Il misterioso arco Lucchetti

A Corigliano d’Otranto una pregevole architettura in pietra leccese ricca di fascino e di storia

Raffaele Polo

CORIGLIANO D’OTRANTO (LE). In una piacevole visita a Corigliano d’Otranto, ospite dell’amico pittore Leonardo Viola, mi sono ritrovato a sostare in piazza San Nicola, esattamente al bar Spiazzo 1.6, proprio dove le simpatiche Alessandra e Francesca ci hanno preparato il tradizionale ‘caffè leccese’, quello con il latte di mandorla, per intenderci… E ne abbiamo approfittato per chiedere qualcosa della misteriosa chiesa o Cappella che sorgeva proprio lì, dove adesso c’è la fontana con la statua di Minerva, di fronte a Palazzo Comi.

Sì, qualcosa avevano sentito, ma non molto: lì c’era veramente un edificio religioso che, poi, è stato interamente raso al suolo, conservandone solo le porte e un fregio della facciata, una madonna che è stata issata sulla colonna di fronte al luogo dove sorgeva la chiesa. O forse era una cappella, suggerisce qualcuno e, anzi, un anziano ci rivela, sottovoce, che la chiesa fu sconsacrata e distrutta perchè coinvolta in uno scandalo poi accuratamente celato, del quale però oggi non si sa nulla…Le ricerche, non facili, hanno fatto emergere una pubblicazione del 1974, Editrice Salentina di Galatina, dal titolo ‘Corigliano d’Otranto Sodalizi e chiese’ di Tanino Cascione, nella quale si accenna a questo argomento e, anzi, vi è anche una piantina della Chiesa che non c’è più (che alleghiamo a questo articolo). In realtà, dopo 5 secoli, l’ultima messa fu celebrata il 30 giugno del 1926 e l’abbattimento fu realizzato in 26 giorni, dal 5 al 31 luglio dello stesso anno. Ci furono discussioni, com’è logico. Furono chiamati in causa Prefetto e Curia di Lecce. Alla fine il Comune, per ‘far capitolare’ la Confraternita, offrì 40mila lire. L’offerta fu accettata e garanti furono il Sindaco avv. Giovanni Papuli e il Priore Vincenzo Barrotta. Le motivazioni ufficiali parlano di questioni di igiene, pubblica moralità e spazio vitale… A proposito di scandali e pubblica moralità, non trapela nulla: probabilmente la zona, al tempo piuttosto isolata, fungeva da discarica e frequentazioni equivoche. Una storia singolare, che risale a un secolo fa e che è stata subito dimenticata, senza lasciare tracce.


Prima di spostare la nostra attenzione sull’Arco Lucchetti, che è proprio dietro al bar, le signorine mi scrivono una frase su un fogliettino, assieme ai loro nomi: Spiazzo 1.6 ha come costante la ‘fi’ (indicando la lettera greca). Il mistero mi affascina, ripercorro l’idea della ‘sezione aurea’ e mi perdo davanti all’Arco, a studiarne la storia.
L’ arco (che chiamiamo tale per la sua forma più che per la sua architettura), oggi praticamente un unicum, è costituito da tre grandi elementi monolitici lastriformi in pietra leccese. Due fanno da piedritti, uno da architrave. Le tre lastre parallelepipede sono disposte in maniera tale da offrire alla vista del passante le loro superfici maggiori. L’architrave è ben conservata. I due piedritti sono invece assai corrosi nella metà inferiore. Nell’architrave è tagliato un arco, non un’intera semicirconferenza ma una porzione inferiore.
Si hanno pertanto le suggestioni di una sorta di arco ribassato. Praticamente un grande portale trilitico sagomato a mo’ di arco.Come suggestione diciamo che possiamo paragonarlo, anche se siamo con questi confronti in orizzonti culturali e temporali completamente diversi ovviamente, ai triliti di Stonehenge, o alla più minuta cosiddetta Porta del Sole di Tiahuanaco realizzata però tutta in un solo blocco.
L’arco è detto “Arco Lucchetti” o “dei Lucchetti”.


Presenta una ricchissima decorazione che occupa interamente le superfici frontali dell’architrave e dei piedritti che guardano verso la strada. Vi è anche una decorazione continua a motivi vegetali sulla superficie dell’intradosso dell’arcata che scendere anche nei fianchi interni dei piedritti. Non sono presenti decorazioni invece sulle facciate dei blocchi che guardano dentro la corte. Leggendo le iscrizioni in volgare che oggi troviamo incise su di esso verrebbe da pensare che il monumento è stato realizzato o si è finito di realizzarlo nel 1497 dal proprietario del caseggiato, mastro Nicola Robi, di cui fu portale di ingresso.
Non si hanno però dati sulla presenza lì di un’abitazione della famiglia Robi.
Gli studiosi locali che si sono interessati recentemente del monumento hanno espresso perplessità sulla sua originaria destinazione e ubicazione, nonché sulle epigrafi su di esso incise che sembrerebbero attribuirlo ad un certo maestro “Cola Robi”, nonché addirittura sulla data incisa sul monumento, l’Anno Domini 1497. Queste perplessità accrescono il mistero intorno a questo monumento che effettivamente rappresenta un unicum per tanti aspetti.
L’idea è che solo in un secondo momento il maestro “Cola Robi” (Nicola Robi), di cui non si hanno altre fonti, abbia recuperato e ricollocato il monumento, dove si apposero delle iscrizioni in volgare locale per ricordare questo intervento del maestro e in più chiedendo che per tanto impegno “Oh Dio dall’alto dona grazie in casa di Cola Robi” (la trasposizione in italiano di una delle due iscrizioni in volgare lì incise, questa: “Hode delaudu dona gracia in casa decola robi“).
Si pensa che l’attuale nome “Lucchetti” derivi dal cognome “Luchetta”, una importante famiglia coriglianese la cui esistenza è attestata dai registri parrocchiali, senza indicazione alcuna però che aiuti a localizzare la loro dimora.
Resta, anche il mistero di quella ‘fi’ ripetuta e tramandata in tempi nostri anche in un bar che non sembrerebbe proprio avere relazione con la sezione aurea di Fibonacci…