Quando le immagini diventano poesia

Dal 21 marzo al 5 aprile 2015. A Lecce nelle sale di Scaramuzza Arte Contemporanea

.OBJ gli scatti in bianco e nero di Bruno Barillari

La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori. Così scriveva in Corpo d’amore Alda Merini, parole che si prestano a sintetizzare il senso del nuovo progetto espositivo firmato Bruno Barillari. “.OBJ” tredici oggetti che si animano per divenire qualcosa altro. Poesia di un’immagine che sa farsi racconto. Tredici scatti, rigorosamente in bianco e nero, in mostra dal 21 marzo al 5 aprile, negli spazi di Scaramuzza Arte Contemporanea, per raccontare, suggerire al fruitore nuove storie, nuove emozioni.

Vernissage, con le bollicine di champagne Bruno Paillard, sabato 21 marzo ore 19. La presentazione sarà a cura del critico d’arte Toti Carpentieri e di Roberto Mutti direttore di Kairòs magazine, docente presso l’Istituto italiano di fotografia e l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano e collaboratore del quotidiano “La Repubblica”.

“.OBJ” è il titolo emblematico scelto per questa nuova collezione di immagini che rimanda alle iniziali del termine oggetto, (dal lat. mediev. obiectum, neutro sostantivato di obiectus, part. pass. di obicĕre) che, per definizione, significa «porre innanzi»; propr. «ciò che è posto innanzi (al pensiero o alla vista)». Il fotografo leccese che preferisce “lavorare con la luce che vivere di riflesso…” continua la sua ricerca artistica fatta di sperimentazioni nel senso più puro del termine scegliendo il fascino della pellicola in bianco e nero, quasi dimenticata nell’era digitale, e la magia che avviene nella camera oscura.

Nelle inquadrature sono finiti gli oggetti, spesso disseminati negli angoli più nascosti delle nostre case e delle nostre vite, spiega lo stesso fotografo: “gli oggetti si ripongono davanti ai nostri occhi e ai nostri pensieri e quando li guardiamo con l’anima o li tocchiamo con la pelle ci trasmettono quantità sufficienti di emozioni da farci crescere in un istante o rimanere bambini per tutta la vita”.

Gli oggetti fotografati da Bruno Barillari si animano dietro il mirino della sua fotocamera per raccontare nuove storie, sfogliando tra le pagine di ricordi condivisibili perché è questo ciò che accade quando l’immagine diventa poesia: l’oggetto ritratto nella completezza della sua forma diventa, attingendo dalla terminologia linguistica, significante e significato. Idea, talvolta sogno. Il pensiero va oltre ciò che vede. E ci si ritrova dentro le emozioni, le forme e si comprende il valore della bellezza. E sentiamo che tutto questo appartiene anche un po’ a noi. Così l’accostamento di tre semplici chiavi rimanda al concetto di famiglia come gli ingranaggi di un meccanismo, rintracciato tra gli oggetti conservati “da un padre, figlio a sua volta di chi era cresciuto nell’officina del nonno”, diventano metafora della vita stessa che gira come su ruote dentate incastrando situazioni che si ripetono all’infinito. Gioie e dolori, attese e sogni… di generazione in generazione. Una rosa tra le pieghe di un foglio incartocciato rinvia ai petali di rosa che c’è capitato, almeno una volta, di racchiudere tra le pagine di un libro insieme al pensiero più intimo e segreto. Una biglia in bilico, l’ombra di una sedia ottenuta piegando la gabbietta ferma tappo di una bottiglia di spumante o ancora una lumaca con la sua conchiglia fatta di spago perché il filo dei ricordi serve a tessere i giorni della nostra vita. In fondo potremmo mai fare a meno dei ricordi? Come asseriva Italo Calvino “la vita è un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un’architettura interna”.  Un’architettura costruita sulle immagini, magari di oggetti, che ci aiutano a non dimenticare.

“E così tra oggettualità diverse – scrive Toti Carpentieri – che vanno da un antico strumento musicale a giocose ed infantili presenze, a congegni, chiodi, meccanismi, arnesi, utensili, attrezzi, scarpe, aggeggi, chiavi, dispositivi, apparecchi, ingranaggi, macchine, e perfino alla sedia del nonno dentista, il fotografo si fa autore di un vero e proprio detournement ovvero di un capovolgimento del significato. Rammentando che l’immagine fotografica è sempre un’altra cosa rispetto all’oggetto fotografato (non fosse altro che per la capacità di rivelare i significati che si celano dietro le forme delle cose), e rendendo credibile –come affermato da Francesca Alinovi- ogni scenario proposto.”

Scenari che sono il frutto di una padronanza tecnica unita ad un inventiva straordinaria come spiega nel suo testo Roberto Mutti: “Ciò che subito colpisce osservando queste immagini è la capacità di realizzare un percorso espressivo che, pur mantenendo la riconoscibilità di uno stile, ha l’innegabile pregio di scegliere ogni volta soluzioni non ripetitive. (…)”Talvolta gli oggetti diventano simboli e per crearli basta un poco di carta leggera appallottolata attorno a un fiore, in altri casi ci si trova di fronte a metafore della vita: la composizione di grossi chiodi è insieme rassicurante e minacciosa (blindano la nostra tranquillità o la rendono vana?), lo spaccato di un meccanismo con gli ingranaggi si incastrano alla perfezione evoca un senso di armonica sicurezza. Misurarsi con gli oggetti è un modo per metterli al centro di un immaginario teatro e non è un caso se in molte lingue recitare, suonare e giocare sono sinonimi. Il fotografo questa dimensione la coglie proprio ponendosi di fronte ai giocattoli degli adulti che si incantano di fronte a meccanismi resi mobili da una molla e sanno manipolare una gabbietta di un tappo di champagne per farle assumere le sembianze di una seggiola. Poi Bruno Barillari ci aggiunge una luce e crea un’ombra che si allunga netta e scura sul bianco dello sfondo. Ed è allora che si scopre il perché può essere un errore considerare inanimati gli oggetti. Almeno in fotografia.”

Il punto prima delle lettere OBJ (che indica un file oggetto Wavefront 3D) è quasi un rimando all’estensione jpg, che solitamente indica un file di immagine, ma non è il caso delle foto in mostra che sono state realizzate in analogico. E, novità assoluta, la stampa delle foto che è stata realizzata da Andrea Mosso (fotografo nonché fondatore dell’associazione CAMERAOSCURA e docente di tecniche antiche presso l’Isci di Roma) mediante la tecnica di stampa AMOS, da lui brevettata e presentata da poco in Italia. Una tecnica che consiste nel trasferimento chimico degli inchiostri da una matrice ottenuta digitalmente su un nuovo supporto, in questo caso un pannello di legno preparato con specifici intonaci. Un procedimento caratterizzato dall’artigianalità di una fase del suo processo e il posizionamento manuale della matrice rende la stampa unica e irripetibile. Il catalogo, pubblicato in tiratura limitata per i tipi de Il Raggio Verde edizioni, è impreziosito dai testi di Toti Carpentieri e di Roberto Mutti. Le traduzioni in lingua inglese dei testi sono a cura di Elena Riccardo. (an.fu.)

 

 

 


 

 

Bruno Barillari nasce a Galatina, Lecce il 3 aprile del 1973. Eredita la passione per la fotografia insieme ad una Rolleiflex biottica GX 2,8 nel 1987. A pochi esami dalla laurea in Economia e Commercio a Parma si diploma invece, nel 1997, all’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Dedica il tempo libero alla ricerca, nell’accezione pura del termine. Odiando le etichette, soprattutto nel suo settore, ama considerarsi semplicemente un uomo che scatta fotografie. Tra le ultime esposizioni lo scorso novembre ha esposto a Parigi nell’ambito del fotofever al Carrousel du Louvre.   Le sue foto sono pubblicate dalle più prestigiose riviste tra le quali Vogue, AD, Sposabella, Dove, Times e quotidiani tra cui il Corriere della Sera, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Sole 24 Ore.

www.brunobarillari.com