L’Italia, l’Europa e il Covid 19

Il mondo – e l’economia – dopo l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus

di Walter Cerfeda

È opinione molto diffusa che, quando verrà alla fine debellata l’infezione dal virus Covid 19, il mondo non sarà più uguale a prima.

Anzi che il modo stesso con cui gli Stati oggi stanno cercando di arginare il dilagare della malattia per poi sperare di sconfiggerla, rappresentino, almeno in parte, lo schizzo di quei tratti da cui si potrebbero intravedere le stesse prime linee del mondo che verrà.

La prima risposta d’istinto dei vari Paesi è stata un disastro. Chi per primi, come noi, ne siamo stati colpiti, siamo stati scambiati non come una vittima bisognosa di aiuto, bensì quasi degli untori da isolare come se fossimo noi stessi i colpevoli del virus che ci stava infettando.

E quindi invece di essere pronti ad aiutare il malato, inviando subito cure e strumenti per fronteggiare il contagio, si è scelto di chiudere le frontiere, sulla base del principio “mors tua vita mea”.

Ed anche sul piano, almeno di un sollievo economico e finanziario, la prima risposta è stata quella agghiacciante sullo spread, formulata dalla Presidente della Bce.

In altre parole è stato come vivere ancora nella coda avvelenata del lungo periodo precedente al Covid19. Un periodo segnato dal ciascun per sé, dagli egoismi degli Stati più forti verso gli altri, da dazi e chiusure nazionaliste, da una subcultura sovranista con i suoi derivati di egoismo e di razzismo che come un altro virus aveva dilagato infettando i comportamenti dei cittadini del mondo.

Era quello, in altre parole, un mondo già predisposto a che il virus che è poi arrivato, potesse facilmente attecchire e dilagare.

Soltanto oggi infatti si possono constatare, in maniera indiscutibile, tutte le terribili distorsioni che si è stati capaci di costruire negli ultimi anni.

Solo oggi si comprende come se, ad esempio sul piano industriale, si persegue solo il principio del costo più basso, allora ti puoi trovare in piena emergenza sanitaria a non avere né mascherine né respiratori, perché, avendo quei prodotti bassi margini di redditività, si è preferito disfarsene, lasciando così che se ne occupassero i Paesi asiatici a più basso costo del lavoro.

Solo oggi ci si accorge che aver, parlo dell’Europa, nell’ultimo decennio, messo a base delle politiche economiche e fatto assurgere a totem il rigore e l’austerità nelle politiche di bilancio, ciò abbia comportato l’abbattimento della spesa sociale, con la conseguente riduzione dei servizi sanitari, del numero di quanti ci lavoravano e degli strumenti a loro disposizione. Solo oggi ci si accorge quali disastri sulla pelle della gente abbia prodotto il numero chiuso nelle facoltà di medicina, il preferire infermieri, assistenti e personale comune reperiti sul mercato del lavoro europeo ed extraeuropeo piuttosto che propri, ben qualificati, ben formati e ben pagati. Solo oggi ci si accorge del disastro procurato dal vero e proprio depauperamento provocato da quota 100, per medici e infermieri. Solo oggi ci si accorge del danno non genericamente per la salute, ma per la vita stessa delle persone, l’aver continuato a tagliare ospedali pubblici e posti letto a favore della sanità privata, come se la sanità non fosse un bene pubblico, anzi il primo bene pubblico, ma semplicemente una merce di mercato.

Anche per tutto questo, il mondo non sarà più uguale a prima e molto sarà destinato, che lo si voglia o no, a cambiare.

Sarà destinato a cambiare intanto lo stupido principio che da soli ci si difende meglio che insieme.

Guardate quanto sta avvenendo in questi giorni. Dopo aver praticato l’isolamento dell’Italia, oggi, tranne lo sconsiderato e pericoloso (anche per tutti noi), Boris Johnson; tutti i Paesi dell’Europa e del mondo stanno praticando le stesse misure che noi stessi per primi abbiamo adottato. È  come se, in carenza di un’autorità sovrannazionale, a parte l’Oms, ciascun Stato si stia comportando come se le scelte compiute prima a Wuhan in Cina e poi in Italia, rappresentassero una sorta di Consiglio di sicurezza sanitario rappresentativo del mondo intero.

E, per quel che ci riguarda, solo l’intervento della Commissione europea del 13 marzo scorso è stato in grado di rimuovere quei comportamenti aberranti nei nostri confronti, che si erano realizzati prima di allora.

Purtroppo i nostri mass media continuano nella pessima abitudine, anche essa forse coda velenosa del periodo precedente,  intenzionalmente o semplicemente per ignoranza provinciale, a non informare di quanto realmente stia avvenendo. Tra parentesi, è questo che poi dà stura alla parte più becera della destra nostrana a fare cattiva propaganda o a insinuare complotti inventati dai loro esaltati e febbricitanti cervelli.

Banalmente le cose sono andate diversamente. Sono andate nel senso che in tutta la prima fase del dilagare del virus, ciascun Stato ha voluto e preteso di fare da solo, tranne accorgersi dopo poco, che il problema era comune e che nessuno sarebbe stato in grado di venirne fuori in quel modo.

Per questo era necessario che intervenisse un potere europeo sovrannazionale. Ed i primi tre atti della Commissione sono andati nella direzione giusta.

 Primo: la riapertura di tutti i confini interni, mentre per trenta giorni, si è deciso di chiudere quelli esterni all’ Unione. Questo ha permesso che dalla Germania, Austria e Francia iniziassero l’invio verso il nostro Paese di attrezzature sanitarie e mascherine, e contemporaneamente si permettesse la ripresa della libera circolazione delle nostre merci verso il mercato interno europeo.

Secondo, la messa a disposizione dei primi stanziamenti europei, per 40 miliardi di euro che corrispondono alla cifra residua dei Fondi europei non spesi, per il sostegno alla piccola e media impresa e ai lavoratori europei in quei Paesi sprovvisti di strumenti come la cassa integrazione.

Terzo, la messa in moratoria del Patto di stabilità con il cosiddetto livello3, che corrisponde al “whatever it takes” di draghiana memoria e cioè di permettere qualsiasi livello di intervento economico che si ritenesse necessario, per assicurare la protezione sanitaria ed economica e sociale dei Paesi colpiti.

E da parte sua anche la stessa Bce ha cancellato le improvvide parole della sua presidente, stanziando subito 750 miliardi per l’anno corrente, ma alludendo anche alla disponibilità all’acquisto illimitato dei titoli di debito pubblico al fine di calmierare le prevedibili pulsioni speculative dei mercati finanziari, sulla scorta del medesimo provvedimento preso negli Usa dalla Federal Reserve.

Ma tutto ciò se pur rappresentano dei primi passi concreti, evidentemente non sono di per sé sufficienti. E non lo sono perché se in parte affrontano l’emergenza, non si pongono invece il problema della prospettiva, una volta cioè usciti dall’incubo del coronavirus.

Non se lo pongono né i termini concreti di quali politiche saranno necessarie per rilanciare le economie che si ritroveranno tutte in profonda recessione né delle risorse, sicuramente ingenti, ma altrettanto necessarie.

Qui c’è una strettoia terribile davanti a tutti gli Stati e quindi anche alla stessa Europa. Perché delle due l’una: se oggi i singoli Stati sono autorizzati a utilizzare e senza vincoli, qualsiasi livello di spesa pubblica che ritenessero necessaria, bisognerebbe altrettanto chiarire se essa viene fatta a debito reperendola sui mercati oppure no. Perché se venisse soltanto autorizzato l’indebitamento sul mercato, al di là dell’esposizione al rischio della speculazione finanziaria, il livello di interessi sul debito che ciascun Paese si troverà poi a doversi fare carico, di per sé strozzerebbe subito dopo qualsiasi politica possibile di crescita economica.

Dunque il problema vero è chi e come deve farsi carico dell’incremento vertiginoso che tutti i debiti pubblici si troveranno a fronteggiare.

Per noi, dato il nostro già abnorme livello del debito, questo chiarimento diventa esiziale.

E le strade sono soltanto due: o quella del congelamento del debito o, all’opposto, quella che non siano i singoli Stati, ma l’Europa stessa a reperire per tutti, le risorse sul mercato.

La via del congelamento ha in sé evidentemente un “virus” economico molto pericoloso, perché costringerebbe quei Paesi già molto esposti, come il nostro, ad una successiva ristrutturazione del debito stesso. Ricordo solo che a ciò, in questo secolo, soltanto la Grecia ha dovuto farvi ricorso, con i prezzi economici e sociali che ben conosciamo.

L’altra strada è in realtà l’unica percorribile e consiste nell’emissione da parte della Bce di Eurobond, cioè di titoli di debito europeo garantiti dall’Europa stessa che in quanto tali, sarebbero in grado di reperire il montante di risorse necessarie senza esporsi alla speculazione, proprio perché emessi e coperti dallo stesso Istituto di emissione.

Ritardare questa discussione rischia di esserci fatale. Per questo sarebbe buona cosa iniziare a parlare dell’Europa in termini più corretti ma anche più stringenti.

La credibilità imprevista ed imprevedibile che l’Italia e il suo Governo oggi si ritrova inaspettatamente nelle proprie mani, ci autorizzerebbe già da subito, a porre con rigorosità proprio questi temi difficili della prossima ricostruzione economica e sociale.

Se saremo in grado di farlo e di farlo in questo modo, forse aiuteremmo anche l’Europa e il mondo intero ad aprire davvero l’avvio di una prospettiva nuova. Anche per questo pur non essendo affatto sicuro che l’esito sarà uguale allo slogan benaugurante di questi giorni, “andrà tutto bene”, tuttavia prima ci proviamo a farlo è meglio sarà, oltre che per noi stessi, anche per tutti.