La “danza delle idee” del Rinascimento di Donato Di Poce

La recensione al libro di Donato Di Poce

Giovanni Schiavo Campo

Il Rinascimento, al di là della grande fioritura di studi che circondano il tema, continua a suscitare un’attenzione costante, non solo del grande pubblico che va a visitarne i capolavori nelle nostre città d’arte, ma oggi anche da parte di una certa critica contemporanea promotrice dell’idea che ci troveremmo alla vigilia di un nuovo Rinascimento: magari un auspicio, legittimato come reazione all’isterilirsi di mode culturali e pratiche artistiche unicamente funzionali al mercato.

Centrale comunque il fatto che il Rinascimento ha avuto in Italia la sua culla e il suo vertice di splendore prima d’irradiarsi in una dimensione europea e mondiale, a testimonianza di una vitalità espansiva che raramente il nostro Paese ha conosciuto (pur nel susseguirsi di tante personalità illustri nei vari campi) nei secoli seguenti. E se la questione è quella di un rilancio di un profilo culturale italiano, ecco allora l’attualità di un ripensamento del Rinascimento, delle sue premesse teoriche e conquiste pratiche in cui si è espressa la maestria dei protagonisti del periodo mettendo a frutto studi, ideali, invenzioni tecniche (in pittura come in architettura o in tanti altri ambiti di innovazione civile, militare o scientifica). Infine, una tale riproposta offre una lente d’ingrandimento su aspetti di fondo che connotano, dagli inizi, l’età moderna: la crisi del modello teologico con la progressiva “laicizzazione” del pensiero, l’affermarsi di un concetto di individuo “demiurgo” capace, con le proprie abilità, di plasmare il mondo, il ruolo sempre più preminente di un sapere scientifico connesso a un approccio sperimentale. Atteggiamenti mentali e culturali che ci derivano dal Quattrocento e Cinquecento che vi hanno lasciato il proprio sigillo indelebile.

 Letto in filigrana, il Rinascimento diventa così il filo in grado di annodare passato e presente in una continuità di fondo mai rinnegata. Tant’è che il richiamo a un classicismo ricorrente nelle epoche al di là di ogni presunta rottura sperimentale o tentativo di restaurazione (nozioni di cui oggi ci si sta rendendo conto della sottile ambiguità), lo si  nota in un certo gusto citazionistico di raffinata raffigurazione in produzioni anche recenti, per esempio  in fotografia o nella cosiddetta videoarte. Sommarie indicazioni a contorno di una proposta editoriale di Donato Di Poce, “Rinascimento: La danza delle idee” (I Quaderni del Bardo, Sannicola – LE 2022, sottotitolo: “L’arte, tra poesia e filosofia nella civiltà del Rinascimento italiano”) in cui l’intreccio fra personaggi, tematiche e scoperte nello scambio vicendevole di idee – in cui è costante il confronto coi filosofi e intellettuali umanisti (Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Machiavelli, Guicciardini tra gli altri) come tra gli stessi artisti (emblematico il caso di Brunelleschi e Masaccio che mutua nella sua opera i  principi prospettici del primo) -, dà luogo a un percorso storico-critico, didattico-didascalico, enciclopedico e “CreaAttivo”, specchio di una convergenza di interessi multidisciplinari “in perfetta sintonia con lo spirito Rinascimentale”, come sottolinea l’autore nell’Introduzione.

 Un libro organizzato come un dizionario, per “voci” (Architettura, Scultura, Pittura, autori e libri di culto, la Roma dei Papi, il Rinascimento “minore”, le donne nell’arte), che si conclude con l’analisi di alcuni temi e capolavori (L’Uomo  Vitruviano – a cui tra l’altro è ispirato il dipinto di Mauro Rea, ripreso in copertina -, La Città Ideale, La Pietà, La Scuola di Atene, i taccuini leonardeschi, la Leggenda della Vera Croce) e con un capitolo dedicato al Rinascimento nell’Arte Contemporanea. Arricchito inoltre da un Glossario e da una Bibliografia Minima, preziosi strumenti di approfondimento in appendice.

Nel complesso, 142 pagine in cui l’informazione storica, il particolare cronachistico o la citazione erudita si stemperano in una lettura piana e accessibile, ma non per questo meno puntuale nel dettaglio documentale della realtà concreta in cui tali personalità si sono trovate a operare e da cui emergono motivi d’ispirazione, aspetti di contesto (l’ambiente cortigiano o la marginalità del mondo femminile da cui però si stagliano, in tutta la loro originalità, figure di poetesse e pittrici), confronti sulle pratiche e tecniche architettoniche, scultoree e pittoriche (particolareggiate nel Glossario con l’elencazione di un’ampia terminologia specialistica, accurata ma di consultazione sicuramente più immediata rispetto, per esempio, all’esauriente ma meno maneggevole manuale del Pevsner). Insomma, molto di più di un sia pure efficace compendio di letture che serva, scolasticamente, a rinfrescarne la memoria (anche se l’esposizione didatticamente lineare può dare, a prima vista, l’impressione che ci sia anche questa intenzione).

D’altra parte l’esegesi critica traluce nel risalto biografico per esempio della vicenda di Artemisia Gentileschi, forse la più celebre delle artiste del periodo, e della violenza dello stupro da lei subito come una ferita all’origine delle sue cruente rappresentazioni di vendette femminili (come quella di Giuditta su Oloferne su cui Di Poce fornisce una convincente chiave di lettura), spunto per restituirne il ritratto vivo e psicologicamente aderente alla drammaticità pulsionale insita nelle opere. Ed è questo versante di un Rinascimento “altro”,  a lungo sottovalutato ma a suo modo rivelatore di una tragica antitesi al di sotto di un’estrema raffinatezza formale e compositiva a portare Di Poce a mettere a fuoco, in un intero capitolo, l’espressività creativa delle donne rinascimentali, antesignane di una rivendicazione di autonomia e libertà rispetto a un predominio maschile purtroppo sempre in auge; artiste che sia in pittura, che in poesia, e, aggiungerei, anche nella musica, non sono state da meno, come eccellenze nei rispettivi ambiti, dei loro colleghi uomini.

E di qui alla contemporaneità il salto è breve, almeno per autori in cui è più evidente la ripresa di motivi concettuali e anche esplicitamente figurativi rinascimentali: come in Pasolini (di cui Di Poce è un attento frequentatore) in cui diventa il filo conduttore (specialmente nella filmografia) di un’opposizione laica, ma al contempo carica di tensione “religiosa”, nei confronti di una banalizzazione del presente che considera la straordinaria fioritura di quell’epoca un accidente occasionale nel corso di una storia millenaria di cui siamo beneficiari ma di cui si continua evidentemente a fraintendere le ragioni, considerandola appunto un episodio isolato, irripetibile. E questo, forse, per non metterci nuovamente in gioco in quello scambio reciproco fra personalità e concezioni che ha conferito al Rinascimento il suo vivace timbro, appunto, di “danza delle idee”.