Prato della Valle, uno dei simboli di Padova

 di Sara Foti Sciavaliere

PADOVA. È una delle più grandi d’Europa, seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Fin dall’antichità questo spazio ebbe funzioni economiche e ricreative. In epoca romanda fu sede di un vasto teatro, lo Zairo, dove si svolgevano il circo e le corse dei cavalli. Nel Medioevo fu invece luogo di fiere, giostre e feste pubbliche; la Domenica delle Palme qui si radunavano in grande assemblee “tutti gli uomini liberi del Padovano” e già nel 1077 era sede del mercato, che due volte al mese diventava mercato degli animali. Anche le affollate prediche di Sant’Antonio venivano tenute a Prato della Valle (il cui Santuario dista da qui un paio di centinaia di metri). Inoltre, a ottobre e a novembre si tenevano le due grandi fiere in onore dei Santi Patroni Giustina e Prosdocino.

E a proposito sul lato sud-orientale della piazza non si non può non notare la maestosa mola della Basilica di Santa Giustina, dove in origine doveva esserci una frequentata area di sepoltura, testimoniata oggi dalla presenza di un sepolcreto a rito misto pagano e paleocristiano del I secolo d.C. Sono stati trovati qui Corpi Santi ed è plausibile pertanto pensare che devoti pellegrini vi giungessero per pregare sulle tombe. Il cimitero era diventato così nel Medioevo la meta privilegiata di pellegrinaggi e funzioni religiose; la chiesa, il monastero e la foresteria consentirono la nascita di vere e proprie cittadelle cristiane. Lo spazio continuò tuttavia a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, a causa della conformazione del terreno che tendeva a creare una depressione in cui l’acqua ristagnava, tanto da somigliare a una piccola valle. E a lungo non si poté intervenire con opere di bonifica, in quanto il terreno era di proprietà dell’abbazia di San Giustina e i monaci non avevano le risorse economiche per curarlo. Questo insieme di fattori, insieme alla funzione cimiteriale di una parte della spazio, impedirono qualunque cambiamento, almeno fino al 1767, quando il Senato Veneto dichiarò il Prato della Valle proprietà pubblica. Fu così che nel 1775 il Procuratore di Padova, il veneziano illuminista Andrea Memmo, con la collaborazione dell’abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza, realizzò una radicale bonifica dell’area, valorizzandola con la nuova sistemazione artistica che ha generato l’attuale spazio monumentale, una grandissima e originale piazza, unica al mondo per la sua forma e il suo allestimento. Prato della Valle è un’isola verde, chiamata Isola Memmia, proprio in committente dell’opera, circondata da un canale circolare ornato da un parapetto lapideo a quattro piccoli ponti e un doppio basamento di statue di celebri personaggi del passato. Secondo il progetto originario le statue, scolpite in pietra di Costozza tra il 1775 dovevano essere 88, tuttavia oggi ne possiamo vedere solo 78 statue (38 lungo l’anello interno all’Isola Mummia e 40 lungo quello esterno) con otto piedistalli sormontati da obelischi e due vacanti. Esse rappresentano i più illustri figli della città, padovani di nascita o d’adozione, e ricordano professori e studenti che onorarono la città e lo Studio padovano; solo gli spazi dell’ingresso ai quattro ponti furono riservati a personaggi politici, a Dogi e Papi. L’allestimento trova ispirazione dalla tradizione veneta del giardino patrizio, sottraendolo qui dalla sua dimensione privato e proposto, secondo i canoni neoclassici, come soluzione urbanistica. Le cronache raccontano che per la realizzazione dell’isola Memmia, dei ponti e del canale furono sufficienti quarantaquattro giorni di lavori e senza aggravio per l’erario poiché lo stesso Andrea Memmo contribuì con il suo denaro. La statua numero 44 rappresenta Andrea Memmo e fu innalzata due anni dopo la sua morte, nel 1794, ad opera del padovano Felice Chiereghin. E di importante valore artistico ha la numero 52 del giro interno, opera giovanile del celebre scultore Antonio Canova (di cui l’originale è oggi ai Musei Civici), che rappresenta Giovanni Poleni, il matematico e fisico veneziano che a soli 25 anni fu insegnante di astronomia e fisica presso l’Università di Padova. Così d’Annunzio la cantò nella su “Città del silenzio”: “… prato molle, ombrato d’olmi e di marmi, che cinge la riviera e le rondini rigano di strida, tutti i pensieri miei furono colmi d’amore e i sensi miei di primavera come in un lembo del giardin d’Armida”