Nino Rollo. “Il saltimbanco nudo”

“A partire dal romanticismo il buffone,

il saltimbanco e il clown sono divenuti

le immagini iperboliche e volontariamente

deformanti che agli artisti piacque

dare di se stessi e della condizione dell’arte.

È un autoritratto camuffato la cui portata

Si limita alla caricatura sarcastica

O dolorosa… Il gioco ironico possiede

Di per sé il valore di un’interpretazione:

è una derisoria epifania dell’arte e

dell’artista  in cui la critica dell’onorabilità

borghese in quel gioco si sdoppia in

un’autocritica diretta contro la vocazione

estetica in quanto tale”

(J. Starobinski, Ritratto dell’artista da saltimbanco, 1965)

Si apre con una splendida citazione di Jean Starobinski, (Ritratto dell’artista da saltimbanco, 1965) il catalogo “Nino Rollo. Il saltimbanco nudo” che la Fondazione Nino Rollo ha recentemente pubblicato per i tipi di Silvana Editoriale.

Un catalogo molto atteso, dopo la costituzione nel 2007 della Fondazione, approvata dalla Regione Puglia, fortemente voluta da Valeria Capone che è stata moglie e compagna dell’artista salentino, scomparso il 26 gennaio 1992.

Cinquant’anni appena. Una vita breve ma intensa. E intensamente vissuta nel segno dell’Arte. Parlano per lui le sue opere, la maggior parte custodite nella casa-museo, quella che un tempo fu il suo atelier, studio- rifugio, laboratorio di idee e polverosa officina, la bellissima masseria da lui restaurata nei minimi particolari oggi luogo di memoria che continua a parlare di lui e del suo sublime modo di scolpire.

“L’ideologia di uno scultore trasuda dal suo operato.

Lo scultore deve avere un carattere materno, come quello della natura, o più precisamente della TERRA, deve essere pronto a deporre (FORME) abbondanti covate e a FIGLIARE con inesauribile generosità.”

E non può che definirsi generosa la produzione artistica di Nino Rollo.

 

 

Diplomatosi all’Istituto d’Arte di Lecce, aveva concluso gli studi al magistero di Napoli, una città fondamentale nella sua formazione culturale e artistica. “Aveva avuto insegnanti come lo scultore Ennio Tomai, abilissimo modellatore e fonditore, lo storico dell’arte Raffaele Mormone e aveva seguito le lezioni dello scrittore Vasco Pratolini”. A Napoli aveva potuto frequentare gli studi molti artisti, tra i quali  Romolo Vetere, Aldo Calò, Augusto Perez, Vincenzo Gaetaniello – racconta Valeria Capone. Fu proprio nell’atelier di Gaetaniello, che Nino Rollo vide una riproduzione fotografica de Lo spirito di Buddha di Brancusi. Il viaggio a Parigi segnò una svolta, dopo aver visto il Louvre e il Museè de l’Homme “cominciava la sua ricerca della forma pura”.

“Amava la pietra e voleva esserne degno, capire la sua sostanza poetica. Voleva ricostituire attraverso una forma-scultura che avesse in sé il segreto e il mistero, l’equilibrio smarrito, l’armonia tra uomo e cosmo”.

Nino Rollo saltimbanco nudo, anarchico e rivoluzionario, “personaggio scomodo in una società chiusa, rurale e provinciale, diffidente  dei gesti e attenta amministratrice dei segnali pubblici, che avrebbero potuto incidere sensibilmente nella rigida normalità che regolava la quotidianità nell’abbandonata Puglia della metà del XX secolo” scrive nel saggio “Solo con la luna?” lo storico d’arte  Josè Francisco Yvars, già direttore  dell’Institut Valencia d’Art Modern (IVAM) di cui è direttore onorario, curatore del volume insieme a Valeria Capone, interlocutrice privilegiata  nella conversazione che occupa la sezione  “Un interludio biografico”. Pagine dense e densamente struggenti, fondamentali per capire lo spessore dell’uomo e il rigore dell’artista.

Nino, scultore pietrante, come lui stesso amava definirsi “rivendicando con orgoglio la simbiosi con la pietra”.  La pietra dura da scalfire, da piegare alla forma ma per Nino Rollo “lo scultore che non lavora con le proprie mani la sua scultura è vuoto e non può dare mai vita alla materia”. Dal legno al marmo lavorato a mani nude, cioè senza utensili e prediligendo un taglio diretto, con la tecnica classica del togliere che corrispondeva anche ad una rottura con il passato perché la scultura non procede per evoluzione ma per rivoluzione.  E la sua rivoluzione fu l’incontro con la pietra “un amore assoluto come era nel suo carattere, da cui si è fatto possedere totalmente” – rivela Valeria Capone.

La definizione di scultore pietrante è dunque un concetto fondamentale della sua poetica, scandita anche nei numerosissimi scritti: oltre la pietra e il marmo, Nino Rollo aveva un rapporto privilegiato anche con la scrittura come testimoniano i numerosissimi testi che spesso finivano per illustrare, quasi a mo’ di didascalie, il progetto di una scultura o semplicemente il suo pensiero.

Una accurata selezione dei suoi diari inediti sono la vera sorpresa alla fine di questo catalogo che si legge con attenzione ed emozione.  Sono stati scelti e catalogati in ordine cronologico, rigorosamente scansionati per poter restituire al lettore e al cultore d’arte il piacere della visione della grafia, delle annotazioni talvolta nervosamente cancellate, inserite in autentici schemi visivi.  Emblematico il titolo, “Mondo della vita, mondi d’arte – un dialogo immaginario” che costituisce la terza sezione del catalogo  che svela considerazioni sulla vita e  sull’arte, riflessioni in libertà… come le idee liberate dal blocco informe di marmo bianco di Carrara, dal quarzo blu del Brasile, dal travertino persiano, dal rosso Francia, dal giallo di Siena…

Rollo aveva una conoscenza straordinaria della materia: riusciva ad innestare alla perfezione materiali diversi suggerendo incredibili cromie  e forme sorprendentemente in bilico tra cavo e convesso, pieno e vuoto. Nell’asimmetria dei volumi delle sue forme-sculture egli riusciva a comporre l’armonia della natura.

La pietra è l’unica materia che ABBRACCIA  il mondo. Ecco l’umiltà e la libertà.

E’ una delle tante frasi che corredano disegni appena abbozzati, schizzi veloci per fermare l’idea.

Potente come una sentenza latina, potente come il gesto che ha tradotto il pensiero. Potente come la libertà del suo sublime scolpire.

Antonietta Fulvio

(pubblicato su Il Paese Nuovo, Culture venerdì 7 maggio 2010)