Tra memoria storica e identità. Il museo etnografico di Taranto

 

Aspettando l’apertura inaugurale del 17 aprile 2014, ore 11, Palazzo Pantaleo

IL MUSEO  ETNOGRAFICO “ALFREDO MAJORANO” DI TARANTO

di Antonio Basile

Notevole è l’interesse che il folklore suscita ancora oggi in un vasto pubblico. Indubbiamente non si tratta di una moda, ma, nelle sue istanze profonde, è una di quelle richieste culturali che, in un’epoca caratterizzata da fenomeni di globalizzazione, provengono dalle classi che hanno prodotto e vissuto quella cultura: nella misura in cui essa e soltanto essa è rimasta la loro cultura, è ora legittimamente rivendicata come “memoria storica” in cui ritrovare la propria “identità”.

            Sovente, in passato, la cultura popolare è rimasta relegata a posizioni di marginalità, segnata quasi da un marchio di inferiorità. In realtà  tale cultura, che di fatto non ha mai goduto di una piena autonomia, resta separata (più che opposta) da quella ufficiale. Una cultura non uniforme: più segnata di quanto non si creda è, infatti, la differenza tra il folklore dei contadini e quello dei pescatori, con differenze dovute essenzialmente al diverso rapporto con la natura e alle diverse correlate prescrizioni e interdizioni della cultura. Ciò appare più che evidente nei musei demologici esistenti nel nostro Paese, il cui nucleo originario è costituito più spesso da collezioni private messe insieme con non pochi sacrifici, ma con tanta passione, da studiosi locali.

            Tra questi spicca la figura di Alfredo Majorano, non solo per la consistenza delle sue pubblicazioni demologiche e per la sua produzione teatrale in vernacolo,  ma anche e soprattutto per la sua instancabile attività di ricercatore e di raccoglitore nel vasto settore della vita tradizionale. Il materiale raccolto da Alfredo Majorano in tanti anni di ricerche e di peregrinazioni effettuate insieme alla moglie Elena per le campagne, entrando nelle masserie, penetrando nei vicoli della Marina e della via di Mezzo, è una testimonianza eloquente del nostro vissuto.

 

 

            La Collezione “Alfredo Majorano”

            Il filo conduttore della collezione etnografica di “Alfredo Majorano” che sarà sistemata nelle sale del secondo piano nobile di Palazzo Pantaleo, ruota intorno alla ritualità magica e religiosa nel tarantino. L’abbondanza dei materiali che la costituiscono, documentano la vita tradizionale nel Tarantino: dal mondo della festività e della ritualità magica-religiosa si allarga a documentare tutti gli altri modi della vita associata locale e, in primo luogo, quelli laici della fatica, a terra e sul mare.

            Proprio questa ricchezza di documentazione, rileva Alberto Mario Cirese, antropologo al quale va ascritto il merito di aver conferito una “sistemazione scientifica” della collezione, costringe quasi di per sé a valicare i limiti della tematica locale e del folklorismo inteso nella sua accezione riduttiva e svalutante: gli accostamenti multipli, che sono consentiti dalla moltiplicazione degli esemplari di uno stesso tipo, spingono a rifiutare le vie facilitanti ma anguste della presentazione naturalistico-descrittiva dei singoli episodi (presepi o processioni, per fare un esempio), e portano invece a ricercare le linee di uniformità sostanziale che si celano al di sotto della varietà dei contenuti grezzamente intesi.

            La collezione etnografica “Alfredo Majorano” è stata suddivisa da Alberto Mario Cirese con questo criterio: “azioni, rappresentazioni e riti” (le cerimonie processionali: la processione dell’Addolorata e l’abito dei suoi confratelli, la processione dei Misteri, l’abito dei confratelli del Carmine, la propiziazione della pioggia a Manduria, i falò di san Giuseppe e di san Ciro, le sacre rappresentazioni, mattrèdde e tàuli, abiti cerimoniali e ori, rituali della taranta); “figurazioni, modelli e riproduzioni” (personaggi e scene di presepi, pastori in terracotta colorata, riproduzioni documentarie di ambienti e paesaggi, presepi fissi, modellini delle processioni pasquali, iconografia sacra minore e minima, arte plastica effimera: pani e dolci cerimoniali, anatomia votiva in argento cera, tele e tavolette votive, ceramiche dipinte, fischietti ironici e altri giocattoli festivi); “elenco delle principali occasioni cerimoniali documentate dalla raccolta Majorano”.

Dalla documentazione oggettuale e fotografica (complementare l’una con l’altra) le relazioni antropologiche, storiche  e strutturali tra festivo e feriale, magico e religioso, giornaliero e rituale, e altre apparenti dicotomie della cultura locale. Dal materiale etnografico esposto nelle sale del secondo piano nobile di Palazzo Pantaleo, si evince che sono ben documentate non solo le ricorrenze della religione ufficiale, liturgicamente riconosciute nel calendario canonico come doverosamente solenni sul piano ecumenico o su quello delle specifiche devozioni locali (Natale e Pasqua, san Ciro, san Giuseppe e san Cataldo), ma anche cerimonie,  come la processione che si svolge dalla chiesetta di San Pietro in Bevagna sino a Manduria, nei periodi di siccità per ottenere la pioggia. Il solo rituale non riconducibile alla religione ufficiale che ci venga attestato dalla collezione Majorano è quello relativo al tarantismo, documentato da alcune foto realizzate da Ciro De Vincentis nel 1950, che ritraggono una suonatrice di tamburello e una donna pizzicata che si reca ballando sul luogo dove riteneva di essere stata morsa dalla taranta, accompagnata da un suonatore di violino, da una cantatrice con tamburello e da un gruppo di persone. Per quanto riguarda la propiziazione della pioggia a Manduria, il rito viene celebrato, senza partecipazione del clero, nei periodi di dura siccità. I partecipanti muovono dall’eremo di San Pietro in Bevagna dal nome del vicino ruscello, e raggiungono Manduria, recando un dipinto che raffigura san Pietro, portando a spalla tronchi e rami di leccio e sorreggendo altarini di frasche, festoni ed archi di canne disposte in forma di facciate di chiesa. L’uso di accendere grandi fuochi cerimoniali ( e di saltarvi attraverso), rileva Alberto Mario Cirese, è ancora vivo per la festa di san Giuseppe o per altre occasioni, sia a Taranto vecchia sia in altre località del Tarantino, come è attestato anche dalla varietà delle denominazioni (fanòje, fanòni, fòc’ra, fucarazzu, ecc…).

In varie località del Tarantino è ancora viva la costumanza di celebrare la festa di san Giuseppe (per voto da sciogliere o per grazia da ricevere) approntando un gran numero di cibi più o meno rituali ed esponendoli cerimonialmente in casa o fuori,  nelle stesse madie (mattrèdde) in cui si impasta la farina o su tavoli (tàuli) di grandi dimesioni. Alla cerimonia dell’esposizione si accompagna quella della consumazione. Quando l’esposizione avviene all’aperto, dopo la benedizione impartita dal parroco al passaggio della processione, i cibi vengono consumati in piedi e sempre all’aperto, così dai poveri (cui principalmente i cibi sono destinati), come da chiunque voglia “assaggiare la devozione”. Quando l’esposizione avviene in casa, alla benedizione si sostituisce una preghiera familiare e la consumazione deve essere iniziata dai santi, cioè da tre persone che rappresentano la Vergine, san Giuseppe e il Bambino; solo dopo questa preghiera la casa resta aperta a chiunque voglia entrarvi e mangiare.

La preparazione di pani e dolci festivi e cerimoniali appare ancora frequente a Taranto e nella provincia. Le occasioni principali sono il Natale, la Pasqua e san Giuseppe, a cui spesso conferiscono una ulteriore accentuazione cerimoniale gli scambi di doni tra fidanzati. Alla ritualità della confezione si accompagna spesso quella della consumazione, che è sempre “di devozione” e che spesso è considerata apportatrice di beni fisici e spirituali. I tipi, le forme e le denominazioni di queste confezioni rituali sono largamente documentati nella collezione Majorano sia con riproduzioni in terracotta colorata, che con liste di termini e note descrittive. Tra quelli di confezione familiare e con spiccato carattere figurativo spiccano lu cori, la stèdda, la palomma, la manu (Lizzano): pani dolci confezionati per li tàuli di san Giuseppe in forme che simboleggiano il Cuore di Gesù, la Stella dei Magi, la Colomba o Spirito Santo, la mano del Santo; ‘a scarcèdde (Taranto): la scarsella, pane dolce pasquale in forma di borsa tonda, con uova sane, usato anche come dono tradizionale alla zita o fidanzata; ‘u jadduzze (Massafra): il galluccio o galletto, pane dolce pasquale con uovo al centro confezionato per i fanciulli; ‘a tròcchele (Taranto): pane dolce pasquale con due uova sane che riproduceva più o meno accuratamente il crepitacolo usato nella Settimana Santa; lu picurùsciu (Lizzano): pane dolce pasquale di Lizzano che riproduce il montone giovane o agnello; i fidanzati ne donano o donavano la parte contenente la testa alle zite nel giorno di Pasqua in cambio dei regali ricevuti la Domenica delle Palme; ‘u cavaddìstre (Martina Franca): pane dolce pasquale giulebbato in forma di cavallucci; usato dai fidanzati come il picurùsciu di Lizzano; ‘a pupa allèrte, ‘a pupa curcàte (Taranto): pani dolci pasquali raffiguranti rispettivamente una donna ritta e una donna sdraiata, con cuffietta pieghettata, seni sorretti da una pettorina, collana in forma di serpente e ventre gonfio per l’inserimento di una o due uova sane (talvolta protette da una piccola intelaiatura di canne); le pèttele (Taranto): frittelle tonde e ovali cosparse di miele preparate al mattino durante le festività natalizie; le carteddàte (Taranto): “cartellate” (da cartella, cesta) di pasta cosparsa di anesìne (anicini) che friggendosi s’increspa; in uso per le feste natalizie; le sanacchiùtele (Taranto): gnoccheti fritti e poi imbevuti di miele, per le feste natalizie, altrove chiamati anche purcìddi e puciddùzzi; ‘a mescetàte (Taranto): focaccia molle a forma ovale un tempo preparata e consumata per interrompere il digiuno che era di norma alla vigilia dell’Immacolata, altrove detta puccia alla vampa, e cioè cotta alla fiamma; le taràdde (Taranto): i taralli o ciambelle pasquali di grano, uova e pepe o zucchero; ‘u pane de sand’Andonie (Taranto): pane in forma grossa e rotonda, con le iniziali del santo in rilievo, che si distribuisce dopo la benedizione, altrove preparato anche per la festa di san Giuseppe e usato per scongiurare i temporali; ‘u taraddùzze de Sande Cosme e Attamiane (Taranto): ciambelletta di pasta azzima nel cui foro si inseriva, arrotolata, una immagine a stampa dei Santi, un tempo distribuita ai fedeli che scioglievano voti al santuario e consumata per ottenere guarigioni o  per scongiurare temporali. Oltre alle fogge regolari o processionali dei confratelli dell’Addolorata e del Carmine la collezione Majorano documenta anche i seguenti abiti votivi o cerimoniali: costumi votivi maschili dei SS. Medici Martiri Cosma e Damiano, che riproducono nella foggia e nei colori gli abiti e i simboli attribuiti ai due protettori dalla iconografia tradizionale, ancora oggi indossati per voto, quotidianamente o processionalmente; Sammechèle, ossia una riproduzione adattata del costume attribuito all’Arcangelo Michele (con elmo, corazza, spada, ecc…), indossato dai bambini per la processione del Corpus Domini; l’Angelìcchie, cioè abito e acconciature di bambini per la processione del Corpus Domini, composto da vestina, calzari e nastri incrociati alle gambe, tutti di seta celeste, corona di latta dorata sul capo, ali di cartone e velo, profusione di ori al collo, alle braccia e sulla veste; ‘A Vergenèlle, abito e acconciature indossati dalle fanciulle per la processione del Corpus Domini, che prevedeva una vestina bianca da prima comunione, con velo e nastri a fiocco sul capo, stivaletti abbottonati di pelle bianca, collane o altri gioielli. Durante la processione, le fanciulle così abbigliate reggevano un cestino con fiori e con un passero vivo. Un posto di rilievo occupano l’anatomia votiva in argento o cera e le tele e tavolette votive. L’anatomia votiva  in lamina d’argento è eseguita con stampi che raffigurano, in genere, le parti anatomiche guarite per l’intervento taumaturgico. Spiccano un cuore con simboli della Passione, corona dorata e iniziali A.M. dell’offerente; occhi, reni, mammelle con sigla V. F. G. A. (voto fatto grazia avuta); ventre; mammelle e ventre; gola; orecchio; intestini; avambraccio e mano; gamba e piede; bambino in fasce. In cera con decorazioni dipinte sono, invece, un piede col nome dell’offerente e la data (illeggibile); cuore, gamba, piede, avambraccio e mano; mano e mammelle. Entrando in un santuario ci si imbatte spesso in quadri attaccati alle pareti che rappresentano illustrazioni di miracoli recenti, con didascalie, nomi e date rozzamente dipinti, meglio conosciuti come ex voto, legati alla particolare venerazione di un santo o della madonna. Questi, nella cultura popolare, hanno destinazione e collocazione di natura magico – religiosa. Un tempo a Taranto alcune chiese, come quelle di San Francesco di Paola e di San Pasquale, erano piene di “tavolette votive”, al punto che il clero era costretto a disfarsene piuttosto sbrigativamente.

I temi raffigurati negli ex voto sono fra quelli che ricorrono con maggiore frequenza nella vita di una comunità: malattie, incidenti sul lavoro, incidenti stradali, naufragi, terremoti, crolli, battaglie, epidemie ed altre situazioni disperate, tutte “narrate” con estrema semplicità e con la massima aderenza alla realtà, con forti accenti di originalità ed efficacia espressiva. Ben cinque sono gli ex voto della collezione, legati ad episodi in cui dei pescatori sono coinvolti in naufragi, in esplosioni accidentali e vortici marini. Fra questi particolarmente significativa è la tela raffigurante una paranza che affonda in Mar Grande, sovrastata dalla Vergine Addolorata e da Gesù Crocifisso, invocati da anime purganti, che reca la scritta: “il 18 7bre Nicola Lincesso, Nicola Morelli, Francesco Albano e Nicola Adamo venivano miracolosamente salvati da un vortice d’aria dietro l’isola di San Pietro (Taranto)”. A differenza di molti altri ex voto di cui non si conosce il nome dell’autore, questo è firmato dal  noto pittore Francesco Paolo Parisi, che lo realizzò nel 1878.

            Un posto a parte, per qualità della materia e dell’esecuzione, occupano le ceramiche dipinte. In particolare due mattonelle in ceramica dipinta (Laterza) un tempo incastrate sulle facciate delle case: una quadrata (cm.19 x 19), raffigurante la Vergine col Bambino; l’altra ovale (cm. 38 x 29), raffigurante la Vergine Addolorata con angeli. Significative anche le acquasantiere maiolicate (Grottaglie), ancor oggi appese al muro accanto al letto e soprattutto due orciuoli smaltati per olio (Grottaglie), di forma panciuta, con collo stretto e imboccatura modellata e dipinta a modo di viso umano: una reca dipinta una croce gialla ed ha circonferenza di cm.54; l’altra dipinta con l’effige della Madonna della Scala, protettrice di Massafra, e sullo sfondo il santuario omonimo.

Di particolare interesse sono i piatti smaltati con figurazioni sacre (diametro circa 50                                                                                                                                                                cm.). Tra questi citiamo quello che raffigura San Martino, datato 1882, senza firma, proveniente da Martina Franca; San Ciro eremita, datato 1882 e firmato Ciro Vincenzo Petraroli (di Grottaglie); Maria SS. della Mutata Padrona Principale della Città di Grottaglie, senza firma né data, ma proveniente da Grottaglie; San Francesco di Geronimo, senza firma né data, proveniente da Grottaglie; un’effige di Sant’Elena con croce e scettro, senza data né firma, proveniente da Grottaglie; un’immagine della Madonna e del Bambino coronati, senza firma né data, proveniente da Grottaglie; il Sacramento affiancato da due testine alate di cherubini, senza indicazioni, ma di fattura grottagliese e provenienza tarantina; un’effige dell’Arcangelo Michele che colpisce il demonio, senza indicazioni; una figura di zampognari natalizi, datata 22.6.1935 e firmata Fabbrica di Ceramica Mastro Oronzo (Grottaglie); da San Giorgio Jonico proviene, infine, il Sacramento al centro e i simboli della Passione al contorno, datato 21.8.1967 e firmato Ditta Mastro Rosario fu Oronzo (Grottaglie). Non mancano, inoltre, fischietti ironici e giocattoli festivi. Ci sono poi trombe ritorte o diritte in terracotta grezza di circa 30 cm (Grottaglie, per la festa di san Pietro e Paolo); ‘u ruèzzele o ‘a ròzzele (Taranto), cioè la raganella, in legno grezzo; ‘a tròcchele (Taranto), ossia il crepitacolo della Settimana Santa; oggetti d’uso in terracotta grezza.  Questi giocattoli si potevano acquistare durante le ricorrenze festive, come la nota fiera che si svolgeva in occasione di san Cataldo, sulle bancarelle di artigiani come Nicola De Michele, Luigi Proietti e Giovanni Faggiano. Da questi anonimi artigiani Alfredo Majorano acquistò pupi e scene dei presepi, pastori in terracotta colorata modellini delle processioni pasquali, riproduzioni documentarie di ambienti e paesaggi. In proposito, notevoli sono le riproduzioni documentarie di ambienti e paesaggi realizzati su commissione di Alfredo Majorano nel 1965 – 1966 all’artista Franco Iaccarino: plastici in cartoni pressati e dipinti, destinati a costituire lo scenario per altrettanti presepi documentari. Significativo è quello dedicato a Taranto vecchia (plastico di cm 325 x 100), che riproduce alcuni dei punti più noti della città vecchia: la Ringhiera, la facciata di San Domenico, via San Martino, Postierla Via Nuova, Arco Cito, Torre dell’Orologio di Piazza Fontana, La Marina, ‘A ruàne (Pescheria). A questo plastico si collegano le figure in terracotta colorata realizzate su commissione di Majorano da Raffaele Sergio nel 1965. Altrettanto suggestivo è il plastico del Paesaggio rupestre massafrese (cm 200 x 100), che riproduce il paesaggio di Massafra sulla gravina con il castello feudale, il ponte ecc. A questo plastico si collegano le figurine realizzate dal figulo Sergio Raffaele.