Agropoli la porta sul mare del Cilento

Un gioiello incastonato lungo il Tirreno tra i boschi e il mare

Sara Foti Sciavaliere

Agropoli, la porta del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Il Cilento, terra campana di dolci colline ricoperte dagli ulivi che si specchiano nel blu del Tirreno, attraversato da vivaci torrenti, ricco di boschi di castagni e di lecci, di paesi abbarbicati alle rocce o adagiati sulle rive marine. Agropoli coniuga in sé entrambe le tipologie, di fatti il borgo costiero deve il suo nome dalla posizione geografica, una “città alta” su un promontorio a picco sul mare e che qui inizia a svilupparsi però solo durante le guerre greco-gotiche, quando i Bizantini vi collocarono una roccaforte che prese appunto il nome di “Acropolis”.

Oggi la cittadina di Agropoli, che solo nel corso dell’Ottocento incominciò ad espandersi oltre il perimetro delle mura medievali, conserva il centro antico intatto e gran parte del circuito delle mura difensive con il portale seicentesco d’ingresso. Il borgo antico è raggiungibile a piedi percorrendo la caratteristica salita degli “scaloni”, per secoli unica via d’accesso all’abitato e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni nel Cilento, caratterizzati da gradinate larghe e basse, anche se fino agli anni Trenta avevano ancora i gradini originali conformati a schiena d’asino, ma è riuscita comunque a sopravvivere alle esigenze del traffico veicolare, che altrove ne hanno determinato il livellamento. Il muro di protezione degli scaloni è ornato da merli con estremità sferica che richiamano i merli della porta che ci accoglie per concederci l’ingresso al cuore antico di Agropoli.

La porta ha due aperture: sulla destra della porta principale ce n’è una, secondaria, ad arco ribassato, aperta agli inizi del XX secolo. Tra le aperture è visibile una feritoia che permetteva la vigilanza e la difesa. Al di sopra della porta principale si nota lo stemma marmoreo dei Duchi Delli Monti Sanfelice, ultimi feudatari della città, che un tempo decorava l’ingresso del Castello.

Una sosta sulla piazzola che si apre, subito dopo la porta, e getta lo sguardo sul mare, dall’alto del promontorio e dove si affaccia anche la Chiesa della Madonna di Costantinopoli, dominando sulla città e sul porto turistico. La tradizione la vuole costruita in seguito il rinvenimento in mare della statua della Madonna che alcuni infedeli, al tempo delle scorrerie turche della metà del Cinquecento, avevano cercato inutilmente di portar via. La leggenda narra che il corsaro Ottomanno Barbarossa assalì Agropoli nel 1535 saccheggiando case e chiese, bruciando campi e uccidendo chiunque si opponesse a lui, e decretando il triste destino di oltre cinquecento Agropolesi che furono deportati e venduti come schiavi a Tunisi e Algeri. L’assalto è illustrato a rilievo su una delle porte bronzee laterali della Chiesa di San Pietro e Paolo, nel cuore del borgo, lungo la via per il castello. Riprendendo, invece, le fila della tradizione sulla devozione mariana ad Agropoli e alla statua custodita in questa chiesa, si racconta che malgrado il terribile attacco degli assalitori islamici, alcuni fedeli coraggiosi riuscirono a mettere in salvo la statua della Madonna di Costantinopoli in una grotta del promontorio su cui sorgeva la città vecchia. Anni dopo una mareggiata sottrasse il simulacro dal suo nascondiglio e i pescatori, vedendola galleggiare sul mare, la riportarono a terra dedicandogli una cappella. La leggenda sembra comunque essere confermata in più punti dalla storia.
La statua attuale risale alla scuola del Seicento napoletano e conserva una caratteristica unica, coerente con l’origine orientale del culto, la Vergine infatti regge il bambino sul braccio sinistro secondo la tradizione iconografica bizantina.
Sono molteplici, inoltre, gli eventi prodigiosi legati alla Madonna di Costantinopoli a protezione dei pescatori. Il caso più recente risale al 1956 quando venti pescatori usciti in mare per la pesca, al momento del rientro carichi del pescato, un forte acquazzone li bloccò a largo. Il mare imperversava minaccioso sulle piccole barche e vani erano i loro tentativi di tornare a riva. Tra i pescatori e le famiglie accorse sull’alta rupe per assistere alla tremenda vicenda, si levò un coro di preghiera indirizzato alla Beata Vergine nella speranza di un miracolo. E queso avvenne: la Madonna apparve ai pescatori, così come raccontano gli anziani, e i venti pescatori grazie a essa riuscirono a rientrare in porto. A perenne ricordo dell’evento c’è un affresco sul soffitto della chiesa, che mostra proprio la Madonna apparire in soccorso ai pescatori.
Per vicoli ritorti che si inerpicano tra abitazioni basse e fitte, si raggiunge il castello a pianta triangolare e con tre torri circolari. Si erge sul promontorio incastrandosi come un vertice nell’interno dell’area del borgo antico, mentre la base si protende fuori del nucleo abitato, come fortificazione avanzata sul versante collinare dal pendio più dolce e più esposto agli assalti. Attorno alle mura del castello si trovava un fossato largo e profondo, oggi visibile solo sul lato verso il borgo. Il castello presenta l’aspetto assunto dopo le ristrutturazioni d’età aragonese che devono aver ampliato l’originario impianto e il ponte di pietra gettato sul fossato guida l’acceso all’interno del castello, dove ci accoglie la piazza d’armi, delimitata da edifici sui fronti settentrionale e orientale e oggi adibita a giardino e a teatro all’aperto.
Il castello di Agropoli ha ospitato tra le sue austere mura personaggi che hanno segnato la storia e la cultura non solo nazionale. Tra questi ricordo la nobile napoletana Luisa Sanfelice, che qui dimorò più volte, morta condannata alla decapitazione per aver svelato la congiura contro la Repubblica organizzata dai fratelli Baccher, e la cui vicenda umana fu d’ispirazione al romanzo di Alexandre Dumas padre; ma anche la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, tanto affascinata da questo luogo da ambientarvi il racconto “Anna, soror”; e ancora Giuseppe Ungaretti, che visitò il Cilento all’inizio degli anni Trenta del XX secolo e che ritrasse Agropoli nel volume “Mezzogiorno”.
Prosegue la nostra passeggiata nel borgo cilentano: lasciandoci il castello alle spalle, ci incamminiamo per una serpentina di vicoli quasi labirintici, tra case di pietra e i tetti dai coppi rossi, ornate da gerani e petunie coloratissime che danno vita a scorci da cartolina e carichi di suggestioni, finché non si apre di nuovo, tra alberi di limone lo sguardo sul blu del mare e lì, sul limitare della Rupe, spunta la lanterna del Faro di Punta Fortino, una torretta in stile veneziano, costruita nel 1929 e visibile dal lungomare della città nuova.
Continuando a districarci per le stradine seguendo il fronte marino, risaliamo e per vie diverse ci ritroveremo in vista della piazzetta della Chiesa della Vergine di Costantinopoli, ma prima di abbandonare i vicoli, con un po’ di attenzione, sulla parete di una antica abitazione, che ospita oggi una nota pizzeria, si può leggere un’indicazione: “il pozzo dei desideri”.

E anche i più disincantati di solito sono curiosi di sapere quale sia la storia di quel luogo, forse solo una favola, come tante trovano giusta dimora in questi borghi dal fascino antico intatto, ma gli aneddoti si muovono sempre tra storia e leggenda e costituiscono comunque parte del patrimonio di memorie e tradizioni di un posto. Qual è quindi la storia del pozzo dei desideri di Agropoli?

Si racconta che nell’antico palazzo, viveva un signore autoritario con la moglie e la loro bellissima figlia. Il duca era conosciuto come un burbero ed era solito maltrattare moglie e figlia, a tal punto che un giorno, mentre il padre era via per una battuta di caccia al cinghiale, la giovane scappò. Ma la madre, in apprensione, avvertì il marito, al suo rientro. L’uomo si mise alla ricerca della figlia e la trovò sulla spiaggia verso Paestum. La fuga fu duramente punita e la giovane fu frustata e rinchiusa in fondo a un pozzo, da dove poteva udire gli altri bambini giocare ma non poteva godere della luce del sole. La madre era autorizzata a calarle solo i pasti e la speranza che qualcuno passasse di là per salvarla era sempre più debole.
Il principe, di ritorno da una missione nel pieno delle terre cilentane, di passaggio ad Agropoli, si insospettì non trovando la duchessina sul suo balcone ad accoglierlo. La liberò dal pozzo e la portò in trionfo in sella sul suo cavallo, chiedendola in sposa, come in ogni fiaba che si rispetti con il suo “e vissero felici e contenti” e quando fece portare il malvagio duca al suo cospetto, per rendergli pan per focaccia, la dolce e bella figlia lo risparmiò, Anzi, ringraziò perfino il padre poiché senza quella disavventura non avrebbe ottenuto la felicità che l’aspettava di lì in poi. E non manca neanche la morale della favola, cioè che per scoprire la felicità, bisogna prima conoscere qualche pena.
E per chi raggiunge il pozzo della leggenda, salendo le strette scale di pietra di quel palazzotto, in un angolo sul pianerottolo del primo piano, è inevitabile provare a esprimere un desiderio lasciando cadere giù nel pozzo una monetina.