Buon compleanno Eduardo Una vita per il Teatro

Il 24 maggio di centoventi anni fa nasceva a Napoli Eduardo De Filippo
tra i più grandi drammaturghi del Novecento

Antonietta Fulvio

«Puoi fare teatro se tu sei teatro perché il teatro nasce dal teatro…
l’albero è uno, e i frutti sono pochi. Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!»
Eduardo De Filippo
Napoli 24 maggio 1900 | Roma 31 ottobre 1984

Stiamo entrando nella fase 2. Quella più delicata di convivenza con il virus e che ci impone necessariamente di continuare ad usare il distanziamento sociale, i dispositivi di sicurezza e tutte le direttive per arginare la ripresa di una possibile e temibile ascesa del contagio. Forse dal 18 maggio saranno riaperti con le dovute precauzioni i musei e i luoghi di cultura e della nostra identità e da lì dovremo ripartire. Da ciò che ha reso grande agli occhi del mondo il nostro Belpaese con i maggiori siti Unesco e i grandi artisti e letterati di ogni tempo. E ad uno di questi, Eduardo De Filippo, regista, sceneggiatore, drammaturgo, scrittore, e poeta italiano che vogliamo rendere omaggio.

Il prossimo 24 maggio ricorrono i centoventi anni dalla nascita di uno dei più grandi protagonisti del Teatro del Novecento. Figlio d’arte, suo padre fu Eduardo Scarpetta, Eduardo ha scritto la storia del teatro, e non solo. Eduardo credeva fortemente nela forza prorompente e comunicativa del Teatro anche come riscatto sociale e penso ai tanti progetti che lo hanno sempre visto in prima linea. A partire dall’acquisizione del settecentesco Teatro San Ferdinando, semidistrutto che rilevò nel 1948 investendo tutti i suoi risparmi per farne il fulcro di un nuovo teatro, rilanciando il teatro dialettale a teatro d’Arte. Titoli come Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! e “Filumena Marturano” (1946), “Mia famiglia” (1953) “Bene mio core mio” (1956), “De Pretore Vincenzo” (1957) “Sabato domenica e lunedì “(1959), solo per citarne alcuni, sono stati rappresentati in tutto il mondo.
Dalla fondazione della SIT Società Imprese Teatrali che gestì il teatro e le sue compagnie, alla san Ferdinando Film che portò con la partecipazione della Rai alla registrazione di alcune commedie di Eduardo, che confesso in questo tempo di pandemia avrei preferito vedere arricchire il palinsesto televisivo – a quel maestoso progetto della Teatrale Napoletana che nel 1964, vide il sodalizio con Paolo Grassi e Giorgio Strehler del Piccolo di Milano. La società puntava alla costruzione di un asse tra Napoli e Milano nel segno del teatro. Altro che veleni e fango dispensati gratuitamente in queste settimane di pandemia, minando il senso di comunità nazionale e aumentando pregiudizi e un divario che in tempi non sospetti Eduardo cercava di colmare come solo la Cultura sa fare. Ma l’esperienza si concluse, così come non decollò mai il progetto di fare del San Ferdinando un centro studi e un museo del teatro dialettale. Chiuso negli anni 80, il figlio Luca, scomparso prematuramente nel 2015, lo ha donato alla città di Napoli.
Eduardo come Totò è nel corpo di Napoli e allo stesso tempo è sublimazione dello spirito più autentico della città e della sua cultura millenaria.


Dal 2014 sulle saracinesche del “tempio” della drammaturgia napoletana situato al n.20 in piazza Eduardo De Filippo, a pochi passi da via Foria, l’artista Jorit Agoch, con il suo tratto inconfondibile che sa coniugare abilità pittorica e arte urbana veicolando messaggi sociali, tra i più brillanti protagonisti delle nuove frontiere del writing urbano nel mondo (suoi tantissimi murales a Londra, Berlino, In Australia a Brooklyn e nella stessa Napoli, ma la sua arte merita un capitolo a parte) ha dato vita ai volti di Eduardo scegliendo tra i protagonisti di alcune delle sue commedie più celebri: Don Antonio Barracano “Il sindaco del rione Sanità”, Luca di “Natale in casa Cupiello”, Gennaro Iovine di “Napoli Milionaria”, Pasquale Lojacono di “Questi fantasmi”. Al centro però c’è il volto di Eduardo non l’attore ma l’uomo che ha fatto del teatro la scelta di una vita. Per i suoi meriti artistici gli vennero riconosciute due lauree honoris causa in Lettere dall’Università di Birmingham nel 1977 e dall’Università degli Studi di Roma La “Sapienza” nel 1980 e fu sempre impegnato nel sociale anche quando a ottant’anni Sandro Pertini nel 1981 lo nominò senatore a vita. Restano così attuali le parole del suo discorso: «Io sarò al Senato quello che sono stato sia nella vita, sia nelle commedie. È per quello che ho scritto che mi lusingo abbiano voluto compensarmi con la nomina a senatore. Quindi lo sapevano e lo sanno che io sono per il popolo». E tradusse il suo impegno in quelle che furono leggi importanti per le politiche riguardanti il disagio dei minori e per i minori rinchiusi negli istituti di pena. Una delle leggi principali, la n. 41 del 1987, venne attuata nei progetti di Nisida,”Futuro ragazzi” e di Benevento “Villaggio dei ragazzi”. Purtroppo la mancanza di fondi dal 2006 ne ha fermato poi la realizzazione.
Ripensando al teatro di Eduardo e a come rendergli omaggio ho ritrovato nell’hard disk un testo scritto il 17 maggio 2003 intitolato Buon compleanno Eduardo. Da Filumena a Bonaria. Le donne nel teatro di Eduardo de Filippo. Sebbe siano passati diciasette anni dalla sua stesura rileggerlo mi ha fatto pensare al tema che in quelle poche pagine scritte per mai interrompere il filo con la mia Napoli e le mie radici siano ancora condivisibili. E allora Buon compleanno Eduardo, a modo mio.
Viviamo in un mondo che è un continuo pantarei, sola certezza ormai capace di far crollare tutte le certezze dell’uomo sempre più in crisi e alla ricerca di una sua identità…E se non avessi più tempo? È questa la frase che continua a ronzarmi nella testa da quando un giorno, uscendo da un ambulatorio, cominciai a pensare ai miei reali desideri, alle cose che avrei sempre voluto fare ma che non avevo mai fatto…eh, sì il pronostico non era stato dei migliori ed ero stata scaraventata in un tunnel, dal quale ne sarei uscita solo in un modo…
Un’esperienza a dir poco allucinante ma, per fortuna, si risolse tutto per il meglio, dal momento che sono ancora qua, ma quella settimana trascorsa nel dubbio se avessi o non avessi poco tempo mi ha aiutato molto… soprattutto a guardare e a concepire la vita sempre come se avessi poco tempo e ho cominciato a dar retta ai miei sogni e a non pensarli più solo come tali.
In una di quelle notti in cui non riuscivo proprio a dormire, ho preso uno dei testi di Eduardo, incluso tra i preferiti sul mio comodino e mi sono ritrovata a rileggere “Gli esami non finiscono mai”. Eh, sì la vita non smette mai di metterci alla prova e ogni traguardo raggiunto è solo un punto di partenza: si rimescolano le carte e il gioco inizia di nuovo e con altri punteggi, altre combinazioni. Mi ha sempre commosso questo antieroe di nome Speranza, vinto dal sistema, che si regola sul perbenismo falso e ipocrita della società, decide di morire quando accetta di perdere e perde l’unica cosa a cui tiene davvero, la speranza, meglio, il coraggio di vivere un amore vero. Ironia della sorte, lui della speranza ha solo il nome…
Mi faceva tenerezza ma anche un po’ rabbia questo suo subire come non capivo Bonaria. Si può rinunciare all’amore per amore? Sembra un bisticcio di parole. Qual è la via giusta da seguire? quella dettata dal cuore o dalla testa?
Così ho cominciato a pensare alle donne di Eduardo: Amalia, Filumena, Concetta… e così, dopo l’omaggio a Totò*, ecco ancora una nuova avventura, insieme a quei compagni di viaggio che non solo hanno condiviso questa mia ennesima folle idea ma continuano a sentire forte quel legame con Napoli e tutto ciò che rappresenta. Forse anche questo è un modo di ritornare…
Cercare di dar voce alle sue donne… un tributo ad un uomo di teatro al quale, a parte per le origini comuni, mi sento legata come ad un maestro di vita perché la sua amarezza, la sua ironia, i suoi silenzi, ormai non solo li condivido, ma li sento dentro. Come quel modo unico di nascondere la verità dietro un sorriso, che pochi riescono a decifrare fino in fondo, quel sorridere anche se dentro è tutta un’altra cosa…e quel suo linguaggio che come una lama può ferire l’anima o far battere il cuore…
Filumena è una donna. Con la D maiuscola. Perché essenzialmente è madre con la M maiuscola. Ad una madre che non rinuncia ai propri figli, piezze e core e non fardelli di cui disfarsi, ad una donna del genere le si perdona tutto. Anche di aver venduto il suo corpo. Per gli occhi ipocriti della società che è pronta ad etichettarla come una prostituta, anziché tenderle una mano, lei non ha dignità.
Filumena inganna, ma per il più autentico degli amori. L’unico che non cambia, non tradisce. L’unico che può solo crescere col crescere del tempo: l’amore per i propri figli. è questo fa di lei la più bella creatura di Eduardo. Il più bel volto del suo teatro, il suo capolavoro perché la sintesi di amore e umanità e il tutto racchiuso nel cuore di una donna che, a testa alta, ha il coraggio di combattere e di contrastare l’egoismo di un uomo che non ha saputo amare che se stesso. Lui calpesta i sentimenti e merita perciò di non sapere quale è la verità. Il segreto di Filumena è la giusta punizione. è lui a non avere dignità anche se agli occhi della gente lui resta l’irreprensibile Domenico Soriano.
Bonaria ha conosciuto l’amore in ritardo. Ma meglio tardi che mai… così si dice. Bonaria è dolce ed estremamente fragile però dalla sua fragilità nasce la sua forza. Comprende quando è il momento di uscire di scena. Comprende che il paradiso sta per diventare inferno e, allora, se ne va e del suo amore, restano solo delle cartoline… solo parole… potranno anche essere misera cosa ma se si è convinti della profondità di un sentimento anche un semplice coremio può bastare. Assurdo? No, non è poi così assurdo per chi l’amore, quello vero, non lo hai mai conosciuto. Può significare tantissimo quel coremio, tutto attaccato: Bonaria come Filumena proviene dai bassi, in una parola miseria, disperazione e ignoranza ma non senza dignità.
E l’amore non si compra e non si vende, né si deve elemosinare: l’amore si regala. Ed è un dono incondizionato capace di accettare le peggiori condizioni… una dolce follia che se ne infischia della ragione. E tra queste due donne, che sono l’esempio più autentico dell’amore, una galleria di figure altrettanto interessanti: come l’avida Amalia di Napoli milionaria che diviene una pedina della borsa-nera, Maria anima perduta e consorte infedele in “Questi fantasmi” o Gigliola che incarna stupidità e cattiveria nel ruolo della moglie di Guglielmo Speranza…E tante altre.
Farle parlare è un pretesto per addentrarsi in quel meccanismo infernale che è la società e i suoi sistemi. Come scacchi su una scacchiera si definiscono ruoli e posizioni in quel gioco senza esclusioni di colpi che è la vita. E siamo arrivati al punto di partenza.
La vita… questo folle treno in corsa che sembra di essere appena saliti e si è già al capolinea… tutto cambia con una velocità impressionante e restano uguali solo il dolore, la solitudine e le domande… la vita come l’amore, la morte restano interrogativi ai quali è possibile dare solo delle ipotetiche risposte. L’esperienza soggettiva fa mutare il senso e la prospettiva delle cose.
Ed ecco che la vita meravigliosa per alcuni può essere ‘nfamità per altri, la morte una grande fregatura o una liberazione e… l’amore un grande bluff o qualcosa di indescrivibile che può rendere indescrivibilmente felice… che poi altro non è che l’assenza del dolore. Un’utopia? Mah! Totò diceva che la felicità è un fatto di dimenticanza.
Ma è possibile dimenticare?
Che bella invenzione quel punto interrogativo con il quale un’affermazione si trasforma in una interrogazione…e si mette in discussione tutto… «mi spiego? è giusto?» per usare le parole di De Pretore… è questo il fascino del teatro di Eduardo lui mette in discussione ogni cosa e infila i suoi interrogativi nel silenzio. Che bella scoperta quel silenzio che è l’unico modo per non rispondere ma insinuare il dubbio e lasciare apparentemente immutata la storia e le cose.
Se fuori c’è il silenzio dentro però resta il dolore, perché il silenzio è la vera maschera dietro la quale trovano posto quei perché, i come e i se che è proprio difficile tirare fuori dalla propria anima.
Ed ecco che la retorica del silenzio ha sostituito quella delle parole.
Eppure è proprio con le sue donne che Eduardo dà voce al suo teatro…