Il Museo delle Arti Sanitarie di Napoli

Nel cortile degli Incurabili sulla collina di Caponapoli a ridosso dei decumani il Museo dedicato ai luminari della scuola medica
napoletana: Giuseppe Moscati, Domenico Cotugno, Domenico Cirillo

Sara Foti Sciavaliere

Il Museo delle Arti Sanitarie e di Storia della Medicina si trova a Napoli nel cortile degli Incurabili, in uno stabilimento cinquecentesco con influenze barocche sulla collina di Caponapoli, in uno dei quartieri più antichi del capoluogo partenopeo, a ridosso dei decumani. Gli Incurabili hanno ospitato nelle proprie mura la storia della Scuola Medica Napoletana e il Museo espone antichi strumenti d’epoca come ferri chirurgici, farmacie portatili e numerosi libri esposti in quattro diverse sale, dedicate ai luminari proprio della scuola medica napoletana come Moscati, Cirillo e Cotugno.


L’ampio scalone in piperno sul versante sud del cortile degli Incurabili conduce a un edificio facente parte dell’originario corpo architettonico cinquecentesco, sede dell’ex monastero delle Convertite, note come Pentite, poiché si trattava di prostitute redente da Maria Lorenza Longo – in pieno Rinascimento – che aspiravano a una vita pia e di redenzione. Esse erano per lo più impiegate per l’assistenza alle affette da sifilide qui ricoverate, in quanto verosimilmente avevano già contratto la malattia. Sullo scalone è inserito in maniera inconsueta un pozzo detto “dei pazzi” per ricordare la presenza dei matti agli Incurabili sino alla fondazione del manicomio di Aversa in età murattiana.

Le fondamenta per un museo delle arti sanitarie, sono profonde e allo stesso tempo recenti: la prima esposizione fu realizzata nel 2010, in occasione della celebrazione della fondazione dell’ospedale che si festeggia il 23 marzo, e venne allora istituito il primo nucleo di un museo di Storia della medicina che ha attualmente una sala biblioteca e quattro sale espositive dove sono confluite una collezione privata di libri e strumenti medici, donazioni e beni di carattere storico-sanitario provenienti da antiche strutture ospedaliere afferenti all’ASL NA1 Centro. Vecchi ferri e antichi strumenti medici, stampe e libri messi insieme in uno stesso luogo per custodire la memoria della Scuola Medica Napoletana e della storia sanitaria del Sud. Marco Aurelio Severino, Quadri, Chiari, sino a Moscati e Cardarelli esercitarono l’arte di guarire tra queste antiche mura. Gli oggetti raccolti con pazienza e passione da Gennaro Rispoli, chirurgo dell’ASL Napoli 1 Centro, sono frutto di una lunga ricerca e del desiderio di raccontare la storia di una scienza work in costante cammino: macchine anatomiche del Settecento in cartapesta e stampe mediche testimoniano la vocazione per la dissezione fine dell’anatomia; farmacie portatili, antichi microscopi accanto a clisteri d’epoca raccontano l’evoluzione di una scienza e i suoi riflessi sulla società.
In una delle sale, in una sorta di nicchia – ricavata in quello che doveva essere una breve scalinata con volte a crociera sorrette da colonne di marmo e fiancheggiata da finestre ad arpa –, troviamo un insolito presepe napoletano, una visione della realtà partenopea – come era consuetudine per le rappresentazioni presepiali – ma come spaccato sanitario del passato, non le consuete scene di osterie e dei mestieri tradizionali bensì una carrellata di donne e uomini sofferenti, e quell’immancabile pizzico di ironia partenopea. Nel presepe del Museo delle Arti Sanitarie di Napoli, i personaggi sono disposti isolati o animano scene con più soggetti: c’è quella che rappresenta i malati di peste – firmata dalla Scarabattola dei fratelli Scuotto –; particolare quella del cavadenti – dalla collezione del professor Fernando Gombos – che riproduce un ciarlatano nell’atto di tirare un dente a un paziente sotto lo sguardo di una piccola scimmia (che si utilizzava nel Seicento per attirare i clienti); c’è poi la rappresentazione di un piccolo chiosco dove monaci e alchimisti espongono boccette con spezie da vendere agli ammalati. Le statuette singole rappresentano ciascuna una o più malattie: c’è l’uomo che ha subito l’amputazione di un arto, chi ha il gozzo, l’ernia, chi è cieco, chi obeso, ma anche pastori deformi ben noti, ossia il nano e il gobbo (“o scartellato” in lingua napoletana), figure legate alla sfera delle superstizioni e considerate di buon augurio.
In un’altra sala troviamo gli arredi e gli strumenti della Farmacia San Nicola, nata come spezieria nel convento dei Padri Carmelitani Scalzi per poi spostarsi – con la soppressione degli ordini religiosi all’inizio dell’Ottocento – in via Stella e diventare appunto farmacia. È un piccolo tesoro di falegnameria risalente alla metà del Settecento, pezzi in mogano con intarsi in bronzo e marmo. Gli arredi della Fra’ Nicola dal 1997 sono vincolati dal ministero dei Beni Culturali per il “loro valore documentario” e per l’”eccezionale interesse artistico e storico”. Sicuramente ben più nota straordinario anche per il suo valore artistico e storico è la celebre Farmacia degli Incurabili, che purtroppo non è accessibile per pericolo di crolli, insieme allo stesso ospedale.

Al piano superiore del Museo, a parte una curiosa sezione di Storia dell’Odontoiatria distribuita in due ambienti, si trovano quattro sale dedicate a santo medico Giuseppe Moscati, che mostrano uno spaccato dell’attività professionale del medico e ricercatore che si dedicò alla cura dei malati, non prendendo denaro dai più poveri ma anzi aiutandoli economicamente nei casi di indigenza grave. Beneventano di nascita ma adottato da Napoli, – il suoi resti infatti sono, in un’urna bronzea nella Chiesa Nuovo del Gesù nel capoluogo campano – , dedicò la sua vita allo studio della medicina e alla fede, per lui di fatto scienza e fede non erano in contrasto bensì dovevano avere uno scopo comune, ossia concorrere al bene dell’uomo. Fu medico personale del Beato Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, e lui fu tra i primi a sperimentare l’insulina per la cura del diabete.
La prima sala del Museo a lui dedicata ospita un laboratorio di analisi donato dal professore Eustachio Miraglia, primario emerito di Ematologia; la seconda è la ricostruzione di una sala anatomica (dove troviamo una targa che riporto il motto moscatiano: «Ero mors tua, o mors», «Sarò la tua morte, o morte», così come recitava un cartello fatto sistemare dallo stesso Moscati nella sala delle autopsie); la terza un ambulatorio medico con scrivania, camice bianco, mobili, oggetti in parte appartenuti al Moscati provenienti dai suoi laboratori e la quarta sala infine ospita la statua di marmo della Madonna delle Grazie dinanzi alla quale il Moscati si intratteneva spesso in preghiera. «Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità», diceva Moscati, un principio su cui fondava la sua attività, che ricordava spesso anche ai colleghi.