Iperuranio – Luogo della fantasia

Iperuranio – Luogo della fantasia

di Giulia Salis

Le forme in novi corpi trasformate
Gran desio di cantar m’infiamma il petto,
Da i tempi primi à la felice etate,
Che fu capo a l’imperio Augusto eletto.
Dei, ch’avete non pur quelle cangiate,
Ma tolto à voi più volte il proprio aspetto,
Ch’abbiano i versi miei perpetua vita. (1)

Cantare l’amore per una donna è cosa nobile che fanno i poeti. Il lettore, attraverso un testo di
lodi rimate, riesce a comprendere il perché di questo sentimento, la specialità di quella donna; la
ama anche lui, un po’. Ma se tra i versi elegiaci l’amata viene dipinta come sirena, come angelo,
come dea, allora il fruitore intuisce, in un lampo istantaneo e potente al tempo stesso, che quella
donna è unica al mondo, un essere superiore, diverso dagli altri. Migliore perché diverso e
diverso perché migliore.

Utilizzando l’ambito dell’impressione visiva, possiamo affermare che un pesce è un animale
colorato e veloce, che si muove agitando la coda di scaglie brillanti al sole, nel mare, un mondo
altro, a noi accessibile solo in superficie. La donna è una creatura bella, delicata e gentile, che
cammina sulla terra sinuosa e leggera. L’unione di questi esseri entrambi belli ma chiaramente
provenienti da universi distinti, dà vita a una creatura di ancestrale perfezione. Una sirena non è
solo una donna con la coda di pesce, che nuota negli abissi e canta a riva o sugli scogli, ma è
qualcosa di più. Come il tutto è più della somma delle parti, la sirena è più dell’accostamento di
un pesce a una donna: una sirena, è soprattutto una sirena. Ed è proprio quello scarto di
sostanza, ma anche di forma, a renderla tale e a conferirle un’aurea magica.
La percezione che quindi si ha è quella di un essere superiore rispetto alle due categorie pure di
partenza. Esso non è più comparabile con la nostra realtà, perché fa ormai parte di un altro
mondo. Una vita diversa, che è surreale o iperreale, un iperuranico pianeta della mente abitato
da sirene, mostri, angeli, simboli: ibridi.
Ma oltre al fascino che può riservare un gigantesco ippogrifo alato, perché abbiamo bisogno di
questo? Perché nella nostra vita così ricca di cose e persone, s’inventano altri mondi, frutto
spurio del già esistente?
Si potrebbe ipotizzare una ‘evoluzione trasversale’. L’uomo è alla continua ricerca della
perfezione e della costruzione di senso dell’esistenza, e l’ibrido rappresenta una soluzione. Il
percorso evolutivo delle forme pure infatti, rappresenta certo una lunga via di perfezionamento,
ma esso risulta del tutto relativo poiché circoscritto soltanto a quella entità particolare. Prendere
invece due forme pure ma differenti tra loro e formare qualcosa di nuovo e migliore, ha una
portata decisamente universale, in quanto unisce più ambiti del reale, e rende immediato il senso
di perfettibilità attraverso un prodotto ottenuto con un vero e proprio salto di sostanza, che
genera meraviglia. Usando un’espressione montaliana, l’ibrido rende possibile “passare il
varco” e capire l’oltre con la mente ancora prima che con il corpo.
Il salto mistico che sta tra l’unione di due reali e l’ibrido, quel sopracitato scarto che genera un
lampo in chi assiste al cospetto di quest’ultimo, è il principio che l’uomo ha usato per generare
miti, storie e divinità. Miti, per esemplificare in modo semplice concetti estremamente
complessi; divinità, per dare una forma precisa e attribuire qualità specifiche alla natura, alla
vita, alla morte; storie, infine, per il proprio diletto.
L’irrealtà dell’ibrido è luogo vero, in quanto presente nelle tradizioni, nella cultura, nel mondo
della comunicazione e prima ancora nella nostra immaginazione. E’ parte della forma mentis. E
se i nostri pensieri creano l’eterogeneo accoppiando gli omogenei ciò è anche effetto del
procedimento meccanico attraverso cui noi percepiamo l’unicità del reale attraverso la
molteplicità dei nostri sensi. Quindi anche la più insignificante esperienza quotidiana può essere
classificata come ibrida, in quanto in terminologia quasi- matematica prodotto di addizione dei
sensi.
Tornando ora all’esempio iniziale, sappiamo cos’è un pesce appunto perché possiamo vedere
che ha quell’aspetto, quell’odore, quella sensazione e consistenza al tatto, fa quel rumore
quando guizza o quando sbatte la coda dopo essere stato pescato, ha quel sapore particolare. La
conoscenza empirica di base di ciò che è un pesce, viene poi accostata a storie che conosciamo
sui pesci, alla nostra cultura, alle tradizioni, ai nostri gusti personali. Questo ci dà il concetto di
pesce, che poi può essere avvicinato anche ad altri, come ad esempio a quello di acqua. Stessa
cosa si può dire sul concetto di donna, così come su tutti gli altri elementi del mondo sensibile.
Dunque il concetto stesso è un ibrido. E allora la sirena, ibrido dell’ibrido, accumulerà in
potenza tutte le sensazioni e le conoscenze dei due concetti di base, creandone anche di nuove.
Questa forza illimitata si trasforma e si riflette nella comunicazione e quindi nel linguaggio, -in
particolare in quello artistico, narrativo e poetico- costituito proprio da figure (di parola, di
senso, di costruzione, di pensiero) (2). Tra tutte, quelle che forse richiamano più efficacemente
l’ibrido sono la metafora, l’analogia, l’onomatopea e la sinestesia. Ma mentre le prime due
giocano sui significati e la terza rapporta a un livello elementare il sensibile con il determinabile,
la sinestesia è l’unica che corrisponde in forma verbale alle strutture del pensiero sopradescritte.
La sinestesia è la proiezione dell’io nella langue che crea significati ed entità con parole
scritte o pronunciate secondo la stessa logica del multisensoriale che si attua nei processi
psichici per la costruzione dell’unicum reale.
Capirne l’enorme portata è cosa importante soprattutto nella società attuale, in cui grazie alle
caratteristiche presenti nei nuovi media, è possibile andare ben oltre il tentativo di riproduzione
nella comunicazione degli alti concetti ibridi del pensiero attraverso i tropi, e addirittura gli
stessi testi, attraverso la multimedialità, possono diventare delle vere estensioni della mente, dei
luoghi digitali della mente. Luoghi insieme del testo e del pensiero, in cui si potrà leggere la
parola “sirena”, vedere i suoi capelli bagnati colorarsi al sole e sentire la sua voce melodiosa tra
le onde.

(1) P.O. NASONE, Le Metamorfosi, libro I.
O. REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, Bologna 1996.

Foto: Jean Auguste Dominique Ingres, Ruggero salva Angelica,1819,  Museo del Louvre, Courtesy of the Art Renewal Center.