Paesaggio e Veduta. Capolavori senza tempo da Ariccia a Cavallino
di Antonietta Fulvio
CAVALLINO (LECCE) Dedicata al paesaggio, agli scorci mozzafiato che hanno affascinato i visitatori del Gran Tour, alla bellezza del Belpaese declinata in visioni reali e fantasiose con architetture immaginarie, quinte scenografiche di vedute ideali.
é diventata una piacevole consuetudine a Cavallino dal 2012 (a parte la pausa del 2016) chiudere l’anno con una mostra inedita nel Palazzo Ducale dei Castromediano. Un evento che si rinnova grazie alla collaborazione con il Museo del Barocco romano di Palazzo Chigi in Ariccia e all’impegno del consigliere delegato alla cultura On.le Gaetano Gorgoni.
In continuità ideale con le precedenti mostre —Dipinti del Barocco romano da Palazzo Chigi in Ariccia, Dipinti tra Rococò e Neoclassicismo da Palazzo Chigi in Ariccia e da altre raccolte, Ritratto e figura. Dipinti da Rubens a Cades, La collezione Amata da Bassano a Longhi — nella galleria celeste, come l’ha definita lo storico Mario Cazzato, trovano posto, fino al prossimo 25 febbraio 2018, quaranta capolavori a firma tra i più celebri paesaggisti e vedutisti italiani e stranieri, attivi tra il XVII e XIX secolo, presentati nel progetto espositivo intitolato Paesaggio e Veduta. Dipinti da Palazzo Chigi in Ariccia e altre raccolte.
Si tratta di dipinti noti o poco noti molti dei quali vengono esposti per la prima volta e il cui unico denominatore è il tema del paesaggio e le sue diverse declinazioni. Dai paesaggi ideali, con pastori tra vestigia architettoniche e borghi arroccati dal gusto arcadico ai paesaggi idilliaci a quelli naturali fino alle vedute di città e località famose, entrate a far parte dell’immaginario collettivo.
«La mostra – ha spiegato il curatore Francesco Petrucci Conservatore del Museo del Barocco romano di Palazzo Chigi – è incentrata sui principali centri del vedutismo legati al fenomeno del Grand Tour, cioè Roma e Venezia, ma sono presenti anche vedute di altre famose località connesse al viaggio in Italia, come Napoli, Palermo o Tivoli, la campagna romana o quella veneta.»
I dipinti provengono in parte da collezioni pubbliche, come Palazzo Chigi in Ariccia, il Museo di Roma e l’Accademia Nazionale di San Luca, mentre un importante nucleo si trova in collezioni private inglesi.
Il percorso si apre con la tela di Agostino Tassi (Roma, 1578-1644) un grande prospettico condannato all’esilio per lo stupro di Artemisia Gentileschi. Il suo Capriccio architettonico con porto mediterraneo raffigura architetture fantastiche con elementi di atmosfere gotiche e classiche. Il dipinto appartiene a quel filone che gli studiosi definiscono “capriccio architettonico” cioè rimontaggio in contesti immaginari di architetture ruderi o monumenti reali. Questo tipo di raffigurazione la troviamo anche nei dipinti di Claude Lorrain e di Viviano ‘Codazzi e nel 700 poi con Giovanni Paolo Pannini.
In un vero viaggio nella bellezza i dipinti di Filippo Napoletano (1589-1629) Cornelius van Poelenburgh (1594-1667), Pietro da Cortona (1596-1669) – noto artista barocco di cui possiamo ammirare uno dei pochi paesaggi – e Jean Lemaire (1598-1659) testimoniano un approccio innovativo al paesaggio italiano in una visione però ancora ideale.
Il paesaggio italiano è legato all’idea di luogo di storia e mito, che diviene talvolta idilliaco in composizioni che richiamano l’età dell’oro e un rapporto armonioso dell’uomo con la natura. In quegli anni sta nascendo l’archeologia e i ruderi che affiorano dalla campagna esprimono la grandezza di un passato perduto tutto ancora da decodificare e riscoprire. Gli artisti, soprattutto nordici, rappresentano il paesaggio partendo da un dato reale inserito in un contesto completamente frutto di fantasia. Si tratta infatti sempre di rielaborazioni creative che partono dall’osservazione dal vero, bisognerà aspettare il 1800 con Jean-Baptiste Camille Corot per la pittura en plein air e le rappresentazioni dal vero. L’itinerario espositivo dà modo di approfondire la “pittura di veduta”, cioè la rappresentazione obiettiva di spazi urbani o urbanizzati che nasce con una funzione celebrativa: l’intento è documentare le imprese dei sovrani e dei principi così come i grandi eventi e le cerimonie legate al mondo ecclesiastico. A testimonianza, la grande tela di un pittore ignoto del XVII secolo raffigurante la processione del Corpus Domini un eccezionale documento storico che ci mostra piazza San Pietro come era prima della costruzione del colonnato del Bernini.
Con la Veduta romana di Gottfried Wals (1600-1638?) ci si trova davanti ad una delle prime inquadrature realistiche di Roma seicentesca: ci si può scorgere il Palatino e in lontananza una cupola che si riferisce a quella maestosa di San Pietro.
Anche Johann William Baur (Strasburgo 1607- Vienna 1642), specializzato in vedute ideali e scorci realistici, documenta la bellezza della fontana della Sibilla, la più celebre di Villa d’Este ideata da Pirro Ligorio su commissione del cardinale Ippolito.
Nelle tele di Gaspard Dughet (1615-1675) la natura esprime l’immanenza del divino diventando protagonista insieme alle presenze umane inserite nella composizione pittorica.
Una natura tormentata ritratta nei suoi turbamenti atmosferici la si osserva ad esempio nell’opera (un olio su carta, probabilmente un bozzetto) Enea e Didone nella tempesta dell’artista Guillame Courtois detto il Borgognone che attribuisce al paesaggio gli stessi tormenti dei personaggi della scena. Anche il primo piano di un tronco d’albero con la radice dipinto su carta dall’artista napoletano Salvator Rosa conferisce un ruolo da protagonista alla natura rappresentata quasi in presa diretta.
«Il primo vero e proprio vedutista attivo a Roma nel campo della pittura – spiega nel suo saggio lo stesso curatore – fu l’artista olandese Gaspar van Wittel (Amersfoort, 1653 – Roma, 13 settembre 1736), italianizzato Gaspare Vanvitelli, il quale sottrasse la rappresentazione dei luoghi alla celebrazioni di eventi particolari, facendo assurgere a protagonisti per la prima volta e in maniera sistematica, piazze e scorci urbani. Non a caso mancano totalmente nelle sue opere feste, canonizzazioni, processioni, apparati effimeri e vedute carnevalesche, presenti in precedenza non solo nella pittura romana e napoletana.» Dall’Accademia nazionale di San Luca è possibile osservare una delle sue vedute più famose, Veduta dell’Aniene prima della cascata mentre da una collezione privata inglese la Veduta del golfo di Napoli con Castel dell’Ovo, entrata a far parte dell’iconografia del capoluogo partenopeo.
Ma a rappresentare l’apice del vedutismo e non solo in Italia a far da padrona c’è la pittura veneziana del Settecento con raffigurazioni oggettive della città partendo proprio da Venezia. Gli artisti che interpretarono questo genere che ebbe grande fortuna commerciale su scala internazionale furono in primis Giovanni Antonio Canal, noto come il Canaletto (Venezia, 17 o 18 ottobre 1697 – Venezia, 19 aprile 1768), massimo interprete del razionalismo illuminista in pittura con le sue vedute di Venezia ritratta grazie all’utilizzo della camera ottica con oggettività scientifica. Ne è un esempio la tela in rassegna Veduta dal Canal Grande del Con-
vento del Corpus Domini e la chiesa di Santa Croce che documenta tra l’altro le radicali trasformazioni che hanno cambiato il volto alla città lagunare, il convento del Corpus Domini e la Chiesa di Santa Lucia, ad esempio, furono abbattuti per poter costruire la stazione ferroviaria.
Francesco Lazzaro Guardi (Venezia, 5 ottobre 1712 – Venezia, 1º gennaio 1793) al contrario di Canaletto ebbe un approccio più introspettivo con le sue inquadrature, quasi preromantiche, che delineano visioni soggettive degli spazi urbani resi evanescenti e irreali nel gioco delle penombre come si può vedere nel Capriccio con Rio dei mercanti in mostra a Cavallino. Doveroso ricordare anche Michele Marieschi (Venezia, 1º dicembre 1710 – Venezia, 18 gennaio 1744) di cui possiamo ammirare Veduta di piazza San Marco a Venezia.
Tra i vedutisti dell’Ottocento bisogna segnalare il talento artistico di Massimo D’Azeglio, sua la Veduta dal molo di Palermo. Patriota e scrittore fu amico del pittore fiammingo Martin Verstappen e con lui iniziò a dipingere en plein air nella campagna romana e in un soggiorno proprio ad Ariccia nel 1826 ebbe modo di entrare in contatto con diversi artisti tra cui Turner e Corot, lo stesso che Baudelaire definì «capo della moderna scuola di paesaggio». In mostra anche Giacinto Gigante, tra i massimi paesaggisti dell’Ottocento italiano ed esponente di spicco della “Scuola di Posillipo”; con la sua Veduta del golfo di Posillipo ritrae uno degli scorci più belli nei percorsi del Gran Tour. Infine, il genio romantico di Ippolito Caffi, eroe risorgimentale e patriota morto nella battaglia di Lissa, che chiude il percorso, con la veduta di Venezia con il Campanile di San Marco nella nebbia e Veduta del Colosseo durante la Processione Papale del Venerdì santo regalandoci due inquadrature di grande suggestione emotiva. Ma lungo il percorso è possibile scoprire tanti altri artisti e le loro opere, un excursus che lascia davvero senza fiato per la bellezza e la qualità di una pittura che ci rimanda a paesaggi ormai perduti.
Osservare da vicino questi capolavori della pittura di paesaggio è un’esperienza emozionale unica e invita, oggi più che mai, a una riflessione su quello che in poco più di due secoli siamo stati capaci di fare alla natura e ai luoghi più belli del nostro paese. In nome del progresso e di una urbanizzazione e industrializzazione scellerata in alcune aree abbiamo distrutto e compromesso seriamente la bellezza del nostro paesaggio celebrato e ammirato in tutto il mondo, l’unico petrolio che potrebbe, nonostante tutto, farci ripartire.
Paesaggio e Veduta Dipinti da Palazzo Chigi in Ariccia e altre raccolte
Galleria del Palazzo Ducale dei Castromediano
Cavallino
Fino al 25 febbraio 2018