaglio della tela di Sant’Oronzo che protegge Mesagne, esposta nella navata della Chiesa Matrice.


Superato il varco d’ingresso si può scegliere se dirigersi subito al portone d’accesso del castello oppure inoltrarsi per le vie e le corti. In questo nostro giro vi proponiamo di proseguire però verso la vicina piazza IV Novembre, in passato detta piazza dei Nobili o del Sedile. Ci si riferiva al Sedile, luogo di ritrovo dei nobili, edificato nel 1465: una costruzione interamente affrescata da dipinti tra i quali i martiri Eleuterio, Antea e Corebo; l’edificio verrà tuttavia demolito nel 1878 per ampliare la piazza, sulla piazza affaccia l’ex palazzo della Pretura della seconda metà dell’Ottocento, con la torre dell’orologio civico proprio del 1878. Sul prospetto della torre è posto anche lo stemma di Mesagne: un albero di palma e sotto due spighe di grano (il grano indica la fertilità delle campagne mesagnesi, invece la palma rappresenterebbe la vittoria o la fortuna). Era collocata nella medesima piazza la colonna votiva che oggi si trova sull’angolo estremo della Villa Comunale, a poca distanza da Porta Grande. La colonna è in onore della Madonna del Carmine, protettrice di Mesagne dal 1651. Il monumento, eretto nella seconda metà dell’800, fu poi spostato sul finire dello stesso secolo nell’ttuale sito. La statua della Vergine Maria è però degli anni Cinquanta, essendo stata l’originaria colpita da un fulmine.
I più curiosi non potranno non notare, all’inizio di via Albricci, quella che a Mesagne era nota come “Antica Farmacia del Leone”, dove il leone è considerato simbolo della forza dell’arte medica. La farmacia fu aperta nel 1900 da Oreste Antonacci, che dopo la laurea all’Università di Napoli, decide di usare quei locali già sede di una drogheria e punto di ritrovo dei personaggi più illustri della città. Gli arredi che ancora oggi sono visibili all’interno furono commissionati a un artigiano del luogo, mastro Cavaliere: legno di noce con sfondi di vetrine a specchio e fregi, le decorazioni in stile liberty con fiori di papaveri e visi di donne. All’interno degli scaffali più alti sono custoditi un centinaio di vasi “a urna” decorati in oro zecchino. Nella parte più alta della scaffalatura centrale campeggia un orologio sostenuto lateralmente da una coppia di draghi, affianco tre scaffali più piccoli con le diciture “veleni, “erotici” e “stupefacenti”. La farmacia è un’eredità della famiglia Antonacci che sta passando di padre in figlia, e si deve a Rita Antonacci, attuale proprietaria, il restauro del locale per salvaguardare quello che è da considerarsi a tutti gli effetti un patrimonio storico-culturale di Mesagne.
Si procederà quindi nelle vicinissima piazza Commestibili, un tempo occupata da parte del convento delle Chiariste, poi sostituito da una serie di fabbricati che costituirono il mercato coperto. Oggi vi si radunano numerosi locali e di recente il suo punto focale è diventata una parete che fa da tela a un murales di Millo, “Cuore sotterraneo”. Lo street artist, all’anagrafe Francesco Camillo Giorgino, ormai di fama internazionale, è cittadino mesagnese, e tra il 2020 e il 2022 ha realizzate alcune sue opere murarie anche nel paese natale. Ha contribuito prima a un progetto di rigenerazione urbana in via Sasso, con cinque murales sui prospetti di altrettanti edifici che guardano il nuovo parco nato sul suolo dell’ex campo sportivo della città; e i cinque murales seguivano il fil rouge tematico “Come dice il proverbio”, in un tributo alla saggezza popolare locale. In piazza Commestibili, poi l’ultima opera, inaugurata la scorsa primavera: “Cuore sotterraneo” narra in modo alternativo la storia, l’arte contemporanea che racconta le scoperte archeologiche dal fecondo sottosuolo di Mesagne. Non è di fatto casuale la scelta del sito, che si collega idealmente al Museo del Territorio “Ugo Granafei” a poche centinaia di metri, una connessione con i reperti rinvenuti, grazie alle campagne di scavo proprio all’interno del centro storico, e resi fruibili nel Museo ospitato all’interno del Castello normanno-svevo.
Potremmo inoltrarci nei vicoli, tra scorci di antichi palazzi e graziose corti ben curate, e raggiungere la Chiesa di S.Maria in Betlem annessa all’ex Convento dei Celestini, quest’ultimo è stato anche la prima sede del Museo “U.Granafei”. Altrimenti, da piazza Commestibili si può ripiegare in piazza IV Novembre e soffermarci presso la Chiesa Matrice, detta anche di Tutti i Santi, dedica che risale al 1450, dopo la sua ristrutturazione. L’edificio sacro fu costruita sulla cappella bizantina del X sec. di San Nicola Vetere, attuale soccorpo, e poi più volte rimaneggiato. Nel XVI secolo, durante una delle sue ricostruzioni, la chiesa viene riorientata, di fatto in origine l’ingresso era a ovest, dalla parte del castello. Il 31 gennaio del 1649 crollò e fu quindi ricostruita ad opera dell’architetto e sacerdote mesagnese Francesco Capodieci.
La facciata, decorata da un ricco apparato statuario, mostra tra i tanti santi Corebo, Anthia e Sant’Eleuterio, i quali, per una tradizione errata, si volevano martirizzati a Mesagne.
Un vicolo sul fianco desto della Chiesa Matrice, conduce nel piccolo complesso archeologico di via Castello, dove si evidenziano resti databili dall’età japigia fino al Medioevo. Alla fase più arcaica si fanno risalire quattro stele funerarie in pietra, tre delle quali con scene figurate a bassorilievo. Alla successiva età messapica si datano un gruppo di tome a semicamera, che fiancheggiano una strada coeva e una struttura in blocchi di carparo identificata come un recinto cultuale. Al periodo romano e medievale risalgono invece i pozzi e le cisterne.
A poche decine di metri dalla scavo archeologico si apre piazza Orsini del Balzo, sulla quale domina la facciata della Chiesa di Sant’Anna, la cui costruzione si lega alla principessa Vittoria Capano, vedova del feudatario Nicola De Angelis. La nobildonna volle fortemente il complesso per adempiere al voto fatto a S.Anna per la ritrovata salute del figlio Carmine. I lavori della Chiesa, su progetto di Francesco Capodieci, ebbero inizio nel 1683, ma la principessa morirà prima di vedere l’opera compiuta. A far completare la costruzione sarà lo stesso figlio Carmine. La piazza fu realizzata lì dove sorgeva l’antico vicinato del Pendino, un insieme di modeste casette che furono acquistate e poi demolite per ricavare la grande piazza, espressione barocca. Sulla stessa piazza insiste la facciata di Palazzo Cavaliere, nel quale risulta inglobata una torretta medievale, l’ultima delle ventidue torrette costruite intorno al XV secolo a difesa delle mura di cinta. Si tratta di una torre a pianta circolare, alta dieci metri, che occupa gran parte del cortile del settecentesco palazzo.
Dalla stessa piazza Orsini si può accedere al portale d’ingresso del Castello, un edifico dall’architettura suggestiva, una variazione alle fortificazioni più diffuse nel territorio salentino, e che ospita le collezioni archeologiche del Museo del Territorio “U.Granafei”. Il nucleo più antico risalirebbe al 1062 con Roberto il Guiscardo e si doveva presentare come una rocca a protezione del centro abitato e del sistema viario, passando da lì l’Appia Antica. Nel 1256 il castello viene danneggiato dai Saraceni al soldo di Manfredi e forse egli stesso lo ricostruì due anni dopo, munendolo di torri, mura e fossato.
Intorno al 1430 fu completamente ristrutturato dal principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini del Balzo (da cui la dedica della vicina piazza, un tempo chiamata anche piazza del Principe). Giovanni Antonio trascorse a Mesagne la maggior parte della sua vita e, per maggiore comodità e sicurezza, ampliò il castello e ne miglioró le difese, seppure egli non fosse in simpatia dei mesagnesi per il suo governo tirannico. Il castello ebbe forma quadrangolare con torri, aveva supportici, sale, ponti, logge, camere regali, porte false e attrezzature difensive; mantenne questa fisionomia fino al 1600. L’edificio verrà poi danneggiato da colpi di bombarda dalla lega franco-veneta-papalina, durante la guerra tra Francia e Spagna: la parte occidentale ormai pericolante fu demolita nel 1630 per ordine di Giovanni Antonio Albricci. Nel 1750, verrà poi demolita una delle due torri quattrocentesche, gravemente danneggiata dal terremoto del 1743.
I lavori recenti di restauro hanno messo in luce una data, in frammenti di ceramica usando la tecnica del mosaico, 1661: tale data si trova sul pavimento del colonnato del giardino prospiciente, l’attuale via Manfredi Svevo, e potrebbe riferirsi alla data della realizzazione.
Le mura rimaste furono abbattute nella seconda metà del ‘700 e il materiale D’Avanzo servì per riempire i fossati del castello, ormai non più visibili. Nel 1791 il castello divenne proprietà del principe Imperiali. Nel 1908 la marchesa di Serranova lo acquista dai Caracciolo di Napoli e infine nel 1976 sarà acquistato definitivamente dal Comune.
Il percorso all’interno del castello può iniziare dalle antiche stanze del torrione medievale – la parte più antica oggi visitabile – , fatto erigere da Giovanni Antonio Orsini del Balzo: piccole sale con porte basse e strette, sono visibili le scale in pietra a chiocciola che portano alle prigioni, un pozzo d’acqua sorgiva, feritoie, stipi e grandi camini che mostrano ancora le pareti affumicate. Lì dove invece si allargava l’antico fossato, oggi troviamo l’auditorium, dove si aprono ancora le bocche delle vecchie cisterne olearie, anch’esse attualmente visitabili.
Accanto alla coltivazione dei grani, l’economia locale infatti si basava anche sulla coltivazione dell’olivo e sul commercio dell’olio: ciò si evidenzia appunto per le cinque cisterne realizzate nei sotterranei del castello e dal numero dei frantoi nel centro abitato. Le cisterne del XVIII secolo sono ricoperte da volte a botte, mentre le pareti sono costruite con doppio paramento in pietra calcarea bianca, in basole dello spessore medio di 15cm, legate da calcestruzzo a base di terra, pietrame, pozzolana e calce idraulica (lasciato a vista nelle aperture in breccia praticate per la realizzazione del percorso al loro interno).
La costruzione fa perno intorno a un cortile centrale, che dopo gli ultimi lavori di restauro è stato pavimentato con lastre di pietra di Trani. Dall’ampio spazio aperto si ammirano le finestre degli appartamenti nobiliari con stucchi settecenteschi e il loggiato. Un portale bugnato e una scala, sovrastato da un porticato rinascimentale, immette sul loggiato realizzato dagli Albricci, un tempo dotato di una copertura in legno, mentre oggi è ingentilito da un pergolato in ferro e piante rampicanti. Si tratti senza dubbio di uno degli spazi più suggestivi del castello, specie al tramonto.
Nelle sale del piano nobile gli spazi sono allestiti per ospitare, in teche, i reperti – dall’età japigia a quella romana – provenienti dai vicini siti archeologici di Muro Tenente, Muro Maurizio e le Terme Romane di Malevindi. Le sale sono connesse tra loro da un infilata di porte decorate con una finta marmorizzazionedi gusto settecentesco. Alcuni ambienti del piano terra son impegnati invece dalla mostra permanente dei reperti rinvenuti in alcune delle necropoli del centro storico, corredi funebri, ma anche una tomba a semicamera con lastroni intonacati e decorata. Nella tomba, insieme ai resti di un mascio adulto, sono stati scoperti ben trentatrè oggetti tra ceramiche, vasellame, unguentari e anfore commerciali, oltre a oggetti in metallo. Per le caratteristiche della tomba e del corredo al suo interno, è facile pensare che si trattasse della sepoltura di un membro dell’aristocrazia locale. Insomma un giro nei Musei è un salto nella storia antica, alla scoperta delle radici del passato della cittadina della provincia di Brindisi e della civiltà messapica.
Mesagne. Un piccolo borgo, il cui cuore di pietra si fa custode di arte, archeologia e storia.