Le visioni immaginifiche di Massimo Pasca
Il cane che si morde la coda.
La ciclicità del tempo e il paradosso dell’esistenza tra catarsi e horror vacui
di Antonietta Fulvio
Contornare i pensieri. Tratteggiare le emozioni. Descrivere con curve iperboliche situazioni e stati d’animo. Eclettico, e con una ironia socratica, Massimo Pasca, salentino di nascita e toscano d’adozione, sigla i lavori della sua ultima produzione pittorica con un titolo emblematico “Il cane che si morde la coda”. L’immagine inevitabilmente riporta all’idea del vortice inarrestabile riferito al tempo che gira, appunto, risucchiando ogni cosa e trasformando tutto secondo la legge del panta rei di eraclitea memoria…
Ma non è solo un riferimento all’invincibile dio cronos, alla ciclicità del tempo infinito che gira su se stesso come cane impazzito, la visione riporta il pensiero anche al paradosso che troppo spesso regola l’esistenza degli uomini, impedendone la crescita, in fondo il cane che si morde la coda non va da nessuna parte, pur correndo, resta paradossalmente fermo.
Probabilmente, dopo questa lunga premessa, la curiosità tutt’altro che appagata chiede ulteriori delucidazioni. In effetti, un titolo non basta. Può servire come chiave di lettura, ma a concedere la password d’accesso allo spettatore c’è solo la visione. Solo osservando con attenzione le grandi tele di Massimo Pasca si ha la sensazione di riuscire ad entrare nel suo mondo cromatico, fatto di segni e di figure che provano a raccontare qualcosa che va ben oltre la fantasia che l’ha generata. Sembra quasi di vederlo mentre segno dopo segno – come la sequenza ininterrotta della linea di Cavaldoli si animava costruendo storie meravigliose rimaste impresse nell’immaginario collettivo – comincia a costruire il suo puzzle immaginifico, dove ogni singolo spazio sulla tela deve essere riempito, quasi ossessionato dalla smania di sconfiggere il vuoto, riempire l’assenza con una presenza. Una presenza non sempre immediatamente riconoscibile in un’immagine definita.
E’ l’atto del disegnare, ciclicamente infinito, a costruire l’immagine, quasi a generare come tanti pixel che poi a guardarli da lontano costruiscono la visione sulla retina. Così i mille ghirigori, arabeschi e volute, simili a sguardi, oggetti misteriosi e profili umani, si ricompogono sulla tela in una sorta di “puntinismo multimediale” per dar vita all’audioritratto di Van Gogh in una originalissima versione contemporanea con iPod nel taschino, dove i segni simboli rileggono la figura dell’artista suggerendone la complessa personalità e non solo. Le forbici in alto rievocano sì l’episodio del taglio dell’orecchio, gesto che l’artista compì per lo screzio con Gauguin, ma spiegano anche il perché di quell’auricolare a mezz’aria, che non trova l’ideale sostegno, diventando al contempo metafora dei tagli ai fondi per lo spettacolo e, in particolare, alla musica. Ma la rilettura, coloratissima e carica di ironia del geniale artista olandese, è solo uno degli esempi di capolavori della storia dell’arte che Massimo Pasca ha voluto rielaborare e riportare a nuova vita, ricontestualizzandoli nel nostro tempo e nel nostro spazio. Così accade che una Gioconda non sia poi tanto gioconda se dalla dimensione di “Madonna” nel senso stilnovistico del termine, nella nostra epoca si ritrovi ad essere invece l’ennesima donna costretta ad analgesizzare la propria personalità o ad aggredire per difendersi in una società fallocentrica e improntata alla violenza e alla guerra. La Gioconda leonardesca, più che posare chiusa nel suo sguardo assorto e misterioso, assume nel lavoro di Pasca un atteggiamento cinico e inquietante come la lama insanguinata che stringe tra le mani e collega il fatto al misfatto, l’evirazione del maschio, rappresentato dal membro maschile penzoloni all’amo, con un preciso riferimento all’episodio di cronaca di Lorena Bobbitt.
“I lavori di questa mostra – racconta lo stesso Pasca – nascono dall’esigenza di sottolineare l’importanza di certe storie o personaggi che mi piace rielaborare in chiave ironica e spesso amara come amo rielaborare immagini, già conosciute dal pubblico, perché capolavori della storia dell’arte”.
Con i suoi acrilici e il suo tratto fresco, incisivo quanto ironico, Pasca partendo da un’immagine classica come la Gioconda o La dama con l’ermellino, lo stesso autoritratto di Van Gogh o Il Giudizio universale nel battistero di Firenze costruisce nuove illustrazioni che diventano espressione di ribellione contro una società che non ha messo, come accadeva nel Rinascimento, al centro del proprio universo l’uomo, vi ha posto invece la sete di potere, la violenza, la sopraffazione, direttrici di quel cerchio che, poi inevitabilmente, si chiude su se stesso come il cane che si morde la coda.
Con la sua particolarissima tecnica riesce a riempire, in un horror vacui ricercato, tutto lo spazio pittorico con linee e curve che sono poi, a ben guardare, abbozzi di figure, occhi, gesti che scandiscono la tela in un ritmo simile a quello delle scale musicali, impaginando visioni disincantate della vita e dei rapporti umani.
Con suggestione le sue “creazioni” diventano la lente per scrutare e analizzare la società contemporanea tra vizi e virtù, le dinamiche sociali come gli stati d’animo sin dalle sue prime esperienze, quando nel 1998 nella Stazione Centrale di Pisa realizza su circa quaranta metri quadrati un lavoro sul tema dell’apertura delle frontiere. Dal “Geko Gigante” una tela di tre metri realizzata di getto in meno di due ore per la manifestazione Station to Station alla Stazione Leopolda di Firenze al suo “Ossimoro vivente” sotto le Logge dei Banchi, Massimo Pasca si esprime con disinvoltura su spazi dalle grandi e piccole dimensioni.
Riporta in rime la sua visione dell’arte contemporanea raccontandola in alcuni video che gli valgono anche numerosi premi e riconoscimenti (Primo premio al Festival Uni-verso Corto, menzione speciale al concorso Io e il tempo Spazio Oberdan di Milano e Premio Raccorti D’arte a Pisa al Festival Raccorti, per due edizioni consecutive (2007, 2008).
Con una singolare proprietà dei mezzi espressivi, riesce a contaminare pittura e poesia come nella perfomance realizzata per “City From Below” a cura di Marco Scotini, presso gli stabilimenti Teseco di Pisa ed è chiamato come live painter al Festival della Creatività di Firenze nel 2007. L’utilizzo dei linguaggi artistici non si ferma alla pittura e al video. Appassionato di teatro, tra i suoi autori preferiti Dante e Carmelo Bene, Massimo Pasca ha firmato le scenografie di molte produzioni di rilievo, Chi ha paura di Virginia Wolf con la regia di Gabriele Lavia e per Music Boxe Live Show regia di D.Sala e F. Freyre riproducendo nel sotterraneo del Teatro delle Celebrazioni di Bologna il quartiere di un pugile metropolitano. Il suo agire creativo è stato soggetto della tesi Unipasca di Elia Marchi, e tra i suoi ultimi progetti Beat e Pennelli che lo vede in sodalizio con Andrea Mi dj con il quale porta in giro uno spettacolo di contaminazione tra musica elettronica e pittura live.
“Vedo la tela come un palco sul quale esprimersi… in maniera veloce e quando faccio i live painting porto la teatralità della musica nelle performance”. Sempre e comunque alla base della creazione c’è l’istinto che traduce in gesto pittorico il proprio pensiero, il proprio sguardo sulle cose e sul mondo. Come in trance, l’opera per Massimo Pasca non è frutto di una complessa operazione concettuale a priori ma è energia creativa che si accende ed esplode. Un’avventura, un rischio da correre per dirla citando Georges Braque. “Spesso non so cosa farò sulla tela, il più delle volte non ho un canovaccio, quello che per me conta più di tutto è l’improvvisazione, la sperimentazione”.
Come accade nel jazz. E a proposito di musica, da oltre dieci anni si esibisce con uno dei migliori gruppi di reggae italiani, i Working Vibes che ha contribuito a fondare, facendo da spalla a band quali Manu Chao, The Wailers, Bandabardo’ e Negrita firmando, per questi ultimi, l’illustrazione di copertina del disco Helldorado.
Gli piace definirsi un live painter perché ama realizzare performance pittoriche dal vivo, in contesti come festival e concerti che amplificano l’azione catartica che la pittura da sempre esercita su di lui. “Ho sempre disegnato partendo dall’astrattismo fino ad arrivare al fumetto guardando e ammirando artisti come Andrea Pazienza e Jacovitti” – racconta. Una predilezione per gli illustratori, ma anche una vera adorazione per artisti del calibro di Keith Haring ed Hieronymus Bosh, guardando alle straordinarie atmosfere metropolitane dei lavori del primo e al suo concetto di un’arte non èlitaria ma per tutti, mentre di forte ispirazione è stato il magico universo pittorico del secondo.
Il segno è una metafora meravigliosa – scriveva Andrea Pazienza. E con la matematica del segno si può raccontare il mondo. Porre interrogativi e far riflettere con una sola immagine. Nelle illustrazioni Gnam Africa e Buon Natal, ad esempio, con immediatezza riesce a rendere l’idea di quello che noi uomini abbiamo fatto al continente africano, depredandolo e riducendolo a “terzo mondo”. O con riti e tradizioni come il Natale, dissacrato dal consumismo sfrenato e svuotato appunto della sua sacralità, dell’importanza del messaggio cristiano di pace.
Anche in Pene d’amore, il cuore-pene che piange diventa ironica metafora del rapporto sentimento/sesso che va oltre la sfera privata dell’intimità ma diventa metro di giudizio e peggio ancora gossip e strumento per fare politica, nel bene e nel male… e, infine, contro la morbosità di un’informazione che sfora il diritto di cronaca con spirito più voyeuristico che di critica, significativo è il lavoro mostr-media dove è rappresentata una miriade di schermi-occhi che scrutano ossessivamente: un chiaro rimando alla pressione mediatica che suscitano certi terribili episodi di cronaca nera dove l’informazione corre, talvolta, il rischio di asservire l’orrore alle cifre di un audience che obbedisce più alla logica dei numeri che alla ricerca della verità. In tal senso la pittura di Pasca è anche impegno sociale, urgenza di comunicare il proprio pensiero facendolo affiorare attraverso la spontaneità del segno perché al di là del godimento estetico l’arte non è fatta in fondo per suscitare turbamento?.
“La mia mente è piena di immagini, di linee ma avrò sempre la possibilità di improvvisare…” questo il segreto della sua arte che pur attraversando l’arte classica, il surrealismo e la pop art è soprattutto “poesia in senso lato….perché poetare vuol dire fare”. Ripercorrendo la strada già tracciata dai primi uomini che nei primi graffiti sulle pareti delle grotte rupestri racchiusero, forse senza saperlo, il senso alla vita.
Catalogo: “Modular(t)e n. 5 , Il Raggio Verde edizioni 2010
Chi è Massimo Pasca
Scenografo, illustratore e soprattutto live painter Massimo Pasca da diversi anni gira l’Italia portando i suoi live-painting in luoghi non tradizionali soprattutto in quei luoghi dove la sua pittura può contaminarsi con la musica, come Festival, dj set, concerti dal vivo. Negli anni ha dipinto a fianco di musicisti o gruppi come Negrita (per i quali ha anche realizzato i disegni dell’album Helldorado), Bandabardò, Tommaso Novi dei Gatti Mézzi, Filippo Gatti, Luci della Centrale Elettrica, Andrea Mi e in locali come il Piper di Roma, il Festival della Creatività di Firenze, il M.E.I di Faenza, il M.a.c.r.o Future di Roma. Nella mostra numerosi omaggi pittorici a maestri del Rinascimento rivisitati in chiave ironica e pop e ritratti di Carmelo Bene, Pasolini, e di musicisti come Mark Linkous degli Sparalehorse, Ebony Bones, e il pittore Van Gogh.
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Approfondimenti
Sul sito
IL CANE CHE SI MORDE LA CODA. Il segno di Massimo Pasca
“Setting” personale di Massimo Pasca
Quando disegno penso a Garrincha
sul sito di riferimento dell’artista
www.massimopasca.it