Castello Dentice di Frasso ed Elisabetta Schlippenbach

A Carovigno l’amore di una contessa austriaca
e controcorrente

di Sara Foti Sciavaliere

Il castello Dentice di Frasso sorge in posizione eccentrica a ridosso del centro storico di Carovigno (Br), su un promontorio che domina la fascia costiera che si estende da Torre Canne a Brindisi, ben avvistabili dall’alto delle sue torri. La struttura si presenta a pianta triangolare, con una torre quadrata sul vertice orientale, una circolare su quello occidentale e una “a mandorla” sul vertice a nord. Questa costruzione è un gioiello inaspettato nel panorama dei castelli di Puglia, anzi già varcando il cancello del cortile interno, sul fronte posteriore, si rimane impressionati dalle sue architetture e dall’atmosfera che rimanda ad altri luoghi, e ad altri tempi.


Il primo nucleo del castello, con ogni probabilità di origine normanna, è da identificarsi nella torre quadrata a forte controscarpa adiacente Porta Ostuni. Sul lato sud, a ridosso della torre, doveva svilupparsi il “palatium” descritto nell’Inventario di Maria d’Enghien del 1440. Le fabbriche successive a questa data insistono sulla zona nord, inglobando in una struttura triangolare sia la torre quadrata normanna, sia quella circolare, forse aragonese. Il torrione a mandorla posto sullo spigolo nord-est fu fatto costruire, tra XV e XVI secolo, dai Loffreda, feudatori di Carovigno in quell’epoca come testimoniato dalla presenza dell’arma di matrimonio di Pirro Loffreda, murata nella stessa torre. Pare che i costruttori della torre a mandorla di Carovigno abbiano per certi versi emulato l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, che in Puglia, a fine del XV secolo, sopraintendeva alla costruzione delle piazzeforti di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Tutte queste fabbriche e dunque anche quella di Carovigno, risentono del clima innovativo che ha investito, tra Quattrocento e Cinquecento, l’arte delle fortificazioni.


A partire dal XVII secolo, però, venuta meno l’esigenza difensiva, il castello iniziò ad assumere i connotati di una residenza gentilizia ad opera delle nobili famiglie che ne ebbero possesso e tra di esse figurano i Caputo, i Serra, i Costaguti, i Castaldi, i Granafei e gli Imperiali. Nel 1792 fu acquistato dalla famiglia Dentice di Frasso del beneventano, divenendo dono di nozze per i conti Alfredo Dentice di Frasso ed Elisabetta Schlippenbach, che ne avviarono un’ulteriore ristrutturazione nel 1906. Fra gli interventi di quel periodo c’è quello “integrativo” affidato all’ingegnere Marshietzek, che sul coronamento fa ricostruire “in stile” le merlature, le caditoie e alcune parti della tessitura muraria; si costruì, infine, un loggiato sugli spalti e un portico-altana a sei archi che affaccia sul cortile interno.
Per volontà della contessa Elisabetta, inoltre, il castello venne dotato di uno straordinario parco all’italiana, che richiamava in scala ridotta quelli delle regge europee, e per accedervi venne creato anche un cunicolo sotterraneo per collegarlo il giardino adiacente e l’orto botanico attiguo. Nel 1926, al fine di risollevare l’economia del paese, i Conti realizzarono una Scuola di filatura e tessitura all’interno del complesso residenziale, che restò in funzione fino agli anni Cinquanta e produsse stoffe rinomate in tutte il mondo e note come “stoffe di Carovigno”. Tra il 1909 e il 1961 il castello fu frequentato da ospiti illustri, tra i quali figurano lo scienziato Guglielmo Marconi e il re d’Italia Umberto di Savoia. La residenza diventerà poi proprietà della Provincia di Brindisi e concessa in uso al Comune che, dopo aver completato i restauri, ha destinato la struttura a museo e biblioteca, e quest’ultima tra gli oltre 11mila volumi conserva una nutrita sezione di storia locale.
I luoghi non solo si raccontano ma diventano cassa di risonanza delle storie di chi hanno ospitato e sicuramente tra i nomi fatti nel parlare del castello di Carovigno, è piena di fascino e fuori dal comune la storia di Elisabetta Schlippenbach che, dopo anni sfortunati, troverà l’amore con il Conte Alfredo Dentice di Frasso. Le sue memorie sono state ritrovate quasi casualmente, in una cartella rivestita di seta verde bordata con la stessa cordicella con cui era legata, conservate nell’Archivio Dentice di Frasso di San Vito dei Normanni tra registri contabili, giornali di cassa, fotografie, lettere, atti e contratti, testamenti e documenti di archivio vari riferiti alla famiglia, gelosamente custoditi. Sono tali memorie, scritte all’età 58 anni in lingua tedesca, a raccontarci la sofferta e combattiva vita di questa donna.
Elisabetta apparteneva a una nobile casata austriaca e fu costretta a meno di 17 anni, nel 1889, per assecondare un desiderio dei familiari, a sposare giovanissima il conte John Palffy, più anziano di lei di quindici anni. Avrebbe potuto rassegnarsi ad un matrimonio senza amore, che comunque le garantiva agiatezza, relazioni di alto rango e vicinanza al loro unico figlio Paul. Dopo 10 anni di matrimonio però, con grande scandalo della famiglia di fervente credo cattolico, decise di separarsi dal marito, accettando l’imposizione dell’allontanamento dal figlio che la legge sui divorzi allora vigente in Austria le imponeva. Rischia il “baratro” – come lei scriverà – innamorandosi di un uomo sbagliato, tuttavia ebbe la buona sorte di incontrare l’amore di Alfredo Dentice di Frasso, che sposerà nel dicembre 1905. Sarà così che verrà a vivere nel Salento, nel castello di Carovigno, che con lei (come si poteva leggere prima) tornerà a nuovo splendore. Una donna che combatte e si oppone quindi alla mentalità conservatrice dell’epoca e che non si rassegna al matrimonio impostole e che, in nome di un amore autentico, si ribella alla logica del matrimonio come affare di famiglia.
La lettura delle memorie di Elisabetta, attraverso i suoi ricordi, offre la possibilità di ricostruire le trasformazioni della società nel suo complesso e della condizione della donna in particolare: per secoli il matrimonio aristocratico e alto borghese era da considerarsi più affini a un contratto d’affari che nulla aveva a che vedere con i sentimenti delle persone in causa, la stipula di un legame che mirava a rafforzare patrimoni e consolidare alleanze. L’affermazione del “matrimonio romantico”, ovvero della scelta del coniuge per amore ed affinità elettiva, in questi contesti sociali, è stata una conquista novecentesca. Quindi pensiamo al coraggio dimostrato nell’affrontare i rischi della sua scelta (divorziare dal primo marito) fuori ogni logica comune del tempo, tra i quali l’allontanamento dall’amatissimo figlio (il chè può ricordare i fatti che vide protagonista la scrittrice Sibilla Aleramo che racconta anche nel suo romanzo-manifesto “Una donna). Elisabetta rivedrà Paul solo quando lui, diventato maggiorenne, sceglierà di vivere con lei, a Carovigno. La contessa morì ad Udine il 7 agosto 1938 in seguito a un incidente stradale.