Un grido: “ce la faremo?”

Riceviamo e pubblichiamo

di Francesco Pasca

In un tempo di frequentazione surrealista avvenne qualcosa.

Si attuò la “Realtà”, di un fenomeno, e spuntò lì, dal suo sferico coronato centro. Ad osservarlo non faceva ombra quel “coso” ma iniziò ugualmente a raccogliere, a radunare e divenne l’ombelico del mondo, l’attenzione delle Polis.

Il coronato condottiero divenne tubero improvviso senza, pare, appartenenza e generando la nuova “Realtà”, l’ennesima.

Non so bene se in quel tempo fosse l’ora dell’Ortica, ma non lo era neppure del Rovo. Per certo, questo fenomeno condivideva le altrui ombre e ne succhiava le appartenenze.

Da quel giorno così divenne il viaggiare nell’arte dell’esistere ed è tuttora con l’intrattenersi per un sentiero sconnesso, impercorribile.

Scrivere, per noi altri, divenne non-spazio e non-tempo, il non accadere e, il più nulla, si trovò nel nulla.

Da allora, al di là di qualsiasi posizione di principio divenne odore per una costruita opportunità, divenne il meglio indagare, il cercare quel che non c’è.

Di fantasia, si “inventò” il tricolore che non c’è?

Ma chi può aver reso necessario parlare di una bandiera senza tener conto che qualsiasi drappo per avere ragione di esistere presuppone il contestuale, il comunemente chiamato vento?

Chi può pensare che se non vi è vento non può esservi quella fantasia?

In quella categoria di pensiero, fu il Poeta, divenne l’opporsi a chi credette nella possibilità di una spiegazione razionalmente rappresentabile come la totalità del reale sventolante.

Il Poeta ha da sempre avuto modo di scrivere che la realtà è data dal succedersi e dal riprodursi.

Di quel particolare guardare e fare, di quel che quotidianamente vede intorno a sé, ch’è il diverso, nota la realtà, l’ultima.

Comunque ama, vede quella fondante razionalmente che non è più il razionalmente fondante, né lo è per illusione, né può esserlo per il fluire di semplici fotogrammi, di spezzoni di realtà che non hanno dimensione temporale né peso, solo apparenza.

Trattandosi di ovvia conseguenza per quanto a lui resta in un fuori o per il concetto di “utilità” parafrasato dal e con il diversamente, che è un puro “nulla”, fece al suo sé delle domande:

  1. È già pre-costruita la personale ovvietà?
  2. Dell’uomo fuori dall’ovvio si potrà accettare solo l’affermazione di avere buona cultura e una buona memoria?
  3. Si potrà, si porterà all’ironizzare, all’irridere il mondo dei parlanti?
  4. Ciò apporterà mai, per esigenza, nuova metafora?

Ci provò dicendo:

“La Poesia cresce nella quiete del silenzio che non è notte.

Per altri è la notte fonda di un giorno abbandonato dall’errante che ambisce e non sa se lasciare la città o giungere al bosco.

Per altri ancora è raduno da tenere stretto per paura del poco.

Per le categorie di pensiero, per chi ama leggere, il Poeta troverà le parole di Calvino: “Ancora confuso era lo stato delle cose del mondo, nell’Evo in cui questa storia si svolge …”  così raccontava nel suo “Il cavaliere inesistente”, al capitolo IV.Conseguenza:”

Quindi, da quel giorno, la parola detta e negata passò, in lettura, con il taglio della lingua;

La “parola” dello scrivere passò per il taglio della mano;

Quello del credere di essere fu più complicato del far credere di essere e il suo corpo probabilmente passerà dalla decapitazione, così come si confà ad un ben pensante.

È sempre l’Amico Italo Calvino a far chiudere il cerchio al Poeta con un turbine di vento: ”Dovrò considerare pari a me questo scudiero, Gurdulù, che non sa neppure se c’è o se non c’è?” “Imparerà anche lui … Neppure noi sapevamo d’essere al mondo … Anche ad essere si impara …”

Ancora una domanda: “Per tutto questo: sarà Buona Bandiera?”